Figlio, non sei più giglio è il titolo dello spettacolo teatrale di tre grandi artiste: la scrittrice e regista Stefania Porrino, la cantautrice e musicista Mariella Nava e l’attrice Daniela Poggi che hanno unito le loro arti per fare luce sul delicato tema del femminicidio attraverso l’uso di parole e musica. Una proposta di dialogo con il pubblico per affrontare tematiche molto attuali e scomode, un toccante confronto tra due madri sul filo costante dell’emozione.
Buona lettura, andate a teatro!
Quale contributo hanno dato le vostre rispettive forme d’arte per ideare e presentare questo importante spettacolo?Stefania Porrino: come autrice del testo ho cercato di trovare un modo per parlare del femminicidio che non restasse legato solo alla cronaca dei fatti, ma che potesse coglierne il carattere più universale. Daniela Poggi mi aveva chiesto di scegliere come protagonista della storia, non la donna vittima, ma la madre del femminicida. Partendo da quest’ottica il nucleo dello spettacolo è diventato il dolore di una donna che deve affrontare la tragica realtà di aver generato un uomo capace di uccidere un’altra donna. E per sottolineare l’universalità di questo dolore ho pensato di utilizzare la famosa lauda drammatica di Jacopone da Todi Il pianto della Madonna rovesciandone la situazione: Jacopone parla del dolore di Maria che vede suo figlio innocente – il “figlio, amoroso giglio” ingiustamente condannato a morte; la protagonista del mio testo, invece, è una Maria moderna che soffre la morte non fisica, ma morale della creatura che ha partorito, un figlio che non le è più figlio, un figlio colpevole che, al contrario di Gesù per Maria, “non è più giglio”.
Mariella Nava: l’arte si propone sempre di porre l’accento giusto su molti temi sociali. Io personalmente ho scelto la musica e la forma canzone perché aprono il cuore arrivando lì, dove i grandi discorsi non riescono. È bello sapere che in punta di qualche crisi particolare una frase di una canzone abbia potuto compiere il miracolo di fermarla, che sia arrivata a conforto o a consiglio, che sia nel suo piccolo preventiva o curativa. È anche quando sono sul palco con Daniela che credo in questa forza. Lo facciamo in due.
Daniela Poggi: Empatia. Capacità di entrare nella vita di altri e diventarne anima. Osservazione. Chi sono gli altri intorno a me? Quali gesti, sguardi, atteggiamenti, comportamenti esprimono? Attivismo. Lottare per cercare di migliorare il pensiero lasciando piccoli semi nella mente e nel cuore.
Com’è costruito l’evento e quale il fine comunicativo che c’è alla base?
Stefania Porrino: lo spettacolo è costruito con un’alternanza tra il testo di prosa e le canzoni di Mariella Nava che hanno la funzione d’interrompere il flusso del monologo della protagonista che è alla disperata ricerca di capire le motivazioni del gesto assassino di suo figlio e aiutare lo spettatore a prendere le distanze da un coinvolgimento solo emotivo nella storia narrata, sollecitandone piuttosto una riflessione più ragionata e intima attraverso l’alternanza di musica e parole.
Mariella Nava: c’è una madre che parla a se stessa e ripassa i momenti della sua vita con il figlio colpevole di femminicidio. Si fa mille domande per scoprire se può avere avuto qualche responsabilità nell’educarlo. Si chiede se potrà mai perdonarlo e mette in guardia me, sua amica e madre anche io di un ragazzo. Per ogni suo ricordo io canto una mia canzone che sottolinei quell’emozione.
Daniela Poggi: è uno spettacolo teatrale di prosa e musica d’autore. Parole dette e parole cantate sono complementari e rafforzano il concetto: non puoi scappare all’emozione e al dubbio che ti riversano addosso.
Rispetto, ad esempio, a una conferenza o talk show televisivo sul tema del femminicidio, quale il valore aggiunto della performance teatrale?
Stefania Porrino: la scrittura teatrale in genere e quella in particolare del monologo in prima persona danno la possibilità di un’immedesimazione maggiore nelle storie narrate: lo spettatore viene portato a vivere le emozioni dei personaggi come se fossero proprie, a identificarsi nella loro ottica e scoprire così mondi e modi diversi di sentire non solo attraverso l’informazione o lo studio dei fatti accaduti, ma anche con una condivisione emotiva più profonda e diretta.
Mariella Nava: come ho detto prima, la musica e l’arte del teatro penetrano in modo emozionale, creano vibrazioni inspiegabilmente potenti. Il dibattito finisce per stancare o addirittura dividere su argomenti che dovrebbero metterci tutti d’accorso e alla fina perde di efficacia.
Daniela Poggi: siamo a teatro, al buio in silenzio. Lo spettatore riceve, gli attori donano. In quell’ascolto e in quegli sguardi scambiati da due posizioni diverse, si compie la magia. Abbiamo vissuto insieme lo stesso dramma.
In un Occidente definito “democratico e civile” si prova orrore e scandalo (a ragione) nei confronti dei regimi totalitari che relegano la figura femminile a una condizione di schiavitù fisica, morale e psicologica, eppure anche qui da noi le donne sono vittime di violenza ogni giorno, per mano spesso, di uomini ben conosciuti. Qual è la vostra opinione al riguardo? Cosa non funziona davvero?
Stefania Porrino: c’è, a mio parere, un enorme divario tra i grandi progressi, anche se faticosi e ancora incompiuti, realizzati in campo sociale e politico e quelli ottenuti in campo psicologico ed etico che sono ancora allo stato iniziale. Gli intellettuali dell’Occidente del dopo guerra si sono impegnati, giustamente, nella costruzione di un nuovo modo di organizzare la società e le Nazioni, ma hanno sottovalutato il peso che nella costruzione di una società armonica ha il fattore psicologico del singolo. Ci si è occupati delle ingiustizie sociali, degli equilibri politici tra gli Stati, ma non si è data la giusta importanza all’equilibrio interiore degli individui lasciando che traumi e disagi psichici non risolti si possano manifestare in forme violente e distruttive soprattutto all’interno di quella mini-società che è la famiglia o la coppia. Anche riguardo al rapporto uomo-donna ci si è occupati molto, sempre a ragione, dei diritti civili e sociali delle donne, ma non si è lavorato abbastanza a livello psicologico, soprattutto sulla capacità dell’uomo d’imparare a relazionarsi con un nuovo modello di donna che si è finalmente andato affermando nella nostra società occidentale e che ancora lo spaventa, che ancora non accetta a livello profondo, che ancora cerca di rifiutare violentemente.
Mariella Nava: è una storia antica, da troppo tempo, in ogni forma di società, l’uomo aveva dei ruoli e la donna ne ricopriva altri. Secoli e secoli fermi così. La donna, però, ha deciso con caparbietà, coraggio e forza di muoversi e cambiare, di fare il salto e l’ha fatto da sola. Si è evoluta. Il mondo è progredito spesso grazie al cambiamento della donna, mentre l’uomo è ancora troppo legato e vincolato a quello che era primitivamente. È quasi stordito, disorientato, spiazzato, deve compiere il passo del raggiungerci lì dove adesso siamo noi.
Daniela Poggi: la donna viene vista sempre come subalterna, oggetto del desiderio, inferiore. Una cultura retrograda che ricorda la donna al focolare. Oggi la sua libertà di pensiero e azione, la sua competenza e determinazione danno fastidio perché è sempre e solo la donna che può dare la vita. E perché in molte non cadiamo più nella trappola del principe azzurro e allora… ti elimino. In tutti i sensi. E poi aggiungo che forse, nel voler eliminare la donna si vuole uccidere la madre che li ha generati. Quanti conflitti porta con se il rapporto figli genitori/maschi e madri. E poi la violenza dilaga ovunque dai social, alla tv. Manca educazione e formazione nelle scuole tra i più piccoli che più di altri, essendo spugne, possono ricevere il vero cambiamento. E le forze dell’ordine devono “credere e proteggere” la donna, anche se non denuncia, ma avvisa solo. È un segnale che non può essere tralasciato.
Cosa vorreste che ci portassimo a casa e nel cuore dopo il vostro spettacolo?
Stefania Porrino: la consapevolezza che la mancanza di conoscenza di se stessi, l’incapacità di riconoscere e gestire le proprie emozioni possono portare a una delle contraddizioni più assurde e tragiche che si possano immaginare: uccidere per “amore”!
Mariella Nava: Già accade che spesso alla fine, in camerino, il pubblico ci venga ad abbracciare ringraziandoci e dicendo di voler correre a casa ad abbracciare i propri figli e di volerli guardare di più negli occhi per sapere meglio i loro pensieri. Questo ci rende felici.
Daniela Poggi: io interpreto il dolore (la madre del colpevole), Mariella, la speranza e la concretezza. Due madri con storie diverse. Una da dimenticare e forse da perdonare (io) e l’altra sa cosa dovrà fare: guardare negli occhi suo figlio, osservarlo per prevenire la tragedia. Vorremmo lasciare che fossero le domande che ognuno potrà farsi, sul chi sono come genitori o come figli, a sedimentare dentro di loro e da lì iniziare un nuovo cammino di consapevolezza: siamo tutti responsabili di fronte a queste tragedie, nessuno escluso. Ma se riuscissimo ad accorgerci che “l’altro” esiste e ha bisogno di noi, del nostro sguardo e della nostra attenzione, forse qualcosa potrà cambiare. Noi gettiamo semi, qualcuno germoglierà. E sarà più luce.