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Dammi tre parole. (parole, parole, parole)

Sostenibilità, resilienza, filiera: tre parole di moda ai tempi del Covid che puzzano un po’ di fregatura

Sostenibilità, resilienza, filiera. Spuntano come funghi in autunno, alla tv, sui giornali e persino nella pubblicità, queste tre parole di moda ai tempi del Covid, ma che puzzano un po’ di fregatura.

Sostenibilità
. Siamo tutti emotivamente d’accordo nel salvare il pianeta adottando comportamenti ecologici a partire dalla scelta dei prodotti della spesa, ma questa sostenibilità sembra essere tutta a carico del consumatore e del suo portafoglio, assomigliando più ad una strategia di marketing piuttosto che ad un piano preciso che favorisca una svolta ecologica senza pesare sui bilanci familiari.
In Italia lo sviluppo sostenibile è disciplinato dal Dlgs n. 152 del 03/04/2006 con le modifiche apportate dal Dlgs n. 4 del 16/01/2008: Ogni attività umana giuridicamente rilevante deve conformarsi al principio dello sviluppo sostenibile, al fine di garantire che il soddisfacimento dei bisogni delle generazioni attuali non comprometta la qualità della vita e le possibilità delle generazioni future, salvaguardando il corretto funzionamento e l’evoluzione degli ecosistemi naturali dalle modificazioni negative che possono essere prodotte dalle attività umane.
Mi chiedo allora perché, tanto per fare un esempio, non si imponga alle industrie produttrici di lavatrici di montare uno stupido filtro che limiti lo scarico di microplastiche in mare (quelle che prima o poi ci ritroviamo nel piatto e poi nel nostro organismo a rilasciare sostanze inquinanti) e che invece, se voglio essere un consumatore responsabile ma senza alcuna obbligatorietà, posso comprare io per ben 30 euro. O perché non si impongano regole più ferree e controlli per evitare l’importazione dalla Cina di capi impregnati di sostanze nocive proibite in Europa che sempre attraverso lo scarico delle lavatrici raggiungono il mare e stanno femminilizzando molte specie di pesci che non si riproducono più. O ancora perché non si imponga la vendita di capi tessuti con materiali riciclabili, dal momento che solo cotone e lana monocolori sono riutilizzabili e il resto del fast fashion finisce in discarica con altissimi costi di smaltimento. A questo proposito, bella e saggia la pubblicità della Levi’s, Buy Better, Wear Longer. Speriamo che il concetto passi a prescindere dagli abiti di marca che non sono per tutte le tasche. Insomma, il consumatore per essere sostenibile, deve acquistare prodotti meno economici di quelli inquinanti (problema particolarmente sentito in questo periodo di vacche magrissime), sperando con i suoi comportamenti virtuosi (e costosi) di indirizzare la produzione delle aziende, anziché il contrario, mentre le classi politiche si rifanno il belletto con la transizione ecologica.

La resilienza è la capacità di un materiale di assorbire un urto senza rompersi e di riacquisire la forma originaria una volta subita la deformazione derivante dall’impatto. In psicologia il significato è esteso anche alla persona ed indica la capacità di superare un trauma o avvenimenti avversi senza abbattersi, anzi traendo dall’esperienza spiacevole nuovi spunti di riflessione e preziose lezioni di vita.
In realtà questa parola abusata suona più come una falsa promessa che vuole convincerci che possiamo farci male per poi tornare come prima o che siamo capaci di vivere in un ambiente difficile e stressante adattandoci e tirando fuori le nostre capacità migliori. Ma l’osservazione smentisce l’ottimismo. L’aumento dell’uso di psicofarmaci, l’abuso di alcol e gli episodi di violenza smascherano la fiaba. In quest’ultimo anno, anziché da resilienti ci siamo comportati come i topi dell’esperimento sullo stress del biologo francese Laborit. Se si somministrano scariche elettriche alla gabbia, i topi che vivono insieme si aggrediscono tra loro ma sopravvivono, mentre il topo da solo si abbatte e muore, dimostrando che lo sfogo dell’aggressività causata dallo stress è ciò che permette di rimanere in vita mentre è l’impossibilità di rispondere con un’azione di attacco a causare malattia e morte. Alla faccia della resilienza.

Filiera. Se do un occhiata al mio vecchio vocabolario Zanichelli della lingua italiana, scopro che filiera significa uno strumento per filare fibre tessili, un dispositivo per trafilare materiali metallici, un disco metallico per filettare le viti, o l’organo addominale dei ragni e non i singoli passaggi di una catena che va dalla produzione alla distribuzione di una merce. Il termine viene utilizzato con quest’ultimo significato soprattutto nel marketing ed anche in questo caso rappresenta una promessa. Utilizzato soprattutto per il settore agroalimentare, indica la tracciabilità e la trasparenza di tutti i passaggi (filiera corta, filiera controllata, la nostra filiera) ma anche un mezzo attraverso cui un’azienda cerca di costruire la sua identità differenziandosi dagli altri produttori. Nelle pubblicità ci viene raccontato miticamente un processo produttivo in mano a singole persone piene di attenzione che ne garantiscono la qualità e luoghi di produzione che assomigliano a quelli di un itinerario enogastronomico, ma, nonostante vi siano aziende serie che responsabilmente controllano i singoli passaggi e le materie prime utilizzate, le truffe e gli smascheramenti sono ancora numerosi.

e/o, Eremita Osservatore
Copertina di eineBerlinerin, rivisitazione di “Il Viandante sul mare di nebbia” di Caspar David Friedrich

About the author

L'Eremita Osservatore

Mi definisco Eremita osservatore per l'ammirazione per Leopardi e la sua straordinaria lucidità. Eremita perchè già prima della pandemia ho inaugurato una fase molto ritirata della mia esistenza, osservatore perché guardando gli altri esseri (dis)umani non mi riconosco più nei loro gusti, comportamenti e divertimenti e li considero al pari di una specie diversa dalla mia, con la stessa curiosità e attenzione di un entomologo.

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