Interviste

Andrea Laino, Intervista

Andrea Laino è stato definito dalla stampa specialistica “un talento in tumultuosa crescita”

 

Ciao Andrea, con immensa gioia riesco finalmente ad intervistarti, portando via un po’ del tuo tempo prezioso. Come nasce “Laino & Broken Seeds” e quali sono i tuoi riferimenti musicali?
Grazie Alessandro, figurati racconto volentieri qualcosa sull’origine della band. Era il 2014 e si formò un quartetto attorno alle mie canzoni scritte su una chitarra resofonica. Alcune erano strumentali, altre cantate in inglese. Tornavo da un breve soggiorno negli Stati Uniti. Non avevo mai scritto canzoni prima di quel viaggio, ma tornato in Italia alcuni versi sono iniziati a suonare bene sui riff di chitarra che creavo. Il genere musicale su cui hanno preso forma queste idee era quello dell’American Primitive, come riferimento principale citerei John Fahey. Poi c’erano già molti riferimenti alla musica grunge che ho ascoltato abbondantemente da ragazzo negli anni ’90.

Nel 2017, durante una tua esibizione al “John Wesley Hardin” ti ho scoperto, per me sei stato una vera rivelazione! Le cose che mi colpirono furono diverse; dalla strumentazione che sembrava rudimentale ma non lo era, alle canzoni, cosi crude e passionali. Perfino il disco aveva una copertina bellissima (The Dust I Own). Iniziamo da qui?
Quel disco in effetti vede il consolidamento della band in un duo, chitarra e batteria. Si trattava di una ricerca dell’essenziale tra me e Gaetano Alfonsi alla batteria e percussioni. Io portavo i riff delle canzoni, le strutture principali e lui trovava il modo di dare un groove originale a qui pezzi.
La ricerca di un suono “vivo”, lontano dai cliché, e l’idea di unire la natura blues/roots delle mie idee con i ritmi delle marching band di New Orleans sono state le fondamenta di The Dust I Own. Il disco è uscito nel 2017 per l’etichetta tedesca Off Label Records. Con noi nel disco c’è il grande Mauro Ottolini che con il sousaphone ha dato un tocco veramente speciale a tutti i pezzi.

Le tue radici affondano nelle tradizioni del blues, in particolare quella del Delta del Mississippi. Il tuo cuore e il tuo modo di pensare sono sempre stati dettati da questo pezzo di terra degli Stati Uniti?
Sono un ascoltatore dai gusti molto variabili. Passo dal blues acustico agli ZZ Top, dall’ambient di Fripp e Eno al Trash Metal, fino alla classica…tuttavia sono cresciuto da bambino ascoltando quello che amava ascoltare mio padre: Bob Dylan, Bruce Springsteen, Rolling Stones. Il riferimento alla terra in cui il blues è nato, volendo citare il titolo di un famoso libro di Lomax, credo sia un passaggio obbligato per chi voglia suonare la slide guitar. C’è molto mistero sulla nascita di questa musica, molta sofferenza. Io mi sono accostato a questa tradizione musicale sentendomi libero di prendere quello che sentivo più “mio” senza preoccuparmi troppo di contaminarlo con strutture musicali che non fossero il blues in 12 battute. Mi sono appassionato a questa terra e la sua storia leggendo il bellissimo libro di Mario Maffi intitolato appunto “Mississippi”. Ho trovato molto stimolante l’approccio alle “accordature aperte” usate dai chitarristi come Charlie Patton, un riferimento fondamentale per l’open G. Tutti i pezzi del disco del 2017 e dell’EP del 2015 sono stati scritti su quest’accordatura. Un po’ limitante se vuoi, ma ho preferito cercare un mio vocabolario nell’esplorare la chitarra sotto questa prospettiva. Tutto quello che avevo imparato suonando la chitarra nella sua accordatura “standard” non mi serviva a molto. Non sapevo dome mettere le dita! Quindi mi sono fatto guidare dall’orecchio e sono uscite queste canzoni.

Durante le tue esibizioni, come fanno i bravi bluesman, racconti aneddoti di vita, facendo conoscere al pubblico quei lati nascosti del blues degli anni ‘20/’30. Ti va di raccontare qualcosa anche a noi?
Non sono molto bravo a raccontare questi aneddoti in realtà…il vero maestro di questo è Roberto Menabò. Lui si che ne ha di aneddoti da raccontare. Penso che uno dei più bei concerti di blues acustico l’ho sentito proprio in quel locale in cui mi hai conosciuto e in cui ho avuto il piacere di ascoltare Roberto. Io preferisco limitarmi a far parlare le mie canzoni. Quando ci sono le condizioni per unire la musica giusta al pubblico giusto, possono succedere cose veramente belle.

I “Laino & Broken Seeds” sono composto da Gaetano Alfonsi alle percussioni ed effetti, e di recente si è aggiunto Salvatore Lauriola al basso elettrico. Ci racconti qualcosa di più delle solite cose sulla band?
Trovare un terzo elemento per la band è stato un processo lungo. Abbiamo incontrato musicisti eccezionali lungo il nostro cammino. Vista la direzione elettrica che stava prendendo il repertorio e il nuovo disco è stato determinante trovare un bassista elettrico come Salvatore che suona da veramente molto tempo con Gaetano anche in altri progetti. Sebbene io scriva gran parte dei pezzi quasi in solitaria, l’apporto della band è fondamentale per la riuscita di tutto dal vivo e in studio. Sono proprio contento di poter suonare con loro.

La tua esperienza Americana dal 2013 deve averti dato moltissimo. Cosa hai scoperto di così importante e profondo per poi ritornare in Italia e formare il duo? Non ti sarebbe piaciuto restare lì?
Quel mio viaggio a New York, una città che ho sempre sognato di vivere un po’ per tutta la sua storia di musica jazz e blues, ma anche di ricerca sperimentale, sicuramente è stato un viaggio liberatorio. Tuttavia capii che era importante tornare a casa con quello che avevo per far crescere quei semi che avevano bisogno di un po’ più di protezione e tempo per germogliare e crescere. Ho trovato in America un’energia che non avevo mai sentito prima. Girare per New York è un po’ come sentirsi in un film…poi ho vissuto la cosa secondo la mia idea di vacanza: non facevo il turista visitando i monumenti, andavo a sentire dai due ai tre concerti al giorno! Ho incontrato musicisti disponibili a jammare con me, ho visto bei concerti. È stata infondo una vera boccata d’aria.


Trovo molto interessante la tua sperimentazione con strumenti musicali non comuni, come il diddley-bow e la kalimba. Vuoi parlarci di questo tuo percorso di ricerca del suono?

Amo improvvisare, farmi guidare da quello che può succedere senza dover per forza seguire una partitura, fosse anche solo per la durata di un solo. Io e Gaetano ci siamo sempre trovati bene da questo punto di vista. Allo stesso modo sono attratto dalle sonorità non convenzionali. Quella del diddley-bow è stata una scoperta che ho fatto grazie a Scott Anslie. Fu lui stesso a indicarmi come costruirlo: una scatola di sigari, una mazza di scopa, una meccanica per l’unica corda dello strumento. Poi ho aggiunto il mio tocco personale usando il campanello della bici come ponte…una sola corda può sembrare troppo limitante, mentre io credo che siano proprio i limiti a stimolare la creatività

“Sick to the Bone”, il vostro nuovo album uscirà per Off Label Records il 28 maggio 2021. Il singolo, come tutto l’album, è stato registrato in Italia e mixato negli U.S.A a Chicago dal produttore JD Foster (Marc Ribot, Calexico, Vinicio Capossela, Pan Del Diavolo). Che sorpresa troveremo rispetto al primo lavoro?
Il suono si è evoluto verso una dimensione più vicina al rock psichedelico e al desert rock che al blues. Il tocco di JD è stato determinante per dare al disco un suono che rispecchiava l’intenzione delle canzoni. Ci sono brani piuttosto ruvidi come “Spells and Magic” dove a guidare sono i riff di chitarra ipnotici e gli ampli saturati. Altri con sonorità più pulite come “Lost Dead Island” in cui si sente di più il legame con la tradizione musicale di New Orleans. L’ibrido di blues e marching band è rimasto. Abbiamo solo fatto saturare di più il tutto! Alla band poi si è aggiunto il basso elettrico di Salvatore Lauriola. Si è inserito nel sound della band dando un apporto fondamentale, appena avrete il vinile sul giradischi ve ne accorgerete! A completare il tutto c’è la copertina disegnata da Nanà “Oktopus” Dalla Porta, l’Hammond di Paolo “Pee Wee” Durante e un brano scritto assieme ad Afnorock intitolato “Winanta”.

La situazione legata all’emergenza da Covid-19 da un anno a questa parte, ha sbarrato le porte a tutta l’Arte. Come stai vivendo questo momento inaspettato e con una complicata via di uscita? Non bisogna arrendersi ovviamente..
No no, non ci arrendiamo. D’altronde tutto è andato avanti per noi, solo più lentamente. Certo non si tratta di uno scherzo. Ci sono intere categorie che sono rimaste senza lavoro da un giorno all’altro. Ora speriamo di poter ripartire imparando qualcosa da quello che è accaduto.

Andrea ti ringrazio di cuore anche a nome della redazione di Sound36 per queste chiacchere, confido nel rientro alle scene quanto prima, e che il vostro nuovo lavoro raggiunga lo stesso meritato traguardo del primo. See you!
Grazie Alessandro! A presto

Intervista e foto: Alessandro Corona

About the author

Alessandro Ettore Corona

Alessandro Corona nasce a Bassano del Grappa (VI) nel ’57. Dopo aver vissuto in varie zone del Veneto, si trasferisce a Bologna negli anni’70, seguendo tutto il movimento artistico di quel periodo; dai fumetti di A. Pazienza e N. Corona, alla musica rock britannica e americana, a quella elettronica di stampo tedesco, al cinema d’avanguardia tedesco e francese, per approdare poi alla scoperta della fotografia internazionale seguendo corsi di approfondimento e di ricerca.

Scatto per non perdere l’attimo.
Esistono delle cose dentro ognuno di noi, che vanno messe a fuoco.
Esistono cose che ci circondano e che non vanno mai perse, attimi che possono cambiare il nostro futuro; ognuno di noi ha un’anima interiore che ci spinge verso quello che più ci piace o ci interessa.
Io uso la macchina fotografica come un prolungamento del mio braccio, la ritengo un contenitore enorme per catturare tutti quei momenti che mi appartengono.
Passato e futuro si uniscono fondendosi insieme e per caratterizzare l’anima degli scatti creo una “sensazione di fatica” nella ricerca dell’immagine mettendo in condizione l’osservatore, di ragionare e scoprire sé stesso dentro l’immagine.
Trovo interessante scattare senza pensare esattamente a quello che faccio; quando scatto il mio cuore muove un’emozione diversa, sento che la mia mente si unisce con estrema facilità al pulsante di scatto della mia macchina, non esito a cercare quel momento, non tardo un solo secondo per scattare senza riflettere.
Il mio mondo fotografico è principalmente in bianco e nero, il colore non lo vedo quasi più, la trasformazione cromatica è immediata.
Non esito: vedo e scatto!
La riflessione per quello scatto, si trova in mezzo tra il vedere e lo scattare senza esitare sul risultato finale, senza perdere tempo in quel momento.
Diventa immediato per me capire se quello che vedo e che intendo scattare può essere perfetto,
non trovo difficile esprimere quello che voglio, la macchina fotografica sono io.
Ogni scatto, ogni momento, ha qualche cosa di magico, so che posso trasmettere una riflessione quindi scatto senza cercare la perfezione estetica perché nella fotografia la foto perfetta non esiste, esiste solo la propria foto.
Works:
Fotografo e grafico: Mantra Informatico (cover CD), Elicoide (cover LP)
Fotografo ufficiale: Star for one day (Facebook). Artisti Loto (Facebook)
Fotografo ufficiale: Bowie Dreams, Immigrant Songs, Roynoir, Le Sciance, Miss Pineda.
Shooting: Federico Poggipollini, Roynoir, Heide Holton, Chiara Mogavedo, Gianni Venturi, Double Power big band, Progetto ELLE, Star for one day, Calicò Vintage.
Radio: Conduttore su LookUp radio di un contenitore artistico, con la presenza di artisti.
Fotografo ufficiale: John Wesley Hardyn (Bo), Reelin’and Rocking’ (Bo), Fantateatro (Bo), Nero Factory (Bo), Valsamoggia Jazz club (Bazzano), Friday Night blues (Bo), Voice club (Bo), Stones (Vignola), il Torrione (Fe), L’officina del gusto (Bo), Anzola jazz, Castelfranco Emilia blues, Bubano blues, Mercatino verde del mondo (Bo), L’Altro Spazio (Bo), Ramona D’Agui, Teatro del Pratello (Bo), P.I.P.P.U Domenico Lannutti, Insegui L’Arte (Badolato CZ), Artedate (Mi), Paratissima Expo (To), Teatro Nuovo e club Giovane Italia(Pr), Teatro Comunale e Dehon (Bo), Teatro delle Passioni (Mo).

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