Diciamo la verità: Billy Corgan si era un po’ perso. Dopo aver, di fatto, sciolto gli Smashing Pumpkins originali (pur continuando a pubblicare dischi usando il loro nome), non aveva mai convinto pienamente e di certo era in attesa di ritrovare una propria identità artistica. Cosa fare in questi casi? Lui che ha sempre fatto dell’autarchia totale il suo marchio di fabbrica, questa volta ha scelto di affidarsi al miglior produttore di musica rock: Rick Rubin. È un po’ come se un attore ormai caduto nel dimenticatoio avesse la fortuna di finire in un film di Scorsese o Kubrick.
Dopo aver ascoltato più volte Ogilala (questo lo strano titolo del suo nuovo lavoro) non posso che confermare la bontà delle sue scelte. Direi che, finalmente dopo tanto tempo, le canzoni sono intense, emozionanti attraverso una forma – tendenzialmente acustica e con una produzione essenziale – che le ha rese più profonde, più intime. A volte la ricetta è la più semplice, ma è difficile metterla in pratica e Rubin era lo chef che ci voleva.
L’album si apre con Zowie, ballata struggente dedicata al compianto Duca Bianco. La sua voce e le note di un piano squarciano il silenzio con una melodia che ha la forza di entrare direttamente nell’anima:
That life keeps up running faster than your scars
And Cain isn’t able to build a superstar
I’ll carry back your love to win
Questa malinconia iniziale, anche se con gradazioni diverse, sarà un po’ il filo conduttore che legherà tutti i pezzi, mentre non ci sarà mai posto per quella “rabbia elettrica” che ha caratterizzato tutta la carriera di Corgan. La chitarra acustica di Processional è un’altra carezza triste che riscalda il cuore così come gli archi che accompagnano il piano di Aeronaut (forse l’episodio migliore in assoluto) ci trasportano in una dimensione da sogno.
The long goodbye condensa in poco più di due minuti tutta la dolcezza di cui questo artista è capace quando è così ispirato. E Billy lo è ai massimi livelli.
Mandarynne e Archer piazzati nel finale sono come la ciliegina sulla torta, un dulcis in fundo quasi inatteso vista la qualità estetica che le ha precedute. Ma, in verità potrei citarli tutti i brani, uno da uno, perché questo Ogilala non ha punti di caduta.
Non so se il periodo che stiamo vivendo, a livello di gusti musicali, renderà al cantante americano il riscontro che merita, ma per me questo è un gioiello che meriterebbe di essere ascoltato da chi ama il rock o il folk ed ha tutti gli elementi per essere definito un instant classic.
Grande Billy.
PS: Qui l’artista utilizza per la prima volta il suo vero nome William Patrick e non credo sia un caso perché, forse per la prima volta, ci ha regalato tutto sé stesso. E si sente…