Se fosse uscito vent’anni fa, Fission, secondo lavoro in studio dei Dead Poet Society, sarebbe senz’altro stato inserito nel calderone nu metal. Oggi si fa fatica a trovargli una degna collocazione. A dirla tutta, la produzione quasi glaciale di Anton DeLost dona ai brani della band una raffinatezza progressive introvabile nel movimento crossover dei primi anni del Duemila.
L’accattivante “Running In Circles” miscela bene toni muscolari e un ritornello dalla presa rapida: questa sarà una formula che verrà riproposta parecchie volte più avanti. “Hurt” ci spiega che il gruppo non disdegna un uso consapevole dell’elettronica, mentre “How Could I Love You” e “Uto” sono terreni di caccia fertili per gli acuti del cantante Jack Underkofler. E’ infatti la voce il vero asse portante del quartetto, mai banale ed incapace di annoiare, soprattutto in brani sofferti come “Tipping Point”. “LA Queen” è un pezzo ad alto tasso di rock ‘n’ roll, che raggiunge uno stato di grazia per merito di un conturbante assolo del chitarrista Jack Collins.
Echi dei Muse del periodo di Drones (“81 Tonnes”) e dei primi Royal Blood (“Koet”) emergono prepotenti, prima di tornare sott’acqua: da questa apnea nasce “Black And Gold”, ultima traccia di Fission, una spericolata sbandata alternative rock, che, in alcuni momenti, ricorda niente di meno che “The Beautiful People” di Marilyn Manson, un caposaldo della già citata scena nu metal.
Al di là di tutto prendiamo il secondo full lenght dei Dead Poet Society per quello che è: una sintesi di un qualcosa che non c’è più come lo conoscevamo noi, ma che loro sono capacissimi di assorbire e reinventare.
Dead Poet Society – Fission
Il nuovo album è una sintesi di un qualcosa che non c’è più come lo conoscevamo noi ma che loro sono capacissimi di assorbire e reinventare