Le voci che vorrebbero un Trent Reznor un po’ servo della mogliettina non mi convincono, ma devo ammettere che a volte l’idea fa capolino e sembra più convincente, per esempio ascoltando pezzi come “How Long?” in questo debut degli How to Destroy Angels.
Vabbè, bisogna sempre fare occhiolino alle esigenze delle radio, però volendoci slanciare in un’interpretazione pseudo freudiana il fatto che Trent abbia urlato al mondo del ritorno dei Nine Inch Nails proprio un paio di giorni prima di quest’uscita, oltre che ad una trovata pubblicitaria di dubbia efficacia,fa pensare che voglia tranquillizzare i fan (e se stesso) che c’è ancora molto da aspettarsi da mr self destruct e che quest’album è da leggere in una chiave side project e non al “nuovo progetto full time” di Reznor.
Questo toglie tantissime aspettative che sarebbero altrimenti demolite già al primo ascolto di “Welcome Oblivion”.
Non credo sarebbe contenta di sentire questo Mariqueen Mandig, vocalist degli HTDA la cui voce (pressochè perfetta come intonazione) non lascia ricordo alcuno, sia quando urla in un’improbabile versione teen pop degli Atari Teenage Riot o quando simula una Beth Gibbons versione Hollywood, interpretazione che, neanche a dirlo, fa scappare più di un sorrisino.
Troppo cattivo?No dai, tutto sommato in quest’album c’è molto da salvare.
Mr Reznor ha infatti pensato agli amanti del synthpop e dei synth in generale, abusando di arpeggiatori, sequenze e quant’altro e regalandoci suoni che fanno godere l’orecchio.
Dei NIN c’è molto, moltissimo di “The Slip” e un po’ di “The Fragile”, soprattutto nei pezzi più lenti ed introspettivi.
La voce di Trent spunta qua e là e spezza decisamente la monotonia vocale alla quale saremmo condannati altrimenti, di certo lui sa come produrre un album e credo che quanto potesse essere fatto per dare vita alle parti vocali sia stato fatto, la scelta di manetenere un profilo basso da questo punto di vista è forse più saggia di quanto pensiamo.
Pare che Mariqueen sia nuovamente incinta, questo potrebbe dare modo e spazio ai NIN di rinascere dalle proprie ceneri senza la distrazione di questo side project.
L’ultimo concerto della band industrial più famosa di sempre l’ho visto al complesso Arena di Berlino nel 2009, fu la grande performance di una band ridotta ad una line up rock, un concerto totalmente diverso da quello a cui partecipai nel 2007 all’Arena Parco Nord di Bologna, dove in un palco di notevoli dimensioni ha preso vita uno show indimenticabile e pressochè perfetto dal punto di vista scenico e musicale.
Due esibizioni indimenticabili.
Quest’ultima botta di nostalgia non è altro che l’augurio che Trent Reznor torni ad essere quello per cui lo conosciamo, un grande protagonista della scena alternativa mondiale che è riuscito a portare un genere spigoloso e poco ammiccante al grande pubblico.
Detto questo “Welcome Oblivion” è un bel disco che potrebbe occupare lo stereo per qualche giorno e sul quale si può ritornare di tanto in tanto per pezzi come “Keep it together” o “We fade away”.
E comunque tranquilli, i NIN sono quasi pronti per iniziare un extensive tour che li occuperà per buona parte del 2013 e dell’anno prossimo; credo quindi che per un po’ non sentiremo parlare degli How to Destroy Angels, nel bene e nel male.
Emmanuele Gattuso