Interviste

Holy Giant

I tre ragazzi di base a Bologna suonano “pesantemente” bene note distorte e atmosfere occulte

Gli  Holy Giant sono tre ragazzi di base a Bologna che suonano “pesantemente” bene. Note distorte e atmosfere occulte gli ingredienti della loro prima pozione che si chiama “Diviners&Dividers”. Rispettando la magia le domande sono sette. A voi l’assaggio

Iniziamo subito dal nome, quasi mistico. Come è maturata la scelta di chiamarvi così?
Il nome Holy Giant è nato da una profonda riflessione sul significato e sull’essenza della nostra musica. Dopo oltre un anno di formazione come band, avevamo chiaro il messaggio che volevamo trasmettere attraverso le nostre composizioni: un’esperienza quasi mistica, intrisa di sacralità e ritualità. Ci siamo resi conto che volevamo distinguerci dalle “classiche” psychedelic stoner metal band e abbiamo iniziato a definire la nostra musica come “ritual heavy music”, un termine che va oltre le convenzioni e non vuole incasellarsi nei sottogeneri del metal. In sala prove, mentre discutevamo tra una canzone e l’altra, abbiamo concepito l’idea di un nome che catturasse l’essenza di questa visione rituale e imponente che avevamo della musica. Il concetto di un essere mastodontico e sacro, evocativo di potenza, mistero e spiritualità risuonava profondamente con noi e i pezzi che stavamo scrivendo. Volevamo un nome che non solo descrivesse la nostra musica, ma che evocasse anche un senso di trascendenza. Così è nato Holy Giant, nome che riflette perfettamente la nostra missione artistica: creare un’esperienza sonora che vada oltre il semplice ascolto e trasporti l’ascoltatore in un viaggio profondo e mistico attraverso atmosfere rarefatte e muri di suono distorto. Come band vogliamo prima di tutto essere portatori di un’energia primordiale, di un richiamo ad antiche cerimonie e della potenza del suono come mezzo di connessione con l’ignoto.

Potreste parlarci del processo compositivo dei vostri pezzi?
Nel nostro primo album le canzoni hanno preso forma in modo del tutto istintivo, senza vincoli o regole predefinite. Anche durante le sessioni in sala prove adottiamo un approccio rituale alla musica: suoniamo con luci soffuse, quasi al buio e a occhi chiusi permettendo alla musica di fluire liberamente. Le jam session possono durare anche oltre mezz’ora e da queste emergono spesso frammenti di brani praticamente completi che necessitano solo di essere rifiniti e strutturati. Altri pezzi, invece, nascono da idee portate in sala prove, come nel caso di “Green Foo”, in cui le linee di chitarra di Francesco hanno costituito il nucleo originale del brano rimanendo pressoché intatte dalla primissima demo. La collaborazione è fondamentale nel processo di strutturazione dei nostri pezzi. A volte ci troviamo in disaccordo sulla direzione da prendere, ma siamo abili nel mediare e trovare un terreno comune. In questi momenti, Marco, il nostro cantante gioca un ruolo essenziale nel calmare gli animi e aiutarci a trovare un accordo. Il risultato finale dei pezzi è sempre stato soddisfacente per tutti noi e questo è dovuto in gran parte alla nostra capacità di lavorare insieme come unità coesa, anche quando le opinioni divergono. Ora che abbiamo concluso il primo album e stiamo chiudendo la scrittura dei primi pezzi che entreranno a far parte del secondo, ci stiamo rendendo conto di come il processo creativo sia cambiato nel tempo. Abbiamo un approccio meno istintivo, sappiamo dove vogliamo andare a parare e crediamo che i nuovi pezzi hanno acquisito una qualità tecnica e compositiva di cui non saremmo stati capaci un paio d’anni fa, quando abbiamo iniziato a scrivere Diviners & Dividers. Non vediamo l’ora di avere qualcosa di pronto da presentare perché sappiamo che il salto di qualità che stiamo facendo sarà percepibile fin dal primo riff di chitarra.

Diviners and Dividers è composto da sette pezzi e tutti i titoli rimandano ad atmosfere spirituali, stregate: scelta prettamente discografica o c’entra qualcosa anche il proverbiale 7 come numero magico?
La scelta di titolare i nostri pezzi con riferimenti ad atmosfere misteriose, spirituali e stregate è stata motivata da un profondo interesse per la spiritualità e la trascendenza. Per noi queste esperienze sono universali e vanno oltre le barriere delle religioni e delle credenze specifiche. Cerchiamo di ricreare questa sensazione estatica attraverso la nostra musica ispirandoci a diverse tradizioni che hanno esplorato tali tematiche in profondità. Il numero sette, noto come numero magico in molte culture e tradizioni, ha avuto un ruolo significativo nella nostra decisione di inserire sette pezzi nell’album. Per gli induisti, sette sono i chakra, sette sono i giorni in cui il dio cristiano ha creato il mondo. Sette sono i passi verso l’illuminazione nel Buddhismo. Sette sono i peccati capitali e le virtù, come sette sono i piani di esistenza nello gnosticismo e nella teosofia. Ci sembrava quindi il numero perfetto per un album con un titolo così evocativo. Tuttavia, è importante sottolineare che la scelta del numero sette non è stata solo simbolica, ma anche pratica. Abbiamo dovuto fare delle selezioni tra le tracce che avremmo voluto includere nell’album e alcune sono state escluse. Questo ha lasciato spazio a una possibile versione estesa dell’album in futuro, magari con l’inclusione di bonus track. Stiamo considerando questa possibilità e vedremo cosa riserverà il futuro.

C’è un pezzo del disco o magari altri rimasti fuori cui siete particolarmente affezionati?
Uno dei pezzi a cui siamo particolarmente affezionati su Diviners&Dividers è sicuramente “Asteroid Blues” in quanto rappresenta un’essenza della nostra direzione artistica e delle nostre ambizioni future. Con esso siamo riusciti a catturare la fusione di violenza creativa e di delirio estatico che caratterizza la nostra musica. Le distorsioni massicce e i paesaggi sonori allucinati presenti in questo pezzo rappresentano un viaggio attraverso le profondità della nostra creatività. Nonostante il nostro radicamento nello stoner metal vogliamo esplorare nuove strade e trasmettere la sensazione di partecipare a un rituale sonoro. “Asteroid Blues” incarna questo concetto più di qualsiasi altro pezzo dell’album. Ogni volta che suoniamo questo brano o lo ascoltiamo ci sentiamo trasportati in un’altra dimensione, immersi in un’esperienza che va oltre il semplice ascolto di musica.

Le vostre sonorità sono terreno fertile anche all’estero. Dove, in Europa, trovate maggior riscontro per la vostra musica?
Le nostre sonorità hanno incontrato terreno fertile soprattutto all’estero. In Europa, dove troviamo il maggior riscontro per la nostra musica, ci sono diverse nazioni che hanno dimostrato un forte interesse per il nostro genere. In Italia, purtroppo, la musica pesante non ha ancora trovato un ampio spazio nel panorama musicale mainstream, anche se vi è una rinascita evidente, specialmente nella scena stoner. Le etichette italiane come la Heavy Psych Sounds, Go Down e Electric Valley sono molto attive e hanno nel loro roster band internazionali di prim’ordine, tuttavia, la presenza di locali e club che organizzano concerti stoner/doom in Italia non è ancora all’altezza delle potenzialità della scena. In confronto, all’estero abbiamo ottenuto un riscontro più tangibile. Paesi come Germania, Stati Uniti e Inghilterra si sono dimostrati accoglienti nei confronti della nostra musica, sia in termini di ascolti che di vendite. Il nord Europa in particolare ha una tradizione di musica heavy molto più marcata rispetto all’Italia. In generale abbiamo notato che ci sono molte più opportunità e un pubblico più affezionato a questo genere musicale al di fuori dei confini italiani. È interessante notare che non siamo gli unici ad emergere dalla scena italiana. Alcune grandi band stanno emergendo anche da paesi come Grecia e Spagna, oltre all’Italia dimostrando che c’è un fermento reale nella scena heavy metal e stoner di questi paesi. Speriamo che questa tendenza continui e che ci sia un crescente riconoscimento per le band emergenti provenienti da queste nazioni.

Vorrei spendere due parole anche per la cover, a mio avviso molto bella e conforme al disco. Chi è stato l’artefice?
Qui entriamo in un terreno accidentato perché se ne sta parlando molto ultimamente e quasi mai in termini positivi. Le immagini della cover e dei singoli dell’album sono state create con MidJourney,un’intelligenza artificiale dalle capacità sempre più impressionanti. Francesco, che si è occupato di tutte le grafiche, del merch e dei video finora usciti (rigorosamente in ottica DIY) è sempre stato interessato al progresso tecnologico e automazione, alla possibilità di usare il progresso in termini creativi e ha iniziato a sperimentare con le AI nel momento stesso in cui sono entrate nel mercato. La critica (in parte condivisibile) che si fa è che questa tecnologia toglie lavoro agli illustratori ed è sostanzialmente priva di valore artistico in quanto non prodotta da umani, ma vanno valutati diversi fattori: il primo è che un lavoro come quello che abbiamo fatto per l’album (copertina, back e un booklet illustrato di 16 pagine) se lo avessimo commissionato a un illustratore ci sarebbe costato molto di più di quanto possiamo permetterci, non vivendo della nostra musica che attualmente non ci ha portato nessun guadagno, ma solo spese enormi per la registrazione, la produzione e la stampa del CD, il merch, la strumentazione, gli spostamenti per i concerti. Quindi c’è un fattore economico che le band emergenti e senza un’etichetta devono gestire. Il secondo fattore è legato a una visione del progresso che a volte ci sembra retrograda: quando sono arrivati i sintetizzatori e poi i DJ ed è nata la musica elettronica, si sono levati gli scudi perché i musicisti non suonavano più strumenti “veri”, ma spingevano soltanto bottoni. A decenni di distanza noi suoniamo ancora strumenti di legno e la musica elettronica convive serenamente con quella analogica. Il mondo ha abbastanza spazio per tutti. Il progresso va adattato alle esigenze umane, non combattuto. Vi immaginate i proprietari di cavalli all’inizio del secolo scorso quando hanno iniziato a vedere le automobili per le strade che cosa possono aver pensato? E i proprietari dei blockbuster con l’arrivo dello streaming online? Una cosa che possiamo dire però è che sicuramente le prossime copertine saranno fatte da illustratori perché per noi è stata prima di tutto una necessità usare l’AI. Ultimo dato: abbiamo prodotto 11.500 immagini per scegliere la copertina, non si può negare che ci abbiamo dedicato anima e corpo per creare il prodotto migliore possibile con lo strumento che avevamo e crediamo di esserci riusciti!

Festeggiamenti, date, e… cosa bolle nel pentolone?
Questo inizio 2024 ha portato molte buone notizie per noi, alcune che dovremo attendere ancora un po’ per annunciare, mentre qualche data possiamo già annunciarla: il 20 aprile suoneremo allo Space Goat Fest al CPA Firenze Sud insieme ai Mr. Bison, il 27 saremo a Pescara per il Tube Cult Fest e il 4 maggio avremo l’onore e l’onere di aprire la prima giornata dell’Heavy Psych Sounds Fest al TPO di Bologna, un palco in cui fino all’anno scorso sognavamo di salire e dove saremo insieme a moltissime band che rispettiamo e ascoltiamo da anni. Per noi è stata una notizia incredibile, ma sappiamo che questo è solo l’inizio della salita; quindi, teniamo la testa bassa e continuiamo a dare tutto quello che abbiamo. Anche l’estate ci vedrà impegnati in qualcosa di davvero speciale, dobbiamo tenere a freno la lingua per ora, ma sicuramente possiamo dire che ci sarà nuova musica nell’aria!

 

Line up Holy Giant:
Francesco Sorana: chitarre
Marco Di Pietro: basso e voci
Massimiliano Rubini: batteria

 

 

 

 

 

 

About the author

Annalisa Michelangeli

Mi chiamo Annalisa Michelangeli, nata a San Severino Marche nel 1982, ma cresciuta in un piccolo paese tra Marche e Umbria, sui Monti Sibillini. Vivo a Macerata. Amo la musica e ogni altra forma d’arte da sempre. Scrivo poesie e di recente ho pubblicato un saggio autobiografico su un mio personale percorso legato alla gestione della fibromialgia. Ho una formazione linguistica e letteraria, possiedo attestati per insegnare yoga per bambini e quello di assistente all’infanzia. Attualmente svolgo attività di docenza d’italiano per stranieri che è il mio ambito di specializzazione e mi appassiona molto. Da molti anni seguo concerti in tutta Italia, in passato con una frequenza maggiore essendo allora più libera da impegni lavorativi e famigliari: sono anche mamma di una bambina di otto anni. Nel 2007/2008 ho frequentato un corso di giornalismo musicale legato a una rivista che si occupava sia di jazz, che di rock. Ascolto soprattutto indie rock inglese e italiano, ma anche cantautori del passato, musica francese, sono curiosa di scoprire gruppi emergenti e nuove sperimentazioni nel panorama musicale.

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