Recensioni Soundcheck

Boxerin Club – Aloha Krakatoa

Scritto da Carmelo Di Mauro

Se in “Aloha Krakatoa” dei Boxerin Club dovesse esserci un filo rosso, potremmo trovarlo proprio nella capacità della band di maneggiare materiale diverso ricavandone sempre spunti e creazioni originali

Spesso, sono le prime note del brano di apertura a dirci molto del fascino di un disco. Una intro di chitarra ben riuscita, una sessione ritmica da subito coinvolgente, una melodia accattivante e il gioco sembra fatto, l’ascoltatore catturato e l’obiettivo raggiunto. Tutto in apparenza facile, tutto in realtà molto complesso. Non per i romani Boxerin Club che aprono il loro ultimo lavoro in studio con la riuscitissima “Bah Boh” brano accattivante che durante l’ascolto diventa una marcetta tipicamente pop, ma che si apre con una eco di ritmi africaneggianti che tanto sarebbe piaciuta ai Vampire Weekend ed al Paul Simon di Graceland.
Non è un caso, ne un tentativo ben riuscito di imitazione, quanto l’espressione di un comune interesse per i suoni della world music che, inevitabilmente, proprio di Africa sono impregnati. Quello che i Boxerin Club vogliono costruire in musica è un prototipo di “world pop” dove la classica forma canzone sia solo un contenitore e i 3 – 4 minuti di durata del brano servano solo a delimitare un’ispirazione che potrebbe dilatarsi nel tempo e nello spazio.
“Aloha Krakatoa” è l’originalissimo titolo di un album che li vede al debutto sulla lunga distanza, pubblicato da poche settimane dalla sempre attivissima “Bomba dischi”, un lavoro reso inteso e complesso dalle molteplici e differenti influenze di cui la band pare ami nutrirsi. Così, se in “Caribbean town” la ricetta sembra avere ancora una volta come ingrediente la propensione verso ritmi caldi da spiaggia dei caraibi, nel brano successivo, intitolato “It takes to tango” assistiamo ad un cambio di paradigma verso sonorità festanti che sembrano riprendere certe musiche scritte per le bande di paese, con esiti che ricordano alcune delle migliori pubblicazioni di “Julio y agosto”.
Esperimento che si ripeterà con successo, soprattutto per l’accorto uso dei fiati, anche in “Hedgehogs”. Non saranno gli unici cambi di direzione nell’album, anzi, se in questo “Aloha Krakatoa” dovesse esserci un filo rosso, potremmo trovarlo proprio nella capacità della band di maneggiare materiale diverso ricavandone sempre spunti e creazioni originali. Nasce così una ballata pop dallo stile più british come “Clown”, con riff che sembrano presi da un compendio di pop anni ’80. Si compie, quindi, in “Northern flow” un ulteriore passaggio verso un folk melodico, dai tempi più dilatati e dai toni più malinconici. Divagazioni a parte, gli altri momenti del disco si attestano su un sapiente uso di ritmi caraibici, con frequenti spunti folk a meglio definire le melodie ed un uso estremamente sapiente dei fiati, come possiamo ascoltare in “Clouds’ll roll away” e in “Black cat serenade” che chiude il lavoro, invitandoci ad un ballo sfrenato.
Prodotto negli studi vicentini di Marco Fasolo, già con i Jennifer Gentle, prima band italiana a pubblicare per Sub Pop, il disco sembra pronto ad affrontare con determinazione non solo il mercato italiano, ma anche quello internazionale, dove potrebbe riscuotere, anzi, i maggiori successi.
La loro musica, infatti, pur funzionando negli angusti pub nostrani, sembra perfetta per essere proposta sui palchi dei principali festival internazionali. In ogni caso, sarebbe proprio una gran festa.

Carmelo Di Mauro

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