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50 pagine al giorno- L’Odissea e l’arte di essere mortali di Alessandro D’Avenia

Scritto da Giulia Carlucci

Il cuore gli urlava nel petto. Come una cagna difende i suoi cuccioli, abbaia a chi non conosce e si prepara a combattere, così urlava il cuore dentro di lui. E comprimendosi il petto egli parlavaal suo cuore: . OMERO, Odissea, XX 13 sgg.

Alessandro D’Avenia rilegge per sé e con noi i 24 canti dell’Odissea. Lo fa con la delicatezza con cui si maneggia qualcosa di prezioso, un patrimonio per la nostra esistenza.
Odissea: il poema epico forse più noto e amato della nostra civiltà ma anche il termine a cui si ricorre per definire un’esperienza travagliata e, molto spesso, la vita.
40 giorni, in cui vengono narrati gli ultimi 20 anni della vita di Ulisse, 10 passati partecipando a una guerra non sua e 10 impegnati nel ritorno a Itaca. 40 giorni in cui Ulisse vive, si racconta, 40 giorni in cui rinasce uomo nuovo e ne esce con nel cuore non solo il proprio passato, ma anche la profezia del compimento del proprio destino.
L’Odissea ci si mostra in una nuova veste, come racconto della resistenza- l’avventura di Ulisse che resiste alle avversità per tornare alla sua Itaca-, ma anche della ri-esistenza dell’uomo, che nasce di nuovo abbandonando l’Isola di Calipso e riappropriandosi della sua mortalità. La partenza di Ulisse è la sua e la nostra rinascita.
Ulisse dal molteplice ingegno, come lo definisce Omero, è versatile ma la caratteristica che più lo avvicina a noi è la sua capacità di parlare al suo cuore. Nel dialogo con la parte più profonda di sé Ulisse si conosce, si rinnova ed è pronto a compiere il suo destino.
Rileggere il poema omerico è per l’autore stesso un momento di confronto con sé, con le proprie paure e i propri limiti e allo stesso tempo rappresenta la chiave di volta della sua esistenza: le paure, i vuoti, le ombre possono così scaricare il loro peso ai lati e permettere alla costruzione la leggerezza e la comprensione dell’unicità della propria vita. Questo significa essere mortali, essere unici.
In Resisti cuore, D’Avenia ci insegna che cultura viene dal latino colo e significa mi prendo cura: è colto chi ha cura, e la cultura si crea prendendosi cura di quel pezzetto di mondo che ci spetta.
Così il classico si appropria della modernità e l’Odissea parla a ognuno di noi, ci racconta la nostra vita, ci regala strumenti di comprensione e si configura come la storia di ogni uomo e di ogni donna. Itaca siamo noi, o meglio è quella parte di noi più profonda e vera cui tendiamo quando, toccato il fondo, troviamo la spinta a risalire.
La nostra vita è quella storia che facciamo fatica a raccontare finché non capiamo che la nostra mortalità non è un difetto, ma la condizione della nostra unicità.  Dobbiamo imparare a essere fragili, a mostrare le nostre ferite: chi ci ama le accarezzerà, avrà cura di quelle debolezze. Siamo fatti di cicatrici, ogni evento, ogni incontro è una ferita che ci cambia e ci ridisegna, una porta attraverso cui far uscire la nostra luce e far entrare quella del mondo.
È amare che ci fa venire alla luce e dà la luce, ma è anche l’unica cosa che ci rende mortali. “È curarsi la morte a vicenda”. Come l’Odissea anche Resisti cuore è un libro che va letto e riletto, consumato perché ci offre sempre luoghi diversi da cui partire, per capire e imparare ad avere cura di noi.  Parole semplici e profonde che raccontano una storia universale.
Se Italo Calvino ci ha insegnato che leggere i classici permette il dialogo tra passato e presente, D’Avenia ci mostra come questa lettura ci permette di mettere in discussione la nostra stessa esistenza e di farne una ri-esistenza. A ogni rilettura nella strada verso la nostra Itaca impariamo a rinascere, comprendiamo qualcosa di diverso di noi, del nostro vissuto e della nostra stessa esistenza presente.
Essere mortali -ci suggerisce D’ Avenia -vuol dire tendere alla realizzazione del proprio unico destino e “la vita è imparare ad abitare la propria condizione, un viaggio meraviglioso ma faticoso, di continuo ritorno a se stessi, nel gioco di morti e rinascite.” È ora di abitarsi e di continuare ad aver cura.
“Non siamo fatti per sopravvivere ma per vivere sopra”, nascere è compiersi, trovare il senso della propria presenza.
Grazie per questo bellissimo viaggio, per ogni ritorno e soprattutto per questo inizio.

Ἄνδρα μοι ἔννεπε, Μοῦσα

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Giulia Carlucci

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