Interviste

Vittoria Burattini (Massimo Volume)

Una vita al …Massimo Volume

Vittoria benvenuta. Sono molto onorato poterti intervistare perché ti avevo persa, ma, ci siamo ritrovati dopo tantissimi anni sempre uguali. Colgo l’occasione per chiacchierare con te e fare conoscere i Massimo Volume ai lettori di SOund36. Cosa sono i Massimo Volume?
Anche per me è stato un grande piacere averti rivisto! I Massimo Volume sono la band nella quale ho suonato per tuta la mia vita adulta. Quando abbiamo iniziato a suonare insieme avevo 21 anni, e adesso ne ho 53. Tutta la vita, in pratica.
I Massimo Volume sono una rock band piuttosto anomala, un progetto molto vicino alla letteratura grazie alla presenza di uno scrittore e poeta di grande levatura come è Mimì. È lui che ha dato e dà l’avvio a tutto il nostro mondo poetico. Certo, rimaniamo un gruppo rock, ma il ruolo della parola resta comunque centrale nella nostra musica.

«Era il 1991, al tempo provavamo in cantina con un’attrezzatura infame, avevamo solo due vecchi amplificatori, così per poter sentire il suono dicevamo in continuazione: Massimo volume, alza al massimo volume.»
Vero, le prime prove erano praticamente solo Larsen e moltissimo rumore, a volumi mostruosi. All’epoca suonavo anche con un altro gruppo, un gruppo di ragazze al quale non avevamo ancora dato un nome, che poi divennero mie amiche per tutta la vita. Andavo a provare con loro e gli facevo sentire le prove dei Massimo, di cui nel frattempo mi stavo irreversibilmente innamorando. Sentivano quel delirio e mi dicevano che eravamo degli esauriti, gente che aveva bisogno di essere visitata da qualche bravo specialista, e mi dicevano anche (sempre bonariamente, anche se pure quello era vero) che non sapevamo nemmeno suonare. Ovviamente non potevo che essere d’accordo con loro su tutta la linea, ma nello stesso tempo sentivo che dentro quel magma si annidava il nostro suono, qualcosa di profondo che mi apparteneva. Sentivo che quel suono ancora sepolto nel rumore mi stava conquistando.

Mi ricordo tantissimi anni fa, una band amalgamata dai suoni innovativi ma ancora alla scoperta di qualcosa. Ora siete grandi, potete diffondere la vostra musica anche da palchi importanti. Come sono cresciuti i Massimo Volume Proprio per continuare con quanto stavo scrivendo sopra: l’amalgama nasceva dalle ore passate in sala a suonare, spesso davvero la stessa nota o lo stesso giro, per ore. Immagino capiti a tante band: sei giovane, suonare è la cosa che ti piace fare di più, hai molto tempo, vai anche in giro a fare concerti (anche in situazioni improponibili), e così impari anche solo inconsapevolmente a suonare insieme, imparando a far muovere la band come un tutt’uno. Siamo cresciuti così, suonando insieme per anni. Le cose poi sono andate bene, abbiamo avuto il nostro successo e la nostra (relativa) notorietà. Per la musica forse difficile che facciamo è andata molto bene così. Ora ci godiamo il rispetto che le persone hanno nei nostri confronti. Siamo fortunati, privilegiati, non ci sono mai mancate etichette o produttori o fonici con cui lavorare. Sembrano tutti contenti di lavorare con noi (almeno all’inizio). Ma poi non è solo questione di rispetto o di fortuna, io ora che vado in giro a suonare sento soprattutto molto affetto nei nostri confronti. Sono contentissima di questo, è tra le cose che mi fanno più felice: abbiamo seminato molto amore, pur essendo a tratti anche un po’ stronzi.

Il movimento bolognese degli anni ’90 non era certo quello degli anni ’70, da un certo lato era più “fighetto”, i Massimo Volume nascono in quel periodo. Come band avevate più certezze nel muovervi come band considerando i cambiamenti che avrebbero poi cambiato tante cose nella musica stessa.
Gli anni ’90, quando abbiamo iniziato a suonare noi, sono stati anni un po’ a cavallo tra un mondo che stava tramontando, quello dell’industria musicale e dei dischi fisici stampati e venduti a livello industriale, e recensiti sulla carta, e il mondo nuovo che si stava affacciando, quello della produzione casalinga, del fare dischi senza bisogno di molto denaro, un mondo dove la vendita dei dischi fisici sarebbe diventata irrisoria grazie a internet e allo streaming. I nostri primi dischi sono usciti e sono circolati nel vecchio mondo, quello dei dischi che ancora si vendevano nei negozi. Lungo i bordi, per dirne una, ha venduto 9000 copie. All’epoca ai nostri discografici sembravano poche copie e in effetti, vedendola dalla loro prospettiva, era così. Adesso sembrano cifre altissime. Mentirei se dicessi che il passaggio dalla copia fisica a quella smaterializzata ha fatto bene alla musica, secondo me è stata una mezza tragedia, ma contemporaneamente non c’è niente da fare, doveva andare così. È il progresso, è la tecnologia, sono i cambiamenti umani, non ci si può fare nulla. Il nostro comunque è un gruppo che non ha mai avuto grandi successi in fatto di vendite, quindi abbiamo vissuto il cambiamento senza troppi traumi. Certo, la comodità di aver potuto disporre dei mezzi (anche economici) del vecchio modo produttivo ci ha dato molti vantaggi e tolto delle preoccupazioni. Se fossimo nati agli inizi del 2000 forse avremmo sofferto un po’ di più, chissà.

Vittoria so che fai altro oltre i Massimo Volume; ti stai dedicando a musiche da film, in particolare della cineasta sperimentale Maya Deren di origini ucraine. Questo è un lavoro nuovo per te e pensi di intraprendere la strada della sperimentazione?
L’idea di musicare i tre corti di Maya Deren è stata una proposta che Home Movies ha fatto alla mia amica Francesca Bono, che successivamente mi ha coinvolto per aggiungere delle batterie alla sua composizione per Juno-60, un antico e meraviglioso sintetizzatore. Da lì, quasi casualmente, ha preso forma questo duo, e pian piano la sonorizzazione è diventata un disco grazie alla Maple Death Records di Jonathan Clancy. Adesso ci stiamo accingendo a fare un disco nuovo, e poi abbiamo un paio di nuove commissioni… insomma sembra che ci sia da lavorare nel nostro prossimo futuro. Per quanto riguarda la strada della sperimentazione: penso che in realtà ho sempre suonato qualcosa di molto simile a delle colonne sonore, cercando di creare un’atmosfera che stesse bene con lo stile narrativo e a tratti anche cinematografico dei Massimo Volume. Quindi per me questa strada non è poi così nuova.

 Sei stata paragonata a Maureen Tucker batterista storica dei The Velvet Underground, stile semplice ma allo stesso tempo potente. Ti ci ritrovi? Il tuo modello di batterista?
Mmhh, so di essere stata spesso paragonata a Maureen Tucker, ma non so bene se il paragone viene realmente fatto per le similitudini tra il mio stile e il suo stile o solo perché è una donna e il paragone viene facile per quello. Certo, lei è una grande batterista. A me piacciono i batteristi che non sanno suonare scolasticamente la batteria. Sia chiaro, adoro quelli che la sanno suonare veramente, mi incanto a guardarli e a sentirli suonare. Ma oltre al fatto di non far parte tecnicamente della loro galassia, c’è da dire che in molta della musica che ascolto (a parte i vecchi grandissimi italiani che sono riusciti a coniugare musicisti ipertecnici e musica pazzesca) la batteria è uno strumento semplice, che fa poche cose, che serve al pezzo e quasi mai si prende la scena. Da giovane mi piaceva il batterista dei Pink Floyd, ma anche Larry Mullen degli U2 che non piace mai a nessuno, mi piace il batterista dei Radiohead, incredibile quello dei Blonde Redhead, geniale Valentina Magaletti, Elvin Jones, tra gli inarrivabili gli italiani Tullio De Piscopo, Ellade Bandini, Walter Calloni, Vincenzo Restuccia, Elio Rivagli. Importante per i miei ascolti giovanili Tony Thompson che mi ha aperto le orecchie alla musica pop, come pure il batterista dei Queen. E sempre e per sempre Ringo Starr, chiaramente.

Carissima Vittoria intanto grazie per il tuo tempo dedicato a SOund36, so che sei molto presa anche dalla tua famiglia oltre gli impegni di lavoro, ti chiedo solo sei i Massimo Volume ritorneranno insieme e se potremmo vederti dal vivo con i tuoi preziosi progetti. Grazie ancora di cuore.
 Grazie mille a te per questa intervista. Di sicuro potrete vedermi dal vivo, se tutto va bene, per i concerti con Bono/Burattini. Riguardo ai Massimo Volume ho meno certezze. Non abbiamo piani, forse torneremo a suonare dal vivo, forse sarà prima di quello che penso, o forse no, non ne ho idea. Ovviamente io ci spero sempre. Quello è il mio magma, e loro sono anche un po’ il mio suono, la mia seconda famiglia disfunzionale che quando non c’è mi manca.

 Intervista di Alessandro Ettore Corona a Vittoria Burattini batterista dei Massimo Volume

 

 

 

About the author

Alessandro Ettore Corona

Alessandro Corona nasce a Bassano del Grappa (VI) nel ’57. Dopo aver vissuto in varie zone del Veneto, si trasferisce a Bologna negli anni’70, seguendo tutto il movimento artistico di quel periodo; dai fumetti di A. Pazienza e N. Corona, alla musica rock britannica e americana, a quella elettronica di stampo tedesco, al cinema d’avanguardia tedesco e francese, per approdare poi alla scoperta della fotografia internazionale seguendo corsi di approfondimento e di ricerca.

Scatto per non perdere l’attimo.
Esistono delle cose dentro ognuno di noi, che vanno messe a fuoco.
Esistono cose che ci circondano e che non vanno mai perse, attimi che possono cambiare il nostro futuro; ognuno di noi ha un’anima interiore che ci spinge verso quello che più ci piace o ci interessa.
Io uso la macchina fotografica come un prolungamento del mio braccio, la ritengo un contenitore enorme per catturare tutti quei momenti che mi appartengono.
Passato e futuro si uniscono fondendosi insieme e per caratterizzare l’anima degli scatti creo una “sensazione di fatica” nella ricerca dell’immagine mettendo in condizione l’osservatore, di ragionare e scoprire sé stesso dentro l’immagine.
Trovo interessante scattare senza pensare esattamente a quello che faccio; quando scatto il mio cuore muove un’emozione diversa, sento che la mia mente si unisce con estrema facilità al pulsante di scatto della mia macchina, non esito a cercare quel momento, non tardo un solo secondo per scattare senza riflettere.
Il mio mondo fotografico è principalmente in bianco e nero, il colore non lo vedo quasi più, la trasformazione cromatica è immediata.
Non esito: vedo e scatto!
La riflessione per quello scatto, si trova in mezzo tra il vedere e lo scattare senza esitare sul risultato finale, senza perdere tempo in quel momento.
Diventa immediato per me capire se quello che vedo e che intendo scattare può essere perfetto,
non trovo difficile esprimere quello che voglio, la macchina fotografica sono io.
Ogni scatto, ogni momento, ha qualche cosa di magico, so che posso trasmettere una riflessione quindi scatto senza cercare la perfezione estetica perché nella fotografia la foto perfetta non esiste, esiste solo la propria foto.
Works:
Fotografo e grafico: Mantra Informatico (cover CD), Elicoide (cover LP)
Fotografo ufficiale: Star for one day (Facebook). Artisti Loto (Facebook)
Fotografo ufficiale: Bowie Dreams, Immigrant Songs, Roynoir, Le Sciance, Miss Pineda.
Shooting: Federico Poggipollini, Roynoir, Heide Holton, Chiara Mogavedo, Gianni Venturi, Double Power big band, Progetto ELLE, Star for one day, Calicò Vintage.
Radio: Conduttore su LookUp radio di un contenitore artistico, con la presenza di artisti.
Fotografo ufficiale: John Wesley Hardyn (Bo), Reelin’and Rocking’ (Bo), Fantateatro (Bo), Nero Factory (Bo), Valsamoggia Jazz club (Bazzano), Friday Night blues (Bo), Voice club (Bo), Stones (Vignola), il Torrione (Fe), L’officina del gusto (Bo), Anzola jazz, Castelfranco Emilia blues, Bubano blues, Mercatino verde del mondo (Bo), L’Altro Spazio (Bo), Ramona D’Agui, Teatro del Pratello (Bo), P.I.P.P.U Domenico Lannutti, Insegui L’Arte (Badolato CZ), Artedate (Mi), Paratissima Expo (To), Teatro Nuovo e club Giovane Italia(Pr), Teatro Comunale e Dehon (Bo), Teatro delle Passioni (Mo).

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