di Luigi Panico
Tra le tematiche di questo romanzo di formazione di Gildo De Stefano, smesso momentaneamente i panni del musicologo per indossare quelli del narratore, prima fra tutte risalta l’amicizia, come appare dall’affinità elettiva tra i tre protagonisti o dal rapporto tra Tommaso e Luca. Fondamentale è il conflitto tra bene e male. La famiglia con la descrizione del padre e della madre sono fonte di luce e sicurezza. L’arroganza di Luca, lo smarrimento sensoriale con l’alcool, che rappresenta il male; l’amore platonico del pianista guercio per Ilaria e quello intenso per il jazz; la passione “ribelle” – con analogie tra l‘altro con quella dell’autore; la teosofia che caratterizza la setta Scientology e la sofferenza sentimentale; la crescita personale attraverso le prove continue e infine la conoscenza di sé in un mondo contrastato tra bene e male, luce e ombra.
Tommaso, pianista e compositore in carriera, penalizzato fisicamente da una parziale cecità derivata da una bravata giovanile, si innamora della bella Ilaria, cantante di grande fascino che però vede in lui soltanto una caro amico e compagno di comuni esperienze musicali. Infine c’è Luca, esuberante e famoso crooner di ballad, spregiudicato, fascinoso, bello e dannato, ‘tombeur de femme’. Fra i tre si insatura inizialmente una solida amicizia fondata sul comune amore per la musica, ma un’amicizia che sfocia inevitabilmente nell’innamoramento e nel matrimonio fra Ilaria e Luca. Di qui la delusione e lo strazio di Tommaso, che pensa al suicidio, non realizzato grazie al supporto psicologico di un altro personaggio del romanzo (una sorta di teosofo), alla passione per la musica che riesce a distrarlo dall’infelice proposito, e alla necessità di sostenere l’anziana madre rimasta recentemente vedova e sola. Come prevedibile, anche l’amore fra Ilaria e Luca – nel frattempo divenuto dipendente dall’alcool – subirà col tempo profondi mutamenti, per l’abbandonato giardino edenico dell’ardore amoroso e soprattutto per la mancanza di una volontà di vita in comune e di adattamento reciproco. Di questa situazione non si avvantaggerà Tommaso, pur sempre invaghito, ma trasformatosi ormai in un fedele e rispettoso amico della bella e sfortunata donna. Triste e imprevisto il finale, con un inaspettato mazzo di fiori per Ilaria, che chiude un garbato triangolo amoroso in cui ogni ‘amante’ ha dato tutto quello che poteva, comprendendo e rispettando il sentimento degli altri due.
Fantastico, non tanto, con tracce autobiografiche dell’autore (anch’egli pianista) che al racconto aggiunge profonde riflessioni sulle emozioni e i sentimenti umani ma anche con spunti filosofici ed esistenzialisti, tuttavia meno esplicitati e più nascosti, rispetto alla precedente raccolta di racconti, sono celati all’interno della tragica storia del protagonista, inaspettata e dolorosa, che mette anche il lettore di fronte alla consapevolezza che tutto può cambiare da un momento all’altro, e mostra come un semplice “incidente” erroneo possa rovinare un’intera esistenza.
In molte pagine del libro di De Stefano sono presenti riferimenti alla psicanalisi e a Nietzsche, ma anche un intenso richiamo a Thomas Mann: infatti il crooner Luca rappresenta l’elemento dionisiaco dell’arte, mentre Ilaria identifica la pacatezza apollinea, più raffinata e matura ma ugualmente soggetta allo spirito autodistruttivo. Il tono generale della narrazione è fortemente influenzato dallo spirito pietista che il padre del protagonista ha sempre promosso in famiglia.
Un libro, dunque, da leggere con molta attenzione per la sua delicatezza e intensità, che permette di delineare un quadro preciso sulle diversità dei tre protagonisti, con la musica jazz a fare da fil rouge. È una storia d’amore e di passione, dell’amore in ogni sua forma espressiva, per le persone, per i luoghi, per la musica.
L’ambiguità di tutta quanta la storia dei protagonisti inizia già dal sottotitolo: il Blues mediterraneo di Tommaso che rappresenta invece la mediazione tra le due forze e la nascita dell’arte dal fuoco delle contraddizioni.
Storia di una giovinezza in cui si snoda la peripezia del pianista guercio, che con un significato profondamente universale raggiunge il cuore dei suoi lettori in empatia, dedicato alle radici dell’essere umano. Lo stile è limpido e trasparente, ma trasposto in una dimensione talvolta macabra e allucinante che gli permette di esprimere, come la voce di Ilaria, ogni selvaggia dolcezza e persino un’incestuosa e caina passione.