“Mi chiamo Vera Vigevani Jarach e ho due storie: io sono un’ebrea italiana e sono arrivata in Argentina nel 1939 per le leggi razziali; mio nonno è rimasto ed è finito deportato ad Auschwitz. Non c’è tomba.
Dopo molti anni, altro luogo, in Argentina, altra storia: mia figlia diciottenne viene sequestrata, portata in un campo di concentramento e viene uccisa con i voli della morte. Non c’è tomba.Queste due storie indicano un destino comune e fanno di me una testimone e una militante della memoria.”
Le parole di Vera Vigevani Jarach, incontrata il 7 febbraio al Teatro Franco Parenti di Milano, rappresentano perfettamente il suo tragico destino e il suo coinvolgimento in due dei tanti, innumerevoli, troppi massacri del ‘900: la Shoah e i Desaparecidos.
Verrebbe da chiedersi perché una donna di 90 anni, così profondamente insultata dalla vita, invece di cercare di dimenticare, percorra il mondo in lungo e in largo instancabilmente, incontri gente, racconti la sua devastante esperienza, non si sottragga al suo dolore, ma lo rinnovi ogni volta attraverso il racconto di ciò che le è accaduto. La risposta è semplice: Vera percepisce l’urgenza di trovare nuovi militanti che ne raccolgano l’eredità, l’immenso patrimonio di ricordi, costruendo dei veri e propri ponti di memoria. Far conoscere quanto è accaduto è fondamentale per impedire che l’uomo incorra negli stessi errori.
Pur ferita nell’intimo profondamente, dunque, questa donna minuta, garbata, gentile non si è mai arresa, ma, dopo la sparizione della figlia, ha cominciato la sua battaglia che non si serve di armi, ma di parole e che continua a combattere quotidianamente.
Sua figlia Franca era una splendida e intelligentissima ragazza con una colpa gravissima quella di credere e di volere un mondo migliore, più giusto e di battersi per questo. Franca ha solo diciotto anni e frequenta il Collegio Nacional di Buenos Aires quando Videla arriva al potere in Argentina con un colpo di stato. Viene espulsa dal liceo perché organizza assemblee, proibite dal regime. Riammessa a scuola, a condizione di ammettere i propri errori, si rifiuterà e pochi giorni dopo sarà rapita e sparirà nel nulla. È il 1976: trascorreranno più di vent’anni (il papà intanto è morto) prima di scoprire che Franca ha finito la sua vita in uno di quei raccapriccianti vuelos de la muerte, durante i quali uomini e donne, dopo esser stati narcotizzati, erano gettati nel Rio de la Plata o nell’Oceano Atlantico. Da quel momento l’imperativo categorico per Vera sarà uno solo: scoprire la verità su sua figlia. Diviene così una delle Madres de Plaza de Mayo, quelle donne coraggiose che, armate solo della foto dei loro figli desaparecidos e di un foulard bianco in testa, si riuniscono ogni giovedì, in Plaza de Mayo per l’appunto, per chiedere notizie dei loro figli, con una marcia dignitosa e circolare. I Desaparecidos in Argentina in soli sette anni sono stati più di trentamila. Erano uomini e donne colpevoli di avere una coscienza, di non essersi fatti fagocitare dall’indifferenza, di non aver messo a tacere le loro idee in nome del quieto vivere. Furono rapiti, torturati orribilmente, uccisi con i vuelos de la muerte. Le donne gravide furono risparmiate fino al parto e poi sottoposte allo stesso trattamento. I bambini partoriti furono dati in adozione a persone molto vicine al regime, magari gli stessi carnefici dei loro genitori in qualche caso…
È la storia di un orrore senza fine, nonostante tutto, però, Vera afferma il suo ottimismo e la sua fiducia in una politica basata sull’etica e sulla consapevolezza di migliorare il mondo.
Le parole di Vera Vigevani sono un vero e proprio balsamo ristoratore, ma anche un invito alla lotta. Una lotta che non scaturisce dall’odio e che non porta all’odio, ma una battaglia per cambiare le coscienze utilizzando l’arma più potente che l’uomo abbia a disposizione, vale a dire la conoscenza. Solo la conoscenza ci rende liberi e solo la conoscenza può far sì che la storia assurga davvero al suo ruolo di magistra vitæ.. Il mondo è di nuovo, per l’ennesima volta, sull’orlo di in baratro: malcontento diffuso che generaodio e violenza inauditi da un lato e indifferenza o, come dice Vera, ignavia dall’altro. “È avvenuto quindi può accadere di nuovo” così scriveva Primo Levi, ma mai come in questo momento mi verrebbe da dire: è avvenuto, sta accadendo e accadrà ancora! È dovere degli uomini e delle donne illuminati combattere con gli strumenti che ciascuno possiede, incidere sulle coscienze e diffondere la cultura del rispetto reciproco.
Incontro con Vera Vigevani Jarach @ Teatro Franco Parenti Milano
“Queste due storie indicano un destino comune e fanno di me una testimone e una militante della memoria.” Vera Vigevani Jarach