I dischi che vi abbiamo presentato fino ad oggi per la nostra rubrica “La Soffitta” erano prevalentemente album del passato decisamente degni di nota ma, per qualche motivo, conosciuti solo dai fan dell’artista di turno.
In questa recensione vi presentiamo invece un cantautore italiano il cui Stubborn will (del 2016), forse a causa dell’abbondanza delle proposte musicali che arrivano in redazione, mi era colpevolmente sfuggito.
Si tratta del ferrarese Enrico Cipollini che, se avesse un nome straniero, passerebbe tranquillamente come ottimo songwriter americano, vista l’impeccabile pronuncia inglese con la quale canta gli undici brani – più due strumentali – che fanno parte della track list, tutti scritti, prodotti e suonati (con l’aiuto di altri musicisti in alcuni episodi) da solo.
Il suo stile potrebbe essere avvicinato al Neil Young più acustico o al Bruce Springsteen di The ghost of Tom Joad ed è impreziosito dall’uso saltuario del dobro, che suona tenendo steso sulle ginocchia, facendo scivolare sulle sue corde un tonebar (slide) di metallo ben stretto fra le dita (i fan di Ben Harper ne sapranno certamente qualcosa).
Altro strumento che ogni tanto fa capolino qua e là, che personalmente amo molto, è quell’armonica dalle atmosfere tipicamente folk, capaci di trasferirci oltre oceano solo chiudendo gli occhi.
Aiutato da una voce dolce e limpida, Cipollini racconta le sue storie, spesso malinconiche, attraverso ballate che parlano di amori ormai finiti e di nostalgia con grande delicatezza e intimità. Fra queste spicca certamente la lenta Found dalla melodia incantevole. Parla di un uomo che prima dell’alba si gode la notte e il silenzio con la speranza che la sua donna possa venire a tirarlo fuori dalla solitudine e dalle pessime abitudini, come l’alcool, in cui si è rifugiato per troppo tempo. Ma la consapevolezza delle difficoltà resta in piedi quando canta “It might be late to lift this weight and breathe the air again”. Anche la cullante Run alone affronta un tema simile, ma in questo caso la decisione di restare solo sembra ormai irreversibile “I wish you the best luck / You’ll se me passing by as I run alone”. Un ritmo più “stradaiolo” ed un suono leggermente più rock accompagnano Late Night Train che parla di un uomo che rivela alla sua donna di nome Elaine come il treno dal quale un tempo lei lo fece scendere per stare con lui in realtà lo attragga ancora, come il richiamo di una sirena, spingendolo a riprendere quel viaggio che lo aveva portato a lasciare la sua città, di notte. Do what you can è un bluesaccio ipnotico, sporco di fango e polvere, di quelli che si attaccano addosso e difficilmente riesci a lavarlo via, mentre la finale A dream and a girl, con quel piano morbido e gli archi sullo sfondo, sembra uscito dalla penna del J.D. Souther più ispirato che fece la fortuna di molti pezzi degli Eagles. Il resto di questa collezione resta sempre esteticamente degno di nota ed è veramente un piacere ascoltarlo.
Se Stubborn will significa “una volontà testarda” allora, verosimilmente, il filo conduttore di queste canzoni potrebbe essere proprio la determinazione dei suoi personaggi a prendere delle decisioni forti, ancorché non certo facili, volte a ricercare una solitudine che sembra quasi l’unica via d’uscita.
Un album per tutti coloro che ancora ritengono che la musica abbia il dono magico di scaldare il cuore, proprio come un caminetto farebbe con il proprio corpo o che, semplicemente, sono alla ricerca di un attimo di pace. Eccomi.
Enrico Cipollini – Stubborn Will
Se siete alla ricerca di un attimo di pace, questo è l’album che fa per voi