L’ORIGINALE
Fra le canzoni che più di tutte hanno ispirato altri artisti per una personale reinterpretazione c’è senza dubbio Halleujah di Leonard Cohen.
Il brano ebbe una gestazione molto lunga: chiacchierando con Bob Dylan, il cantautore canadese parlò di due anni, ma si corresse in un secondo momento facendo notare che addirittura si era tenuto basso con il collega, per non “sfigurare” davanti a lui che scriveva i propri pezzi in poche ore. Ciò che rende verosimile il tutto, e che molti non sanno, è che in realtà il brano originale conteneva ben 80 strofe, fra le quali si arrivò con fatica alla stesura finale inserita nell’album Various postions (1984), accolto tiepidamente dalla Sony Music. Inizialmente, in realtà, non ricevette neanche l’attenzione del grande pubblico e negli anni alcune di quelle strofe “abbandonate” (per ovvi motivi di sintesi) sono state recuperate dallo stesso Cohen nelle varie riproposizioni dal vivo, come fossero tessere di un puzzle perfettamente intercambiabili fra loro. La prima cover da parte John Cale, ad esempio, ha alcune strofe totalmente diverse dalla versione inizialmente registrata dal suo autore.
Il testo cita passaggi biblici celebri con riferimenti, ad esempio, al Re Davide e al suo peccaminoso innamoramento di Betsabea o a Sansone, che fu legato da Dalila prima che lo consegnasse ai nemici Filistei. In generale il brano si presta ad essere alternativamente interpretato come un inno o con un approccio più malinconico e Cohen scelse decisamente il primo dei due, con un arrangiamento pieno di tastiere ed un ritmo midtempo, in crescendo.
LA COVER
Jeff Buckley (figlio di Tim Buckley) pubblicò la “sua” Hellelujah nel suo splendido album d’esordio: Grace (1994) e, a quanto pare, fu proprio la succitata cover dell’ex membro dei Velvet Underground ad ispirarlo particolarmente. La sua voce unica, suadente e capace di acuti incredibili, rappresenta già di per sé un elemento distintivo netto rispetto a quella di Cohen, bassa e rauca, anche se non meno interessante. L’affascinante arrangiamento è molto scarno – con il solo Buckley e il suono della chitarra elettrica – ma quello che lascia senza parole l’ascoltatore è l’estrema lentezza del pezzo (dilatato fino a toccare quasi i 7 minuti), che progressivamente lo avvolge in una spirale ipnotico/onirica di rara bellezza. Almeno una volta nella vita bisogna regalarsi questa emozione: spegnere la luce, indossare delle buone cuffie e immergersi in questo mare di emozioni senza tempo. Provare per credere.
Tutti conoscono la triste storia di Jeff che, lasciandoci troppo presto, non riuscì mai a godere a pieno del grande successo che invece avrebbe meritato sin da subito. Successo che Hallelujah, – da molti considerata senza pari a livello estetico – ha fortemente contribuito ad accrescere in questi 25 anni. Un’eredità lasciataci suo malgrado che, per fortuna, continua ancora oggi ad essere raccolta dalle giovani generazioni, come avvenuto per altri artisti incredibili come Nick Drake.
https://youtu.be/y8AWFf7EAc4