Interviste

Andrea Venturi, Intervista

Andrea Venturi è cresciuto a pane e fumetti. Nell’intervista esce fuori tutto il suo amore per i fumetti e naturalmente per Tex Willer, di cui è disegnatore

Andrea Venturi, bolognese doc, benvenuto su SOund36! Sono fiero di poterti intervistare. Anche io sono un vecchio amante di Tex. Vogliamo cominciare spiegando ai nostri lettori, quali sono state le tue prime letture fumettistiche e come mai Tex?
Anzitutto grazie, Alessandro, per l’occasione di questa intervista.
In queste occasioni mi viene sempre da pensare che in fondo siamo una categoria fortunata, noi fumettisti, in quanto ogni tanto viene dedicata questa attenzione particolare a noi e al nostro lavoro, chiedendoci di spiegare qualcosa in proposito e magari persino quali sono i nostri gusti in fatto di cinema e di musica…
Mentre ci sono altre categorie, come, per esempio, quella degli idraulici, degli elettricisti, ai quali difficilmente vengono poste queste domande…ingiustamente, perché anche quelli sono mestieri estremamente interessanti, spesso frutto, come il nostro di una passione sincera e profonda, fatti di esperienza e sapienza professionale…
che io fra l’altro ammiro immensamente non sapendo fare proprio altro che tenere in mano una matita ed essendo estremamente imbranato in qualsiasi altro tipo di lavoro…
Allora, mi dilungo ( altra cosa a cui bisogna stare attenti con noi fumettisti, perché conduciamo spesso una vita solitaria al tavolo da disegno e attacchiamo bottoni pazzeschi alle prime domande o accenno di dialogo, specialmente in questi periodi)
Per quanto riguarda le mie prime letture l’elenco è lunghissimo e andrebbe ben oltre la vostra pazienza.
Cerchiamo di non farlo troppo lungo senza rinunciare a troppi nomi fra i miei preferiti: dunque da piccolo, come tanti, ho avuto fra le mie mani Topolino, ma non sapevo ancora leggere.
E allora provvedeva con pazienza mia madre, io mi sedevo di fianco guardando con grande attenzione le figure disegnate mentre lei leggeva.
Poi, con le scuole elementari, venne provvidenzialmente il consiglio di una maestra che invitava i genitori a comprare ai propri figli il Corriere dei Piccoli perché in quel periodo conteneva un inserto dedicato a figurine di argomento storico – geografico, utili per le ricerche scolastiche.
Le figurine erano molto belle, riccamente illustrate, ma soprattutto la mia immaginazione fu catturata da un mondo nuovo ed entusiasmante, perché questo meraviglioso settimanale conteneva fumetti italiani, franco-belgi, sia realistici che umoristici, racconti illustrati.
Anche un parziale elenco dei nomi è doverosamente lungo. Autori come Aldo Di Gennaro, Mario Uggeri, Ferdinando Tacconi, Hugo Pratt, Dino Battaglia, Sergio Toppi, Alberto Breccia, Sergio Tuis, Grazia Nidasio, serie come Michel Vaillant, Ric Roland, Valentina, Luc Orient, Blueberry anche ora, facendo questo elenco, mi accorgo che dà la vertigine per la qualità, e quantità, della proposta.
Ma il panorama che mi circondava in quel periodo comprendeva anche le edizioni della Corno che in quegli anni portavano i personaggi della Marvel nelle nostre edicole.
Quindi autori travolgenti come Jack Kirby, John Buscema, Gil Kane, Wally Wood e così via. Sempre in quegli anni la Mondadori stampava le avventure di Superman, di Batman, ed allora ecco Neal Adams, Curt Swan e tanti altri.
E poi, grazie a mio zio e alla sua collezione, Alan Ford, Kriminal, Satanik, ovvero Magnus. Ma anche il Flash Gordon di Alex Raymond. E naturalmente gli immancabili Tex, Zagor, Mister No, pura avventura declinata da Gianluigi Bonelli, Guido Nolitta, Aurelio Galleppini, Gallieno Ferri, Roberto Diso e tanti altri.
Avevamo in casa diversi numeri di queste serie, letture di mio padre su cui ho potuto subito mettere le mie avide manine di lettore.
Pensa, era tale la mia voglia di leggere ogni cosa che ricordo anche di aver letto molti fotoromanzi di “ Grand Hotel “, un settimanale che mia madre acquistava. Tanto che mi sono familiari diversi volti di modelli e modelle specializzati in fotoromanzi di quegli anni… ma non dimentichiamo che spesso quelle storie potevano contare anche sui volti di famosi attori del cinema o del teatro italiano e che oltretutto quella rivista recava in copertina le magnifiche illustrazioni di Walter Molino, uno dei miei favoriti.
Facendo un notevole sforzo mi fermo qui, ma ce ne sarebbero molti altri ancora, mi stavo insomma rendendo conto fin da quei primi anni di quanto fosse bello e vario questo mondo del fumetto.

Immagino che tu abbia tanti ricordi legati alla tua infanzia. Ci sono delle cose che più ti hanno fatto crescere non solo come fumettista? Ad esempio il tuo rapporto con Bruno Bozzetto o con altri disegnatori o sceneggiatori.
Beh, forse come per tutti è nell’infanzia che si gettano tante basi, ma sì, mi accorgo spesso che il rapporto con la mia infanzia è tuttora piuttosto stretto.
Spesso esordisco dicendo “ fin da piccolo…” e poi racconto qualcosa di fondamentale per me.
Se guardo dietro di me, dentro di me, mi rendo conto poi che un’infinità di cose, anche piccolissime, hanno contribuito a farmi crescere: è impossibile farne un quadro esaustivo che non escluda qualcosa di importante…affetti, incontri, amici, fumetti, scuole, cinema, musica…insomma tutto ha contribuito. Come per tutti.
Ho collaborato con lo studio di Bruno Bozzetto per un paio di spot pubblicitari, per un tempo relativamente breve e quindi, pur avendolo incontrato alcune volte durante questa collaborazione, non posso dire di avere avuto con lui una vera e propria frequentazione, purtroppo.
Naturalmente per me era incontrare un mito della mia infanzia, i suoi film di animazione avevano lasciato una profonda impronta nel mio immaginario.
E in quel senso sì che Bruno Bozzetto, soprattutto attraverso la sua opera ha lasciato un segno su di me.
Poi comunque devo dire di ricordare sempre la sua energia e simpatia nei momenti in cui ho potuto incontrarlo.
Una soddisfazione davvero grande per me.
Altri incontri decisivi per me sono stati quello con Aldo Di Gennaro, il mio idolo supremo fin dai tempi del Corriere dei Piccoli. Se dopo parleremo del mio esordio nel fumetto dirò come avvenne il nostro incontro e quale svolta rappresentò nella mia vita.
Poi quello con Magnus, di cui ero fan, che incontrai timidamente una prima volta quando ero ancora bambino, accompagnato da mia madre, fu lui a suggerire per me il liceo artistico.
Silver, il creatore di Lupo Alberto che vide per primo le mie prove per fare fumetti, mi diede fiducia e mi diede modo di realizzare la mia primissima storia a fumetti per la rivista “ Mostri “ di cui era anche editore.
Alla Bonelli venni accolto da Tiziano Sclavi, dal direttore Decio Canzio, da Sergio Bonelli…bastano i loro nomi per definirne l’importanza. Veramente, tutte queste persone, questi incontri rappresentano le fortune più grandi nella mia vita professionale.
Per quanto cerchi le parole ho sempre l’impressione che siano insufficienti a descrivere l’emozione che provai nel conoscerli, l’importanza determinante di ogni successivo incontro con loro.
Conto sul fatto che chiunque ami un po’ il fumetto, conoscendo questi personaggi, si renda benissimo conto senza ulteriori spiegazioni di che cosa enorme può aver significato tutto questo per uno come me cresciuto a pane e fumetti.
Poi, come tengo spesso a dire, ho sempre vissuto i primi anni di lavoro anche come una splendida opportunità di incontrare tanti colleghi che fino al giorno prima erano i miei idoli di lettore, avere una buona scusa per sedermi a tavola con loro e parlare di fumetti è stato un enorme valore aggiunto di questo mestiere.
Non sto a fare qui un elenco dettagliato perché, di nuovo, sarebbe lunghissimo, ma dico semplicemente che tanti di loro mi hanno insegnato tantissimo, sia artisticamente che umanamente.

Che rapporto hai avuto con il tratto di Galleppini e la passione di tuo padre per Tex? Io ci trovo una vaga somiglianza…intellettuale!
Forse intendi nel senso che il tratto di Galleppini è quello su cui si è formato il gusto fumettistico di generazioni di lettori come quella di mio padre?
Effettivamente quando da bambino leggevo gli albi di Tex di mio padre, spesso fra i primi numeri della serie, vedevo quello stile come già più “classico “ rispetto a quello “ moderno “ che trovavo sulle pagine del Corrierino o dei supereroi. Ma, come dicevo, sono sempre stato molto curioso e onnivoro in fatto di fumetto e avevo capito che quegli autori erano i progenitori degli autori più moderni, che le radici dell’avventura e del modo di raccontarla si trovavano nel loro lavoro.
Mio zio aveva anche una qualche numero della ristampa italiana di quegli anni del “ Flash Gordon “ di Raymond edito dai fratelli Spada.
Certo quei disegni, bellissimi, mi sembravano provenire da una realtà grafica più remota, ma forse per questo più affascinante, mitica. Ne ero ipnotizzato.
Ho amato allo stesso modo il tratto di Galleppini che ha creato secondo me un meraviglioso artifizio, come accade per i grandi registi, “ nascondendo “ la sua tecnica raffinatissima dietro una apparente spontaneità del segno, facendoci sembrare quelle immagini come la cosa più naturale, espressione stessa dell’avventura narrata.
Solo i più grandi ci riescono.

Aldo di Gennaro, Sergio Toppi, Ferdinando Tacconi, Dino Battaglia, Hugo Pratt, Grazia Nidasio, Mario Uggeri…e poi; Michel Vaillant, Ric Hochet, Bernard Prince, Luc Orient…per citarne alcuni ovviamente. Ma so di certo che sono personaggi che in qualche maniera hanno dato una svolta alla tua vita di disegnatore.
Dream Team e aggiungiamo subito a questi nomi anche quello di Mino Milani, sublime scrittore e sceneggiatore.
E sembra incredibile, pensandoci, che fosse tutto radunato sulle pagine del Corriere dei Piccoli e poi del Corriere dei Ragazzi.
Solo scorrendo i nomi che hai detto si capisce che c’era quanto di meglio potesse offrire il panorama italiano e quello franco-belga, in fatto di fumetto ed illustrazione. Ognuno di loro dotato di una personalità artistica fortissima. Verrebbe voglia di parlare all’infinito delle loro opere ma la cosa migliore poi sarebbe sempre farle parlare da sè, con i loro segni, colori, parole. Insomma bisognerebbe leggerli. Fortunatamente un po’ di quel materiale comincia ad essere ristampato.
Io, come ho già detto, ho ricevuto un “imprinting “ fondamentale dalla lettura di quelle pagine, il mio gusto si è formato in buona parte lì. Che poi erano anche continue “riletture “ perché ogni volta che finiva la scuola e cominciavano le vacanze estive io correvo in cantina dove avevo un baule che conteneva i miei fumetti, riempivo un paio di sacchetti della spesa, risalivo e mi immergevo nella lettura.
Non ero più a Bologna, ero nei mondi creati da quegli autori.
Ma anche guardando oggi a quelle avventure, quei fumetti, quelle illustrazioni, al netto dell’affetto profondo che nutro per loro, trovo che sia un patrimonio tutt’ora oggettivamente modernissimo, intatto nella sua qualità, nella sua comunicativa, una miniera d’oro per l’immaginario. È un mio grande desiderio che possa essere conosciuto da un pubblico giovane.
Per fortuna adesso, come dicevo, sempre più spesso, quel materiale prezioso affiora in varie ristampe, spesso di pregio e questa è una nuova possibilità di raggiungere nuovi lettori. Oltre naturalmente a quelli vecchi, come me, che vorranno comunque avere l’ennesima ristampa, sempre alla ricerca di una edizione “definitiva “dei loro amatissimi fumetti.

 Come è avvenuto il tuo ingresso nello staff della Sergio Bonelli editore?
Premetto che nel 1990, dopo qualche anno trascorso lavorando per alcuni studi di animazione, realizzando fondali e cercando, insieme a un mio caro amico con cui avevo frequentato le scuole artistiche, qualche occasione per lavorare a produzioni cinematografiche o pubblicitarie, mi resi conto che le cose non giravano sufficientemente.
Probabilmente quel tipo di aspirazioni avrebbe richiesto anche un trasferimento in città più propizie, come Roma, Milano. Era il momento di tirare un po’ le somme. il fumetto era ancora la mia aspirazione principale, ma proprio in quegli anni avevo assistito da lettore all’esordio di autori come Piero Dall’Agnol, Claudio Castellini: erano esordienti ma già sorprendentemente abili tecnicamente e artisticamente, la prospettiva di propormi e di essere accettato mi sembrò ancora più lontana. Una alternativa sarebbe stata quella di rinunciare a certi sogni e ritornare ad un lavoro impiegatizio che avevo lasciato anni prima.
Decisi comunque verso la fine dell’anno di farmi almeno un ultimo, grande regalo.
Siccome avevo trovato su un vademecum di una fanzine il recapito di Aldo Di Gennaro, un autentico gigante dell’illustrazione e del fumetto, il mio disegnatore favorito di sempre, e per sempre, provai quindi a telefonargli e a chiedergli un incontro. Si rivelò subito una delle persone più disponibili e generose che abbia mai conosciuto.
Ecco, se devo individuare una vera e propria svolta nella mia vita è stato quando ho varcato la soglia dello studio di Aldo. Lui mi incoraggiò a presentare i miei lavori a Silver e a Bonelli, telefonò a loro per presentarmi.
Guardammo insieme alcuni dei suoi cassetti colmi di illustrazioni fatte nel corso della sua straordinaria carriera, quasi tutte le conoscevo a memoria ed era incredibile il poter finalmente vedere gli originali, prima di congedarci mi regalò persino una illustrazione che aveva fatto per il Corriere dei Ragazzi, per uno dei tanti mitici racconti a puntate scritti da Mino Milani.
L’ho detto più volte ormai, in ogni intervista, ma devo proprio ripetermi, quando uscii dal portone e mi avviai a riprendere il treno per Bologna dovetti convincermi, con fatica, che non avevo sognato.
Aldo poi divenne uno dei miei migliori amici e questo, appunto, è uno dei regali più belli che la vita mi abbia fatto.
Mi presentai quindi alla Bonelli con la mia cartellina, alcune tavole dei loro personaggi rifatte alla mia maniera, qualche disegno extra fumetto sperando di dimostrare qualche capacità disegnativa…
La mia fortuna a quel punto proseguiva, perché fui accolto da Tiziano Sclavi, Decio Canzio, Sergio Bonelli. L’Olimpo dei fumetti.
Con grande disponibilità accettarono di farmi provare per Dylan Dog. Il personaggio stava conoscendo proprio in quegli anni un crescente successo che poi si rivelò travolgente.
C’era spazio per altri disegnatori, e così mi diedero tre pagine di sceneggiatura, un test per i disegnatori perchè ogni pagina poneva Dylan in tre differenti, ma tipiche, situazioni. Quindici giorni era il tempo, più che ragionevole, per svolgere il compito.
Naturalmente cercai disperatamente di fare del mio meglio, nonostante questo le tavole che portai mostravano qualcosa di buono ma tradivano anche le mie incertezze nel risolvere certe cose, dovevo maturare ancora un pò.
E qui Sclavi e Canzio, ai quali andrà sempre la mia gratitudine, trovarono il modo migliore per farmi continuare la prova. Mi dissero che, se me la sentivo, mi avrebbero spedito le prime dieci pagine di una storia che Tiziano si apprestava a scrivere. Non mi pareva vero, era un’occasione per me straordinariamente stimolante per poter muovere i primi passi nell’ambito di una vera sceneggiatura.
Arrivarono le pagine con una lettera amichevole, incoraggiante dello stesso Sclavi, la conservo sempre fra le cose più care. In qualche modo riuscii a migliorare rispetto alle prime prove, a rendere accettabili quelle prime tavole professionali e così quello diventò il primo albo che ho disegnato per Dylan Dog.
Il suo titolo è “L’uomo che visse due volte “, il n. 67.
Disegnare per la Bonelli, su sceneggiatura di Tiziano Sclavi, per Dylan Dog: cosa potevo desiderare di più?
In quei momenti mi accorgevo che la realtà aveva superato i miei sogni, un’esperienza che poi non capita molte volte nella vita.

Come nasce una storia di Tex? Devi seguire delle linee guida oppure hai spazio e immaginazione a tuo piacimento? Parlo di Tex, ma immagino che anche per gli altri personaggi tu applichi certe “regole”.
 Il lavoro in Bonelli si suddivide solitamente fra chi si occupa della sceneggiatura e chi del disegno.
Una storia di Tex, ma avviene la stessa cosa anche per gli altri personaggi, nasce prima di tutto in forma di soggetto e sceneggiatura e quindi uno sceneggiatore, per mia fortuna , si occupa di questo.
Poi la sceneggiatura arriva sul tavolo del disegnatore e lì comincia il mio lavoro.
Quindi certamente ho una linea guida, anzi, di più, una vera e propria sceneggiatura, vignetta per vignetta.
E di questo, sia detto per inciso, sono veramente contento.
Perché il mestiere di scrittura dei fumetti necessita, come quello del disegno, di un talento davvero particolare e di un esercizio intenso per essere fatto bene.
Se poi considero che ci ho messo tanti anni per imparare a disegnare professionalmente mi viene da pensare che sarebbero necessari altrettanti anni di apprendistato per imparare a scrivere i fumetti.
Per quanto mi riguarda penso di aver avuto sempre, sin dalla più tenera età, un fortissimo desiderio di disegnare, ma di non aver mai sentito lo stesso trasporto, la stessa necessità nei confronti della scrittura.
E questo è già significativo secondo me. Penso quindi di essere fra i tanti disegnatori che sono perfettamente contenti di potersi esprimere col disegno, pratica di per sé già abbastanza complessa e interessante, godendo del supporto di una buona storia scritta da sceneggiatori di talento.
Io poi ho avuto la fortuna non da poco di aver potuto collaborare con alcuni fra i migliori sceneggiatori italiani.
Naturalmente ci sono in ambito Bonelli anche autori cosiddetti “completi “, che scrivono e disegnano le proprie storie, ma, come dicevo, si tratta di avere talento in entrambe le discipline e non è così comune.
Comunque gli albi Bonelli elencano sempre sul retro della copertina i vari autori di quell’albo e le relative competenze.

Un personaggio come Tex, ti ha mai messo in difficoltà durante una storia, considerando che lui ha sempre la soluzione per risolvere qualsiasi cosa! Si affida quasi solo a sé stesso.Trovo che Tex sia un vincitore nato…
Tex è una figura ideale, “ larger than life “. Mi sono rimaste impresse le parole di Mauro Boselli, che come scrittore e curatore di Tex ne custodisce idealmente l’immagine e in una intervista definisce il personaggio come “un uomo senza superpoteri, ma che esprime il talento umano al massimo delle sue potenzialità “.
Diciamo che a me, come a tutti i lettori credo, piacerebbe avere un amico come Tex nella realtà, a cui rivolgersi ogni volta che ci si trova in difficoltà, ogni volta che c’è un torto da raddrizzare. Tex sa sempre trovare la strada per difendere gli oppressi nel modo più giusto e diretto, ed è estraneo a certi schemi e pregiudizi dell’epoca in cui vive, anzi, all’occorrenza diventa un vero ribelle.
Un personaggio insomma molto umano e moderno, che è diventato un vero e proprio amico per generazioni di lettori, non bisogna tradirne l’identità. La mia sfida come disegnatore consiste quindi nel restituire bene questo carattere ai lettori, di essere un buon interprete della personalità di Tex nonostante la mia sia ben diversa, infinitamente più fallibile. E ‘un po’ come il lavoro dell’attore che deve interpretare un personaggio in modo credibile sebbene sia molto diverso da sé. Perché anche io voglio ritrovare sulle mie pagine il mio amico Tex, come su quelle che ho sempre letto e amato.

Apprendo con piacere che tua moglie, Keiko Ichiguchi, è una famosa fumettista, e mi chiedo se hai mai pensato di legare Tex a qualche avventura giapponese…anche amorosa o di sfida… Un po’ fuori dagli schemi dire!
Per quanto il Giappone sia un paese bellissimo e rappresenti uno scenario esotico effettivamente eccezionale, non mi era ancora capitato di immaginare Tex calato in quella realtà. Ma, come dicevo prima, non spetta a me, per fortuna mia, del personaggio e dei lettori, decidere quale direzione prenderanno le avventure di Tex, verso quali orizzonti si dirigerà: il timone è nelle salde mani di Mauro Boselli.
Personalmente penso che per quanta curiosità possa suscitare in noi l’idea di vedergli fare qualcosa fuori dagli schemi, succede così con tutti i personaggi che hanno una identità così importante e definita, ogni eventuale deviazione dai canoni vada studiata con cura ed estrema consapevolezza. Il rischio sarebbe altrimenti di snaturare il personaggio. Ed io per primo, come lettore, non lo desidero.
Posso però dire, giocando un po’ con le parole, di aver già portato Tex in Giappone, nel senso che ho sempre portato con me qualche albo da leggere o rileggere ogni volta che ci siamo recati là ( un po’ come portare la propria patria con sé, un simbolo nazionale ) e anche qualche pagina di sceneggiatura, per poter realizzare, come è capitato, qualche tavola anche là.

Vorrei fare un passo indietro; che differenza passa tra una storia di Tex a colori e una in bianco e nero? Il pubblico mediamente segue quello che propone la produzione, o si fida ciecamente del risultato finale senza farsi domande?
Vedi, io sono cresciuto con i fumetti in bianco e nero, prevalentemente, ma anche a colori e penso di avere imparato ad apprezzare le peculiarità di entrambi. Il fumetto in bianco e nero, come anche una certa sintesi del suo disegno, credo che nascano agli albori della nona arte anche per questioni tecniche di riproducibilità, di stampa. È un discorso molto interessante, ma anche molto lungo e complesso…
Limitiamoci a dire che gli autori di fumetti hanno saputo fare di necessità virtù, inventando soluzioni stilistiche di grande efficacia nell’ambito di questi limiti tecnici, un nuovo linguaggio, che nulla aveva da invidiare al colore o a rese di stampa più sofisticate.
Io amo principalmente il bianco e nero e la sua disciplina ma apprezzo anche molto che gli si vada affiancando il colore offrendo, perché no, qualcosa di diverso, non migliore ma alternativo, ai lettori.
Nell’ambito di Tex, negli ultimi anni vediamo ad esempio i cosiddetti albi “alla francese “, diversi per formato e a colori. Sono realizzati da grandi disegnatori e coloristi che sanno sfruttare al meglio la diversa impaginazione, i colori del west.
C’è da dire anche che le tavole di questi albi vengono concepite fin dall’inizio dal disegnatore per essere colorate, ciò vuol dire che la linea tende ad essere più “ chiara “ proprio come nella tradizione del fumetto francese, molti contrasti infatti verranno realizzati col colore.
Mentre nelle pagine dei fumetti in bianco e nero cerchiamo appunto di creare i contrasti e gli equilibri fra il bianco e il nero che separano e rendono leggibili anche ad un primo sguardo i vari elementi.
Sono due discipline simili ma differenti, ognuna ha le sue peculiarità.
Sia in bianco e nero che a colori comunque tutti gli autori e la casa editrice fanno del proprio meglio per offrire il migliore dei prodotti e il pubblico dei lettori di Tex dimostra sempre molta attenzione, non è mai passivo anche riguardo a queste cose.
Spetta infatti a lui il giudizio ultimo sul frutto del nostro lavoro, che lo porterà alla decisione, importantissima per tutti noi, di acquistare o meno l’albo in edicola o in libreria. Noi facciamo sempre i fumetti che ci piacerebbe leggere.

Che rapporto hai con il cinema?
Beh, molto stretto, insieme al fumetto è la mia forma d’arte preferita. Appartengo alla generazione che si doveva accontentare di un film o due alla settimana in televisione.
Le giornate migliori in vacanza al mare si concludevano con un film all’arena estiva, sotto le stelle, peccato che ormai non esistano quasi più.
Mi è sembrato un miracolo poter avere il primo videoregistratore, disporre dei film. Ora al contrario viviamo una specie di “ ubriacatura “ visto che è tutto, o quasi, disponibile con estrema facilità, ma non mi lamento certo dell’abbondanza, è solo che mi dà una certa vertigine a volte. Da appassionato provo spesso una certa frustrazione nel rendermi conto di avere tutto costantemente a portata di mano e di non poterne approfittare che in minima parte per mancanza di tempo.
Non credo di potermi definire un esperto di cinema, come lo sarebbe un critico cinematografico.
Sono quello che i giapponesi definirebbero “ otaku “ o, come diciamo in occidente“ nerd “, nel senso che sono esageratamente appassionato di un panorama piuttosto vasto, che comprende anche una cinematografia minore, però magari ignoro alcuni capolavori.
Ma per tutto quello che mi piace, e non è poco, nutro veramente una inesauribile, dominante curiosità.
Cercavo di contrabbandare queste mie passioni cinematografiche anche nell’ambito dei miei studi artistici.
Quando cominciai il liceo, infatti uscirono film come “Guerre Stellari “, “ Alien”, visivamente, stilisticamente rivoluzionari per la nostra generazione.
Subito, insieme ad amici compagni di studi, cominciammo a cercare materiale sul dietro le quinte, fotografie e fanzine che ci consentissero di contemplare con maggior attenzione le scenografie, il design degli ambienti, le astronavi e i costumi, capire come venivano realizzati gli effetti speciali, che fra l’altro in quegli anni utilizzavano la tecnica cosiddetta del “ matte painting “. ovvero dipinti di grande realismo che integravano le scenografie che vedevamo sullo schermo.
E non di rado venivano utilizzati fumettisti molto famosi per visualizzare quei mondi, per realizzare gli storyboard.
Era tanto forte la passione per tutte queste cose che , come dicevo prima, avevo anche seriamente desiderato di lavorare in quell’ambito. E così durante i vari esercizi di disegno, architettura e scenografia al Liceo Artistico, all’ Accademia di Belle arti, io inseguivo, quando era possibile, la visualizzazione di quel tipo di immaginario.
Mentre lavoro facendo fumetti non posso distrarre il mio sguardo, ma posso ascoltare i film.
Ora lo faccio attraverso internet, ma quando cominciai negli anni 90 mi ricordo che avevo registrato l’audio di alcuni film sulle audiocassette e continuamente le riascoltavo. Ci sono alcune commedia all’italiana, fra i miei generi favoriti, che hanno una trama sonora impeccabile, fatta di un intreccio di dialoghi e musiche veramente serratissimo.
Provate ad ascoltare solo l’audio de “Il sorpasso “, per esempio, e ve ne renderete conto.
Comunque fra gli autori che preferisco ci sono nomi di autentici maestri come Hitchcock, Kubrick, Wilder, Monicelli ma anche qui mi limito a citare pochi nomi essenziali, rinunciando a malincuore a proseguire in un elenco che sarebbe lunghissimo.

Quante ore richiede fare una tavola? Ti senti più un artigiano del disegno, oppure un disegnatore?
Una tavola per me richiede all’incirca un paio di giorni di lavoro, con un tempo medio giornaliero al tavolo da disegno di otto ore. Il contenuto della tavola, naturalmente può contribuire a variare, più o meno, questo tempo.
Se ci sono molti particolari , ambientazioni complesse, necessità di ricercare documentazione il tempo scorre più in fretta. 
A dire la verità non mi pongo molto la questione dell’artigianalità o dell’artisticità, Cerco di fare bene il mio lavoro illustrando la sceneggiatura, ispirandomi a vari modelli, cercando una soluzione personale in base a quello che mi suggerisce il mio gusto, quindi c’è un elemento di creatività, poi quando mi trovo a realizzarla su carta trovo che sia necessario un certo mestiere, fatto di metodo, di disciplina, di strumenti, quindi un po’ una dimensione artigianale, come quella di un falegname. E’ arte? E’ artigianato? Chi lo sa?
Secondo me l’importante è che funzioni.
Una volta Oreste Del Buono in una prefazione ad un volume a fumetti di Vittorio Giardino ha scritto “la narrativa d’avventura non può non essere artigianato al servizio del sentimento “ È una definizione che mi piace.

Vorrei concludere questa intervista, un po’ come faccio con tutti, chiedendoti come hai passato il lockdown scorso, e come vedi il futuro prossimo di tutte le forme d’Arte.
Beh, come abbiamo detto spesso fra colleghi, telefonandoci durante questo lungo periodo, non è che poi sia cambiata di molto la nostra realtà quotidiana, visto che è fatta di tante ore passate al tavolo da disegno, il più delle volte in casa, o comunque in uno spazio isolato come uno studio.
Poi, naturalmente, i pensieri, le preoccupazioni e le speranze sono gli stessi che tutta la popolazione del mondo condivide.
In fondo ho cercato una consolazione pensando che la nostra generazione è stata, finora, eccezionalmente fortunata, anche rispetto a quella appena precedente dei nostri genitori o dei nonni. Loro avevano conosciuto più o meno da vicino realtà come quella della guerra molto più drammatiche e prolungate rispetto a quella che stiamo vivendo.
E forse è anche a causa del benessere che abbiamo conosciuto noi delle ultime generazioni che stiamo patendo una frustrazione che non avevamo mai conosciuto. Come quella, giusto per fare un esempio, di non potere viaggiare come desideriamo, quando ormai ci eravamo un po’ abituati a considerarci cittadini del mondo.
In questo periodo mi sono rivolto ancora più del solito alla mia biblioteca casalinga, alla mia collezione di film ( sono fortunato) e ho potuto viaggiare con la fantasia.
Per me questa è stata una preziosissima valvola di sfogo. Io non posso sapere cosa sarà dell’arte nel futuro prossimo o remoto. Però se ci penso trovo che gli esseri umani hanno sempre avuto, fin dall’epoca preistorica, un innato bisogno di lasciare un segno, magari proprio il disegno di una caccia dipinto sulle pareti di una grotta, di raccontare e di sentire racconti di altri, di esprimere una visione del mondo, delle cose.
Quello che chiamiamo espressione artistica.
Questo non cambia, fondamentalmente, anche se cambiano le forme di espressione artistica, le modalità per fruirne. I miei bisnonni, molti anni fa, in campagna, si riunivano alla sera nel posto più caldo della casa, magari nella stalla, e si raccontavano storie, vere o inventate. Ora abbiamo telefonini che sono porte attraverso le quali si accede al patrimonio dell’immaginario dell’intera umanità, di tutte le epoche.
Quanto e come cerchiamo l’arte nella nostra vita quotidiana? La risposta a questa domanda forse può darci un’idea di come potrà essere il suo futuro, la sua importanza nella vita di domani. Ma chissà che in questo futuro di storie da raccontare, da leggere, non ci sia spazio anche per il “giornalino “di carta, così bello da tenere in mano e funziona sempre, anche senza aggiornare una “app “, senza batterie.

Vorrei ringraziarti, anche a nome di SOund36, per avermi concesso un po’ del tuo pochissimo tempo. È stato bello parlare con te, anche se in forma virtuale. Grazie ancora.
Grazie a te e a chi ha avuto la pazienza di leggerci, un abbraccio virtuale!

About the author

Alessandro Ettore Corona

Alessandro Corona nasce a Bassano del Grappa (VI) nel ’57. Dopo aver vissuto in varie zone del Veneto, si trasferisce a Bologna negli anni’70, seguendo tutto il movimento artistico di quel periodo; dai fumetti di A. Pazienza e N. Corona, alla musica rock britannica e americana, a quella elettronica di stampo tedesco, al cinema d’avanguardia tedesco e francese, per approdare poi alla scoperta della fotografia internazionale seguendo corsi di approfondimento e di ricerca.

Scatto per non perdere l’attimo.
Esistono delle cose dentro ognuno di noi, che vanno messe a fuoco.
Esistono cose che ci circondano e che non vanno mai perse, attimi che possono cambiare il nostro futuro; ognuno di noi ha un’anima interiore che ci spinge verso quello che più ci piace o ci interessa.
Io uso la macchina fotografica come un prolungamento del mio braccio, la ritengo un contenitore enorme per catturare tutti quei momenti che mi appartengono.
Passato e futuro si uniscono fondendosi insieme e per caratterizzare l’anima degli scatti creo una “sensazione di fatica” nella ricerca dell’immagine mettendo in condizione l’osservatore, di ragionare e scoprire sé stesso dentro l’immagine.
Trovo interessante scattare senza pensare esattamente a quello che faccio; quando scatto il mio cuore muove un’emozione diversa, sento che la mia mente si unisce con estrema facilità al pulsante di scatto della mia macchina, non esito a cercare quel momento, non tardo un solo secondo per scattare senza riflettere.
Il mio mondo fotografico è principalmente in bianco e nero, il colore non lo vedo quasi più, la trasformazione cromatica è immediata.
Non esito: vedo e scatto!
La riflessione per quello scatto, si trova in mezzo tra il vedere e lo scattare senza esitare sul risultato finale, senza perdere tempo in quel momento.
Diventa immediato per me capire se quello che vedo e che intendo scattare può essere perfetto,
non trovo difficile esprimere quello che voglio, la macchina fotografica sono io.
Ogni scatto, ogni momento, ha qualche cosa di magico, so che posso trasmettere una riflessione quindi scatto senza cercare la perfezione estetica perché nella fotografia la foto perfetta non esiste, esiste solo la propria foto.
Works:
Fotografo e grafico: Mantra Informatico (cover CD), Elicoide (cover LP)
Fotografo ufficiale: Star for one day (Facebook). Artisti Loto (Facebook)
Fotografo ufficiale: Bowie Dreams, Immigrant Songs, Roynoir, Le Sciance, Miss Pineda.
Shooting: Federico Poggipollini, Roynoir, Heide Holton, Chiara Mogavedo, Gianni Venturi, Double Power big band, Progetto ELLE, Star for one day, Calicò Vintage.
Radio: Conduttore su LookUp radio di un contenitore artistico, con la presenza di artisti.
Fotografo ufficiale: John Wesley Hardyn (Bo), Reelin’and Rocking’ (Bo), Fantateatro (Bo), Nero Factory (Bo), Valsamoggia Jazz club (Bazzano), Friday Night blues (Bo), Voice club (Bo), Stones (Vignola), il Torrione (Fe), L’officina del gusto (Bo), Anzola jazz, Castelfranco Emilia blues, Bubano blues, Mercatino verde del mondo (Bo), L’Altro Spazio (Bo), Ramona D’Agui, Teatro del Pratello (Bo), P.I.P.P.U Domenico Lannutti, Insegui L’Arte (Badolato CZ), Artedate (Mi), Paratissima Expo (To), Teatro Nuovo e club Giovane Italia(Pr), Teatro Comunale e Dehon (Bo), Teatro delle Passioni (Mo).

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