Interviste

Amelie Tritesse – Intervista

Scritto da Annalisa Nicastro

I lettori di SOund36 non possono assolutamente perdere Cazzo ne sapete voi del Rock and Roll (Interno 4 Records/NdA, distro Goodfellas), un libro-cd del gruppo teramano Amelie Tritesse. 10 racconti brevi ma intensi, storie di vita vissuta accompagnate da musiche che avvolgono e arricchiscono le parole.

Come nasce un reading rock? È la musica che si pone al servizio del racconto?
[Manuel Graziani
, voce narrante, batteria & basso del gruppo] Il progetto Amelie Tritesse è nato nell’estate del 2007 dopo la pubblicazione del mio romanzo breve “La mia banda suona il (punk)rock” (Coniglio Editore) per questo, almeno inizialmente, è stata la musica ad essere al servizio delle parole che erano già state scritte: mi riferisco a pezzi come la title track, “Una ballata per Jeffrey Lee”, “La sudarella” e “Liverpool pub”. Gli altri 6 pezzi del cd-libro hanno avuto una gestazione differente, sono stati più il frutto di un intreccio tra la musica e il racconto. Da un po’ stiamo sperimentando anche il procedimento inverso, ovvero partire dalla musica per poi costruirci sopra una storia e devo dire che la cosa è assai stimolante. Quel che è certo è che ci interessa raccontare delle storie quindi la dimensione del racconto, nelle sue diverse forme, sarà sempre preponderante.

Il grigiore della provincia italiana è sapientemente stemperato dall’ironia. Immagino che sia frutto di un’accettazione matura del luogo in cui si vive?
[M.G.] Ti ringrazio! Mi fa piacere che sia stata colta l’ironia di fondo, ma non penso che la provincia sia poi così grigia: ci sono mille sfumature di colore, basta coglierle e saperle raccontare, magari proprio attraverso l’ironia e l’autoironia. Certamente le nostre sono storie di provincia perché ci siamo nati e ci viviamo tutti i giorni, la provincia è una realtà che conosciamo bene con i suoi pregi e i suoi difetti. In un certo senso è vero che si è trattato di “un’accettazione matura” ma senza alcuna sofferenza o rimpianto. Personalmente ho scelto di tornare a vivere in provincia e ne sono molto felice, ho un bisogno psicofisico di scambiare quattro parole in dialetto col barista, il fornaio e il giornalaio sotto casa. Ciò detto non penso che le nostre siano storie di provincia tout court, parlerei piuttosto di storie minime che accadono ovunque ci sia una comunità che interagisce secondo dinamiche umane.

Volevo soffermarmi su una sensazione che pervade i vostri racconti. Leggendoli mi sembra di entrare in una dimensione passata. È semplicemente una licenza letteraria parlare di TDK D 46 e autoradio?
[M.G.] Sarò retorico ma sono convinto che non si possa affrontare il futuro senza guardare al passato che è stato il momento delle scoperte, delle prime palpitazioni (sentimentali, musicali, ecc.), della formazione personale e della presa di coscienza; tutte cose incancellabili nella memoria di ognuno di noi. D’altro canto non sono un nostalgico e non penso affatto che “si stava meglio quando si stava peggio” e, rimanendo nel territorio musicale, non mi reputo un retromaniaco alla Simon Reynolds. L’autoradio e la cassetta TDK citati nel pezzo che dà il titolo al cd-libro, peraltro tratto dal mio romanzo breve, non sono un’invenzione: è la pura verità. Sia io che Paolo (il chitarrista e “voce cantante” degli Amelie Tritesse) abbiamo ancora l’autoradio in macchina. Io non ci ascolto soltanto le cassette di quando ero adolescente ma anche molti nastri doppiati dal vinile di recente.

Parliamo di “Cazzo ne sapete voi del rock and roll” che è poi anche il titolo della raccolta. Cos’è il rock and roll per gli Amelie Tritesse?
[M.G.] Domanda impegnativa… facendola breve ti rispondo che il rock and roll è tutto, ci ha salvato e continua a salvarci la vita. E quando parlo di rock and roll, ovviamente, non mi riferisco a tatuaggi, giubbotti di pelle e a tutto l’immaginario trito e ritrito oramai in pasto a cani e porci. Il rock and roll è un modo di prendere la vita come viene, è libertà allo stato puro, è adrenalina che scorre nelle vene, è la botta che ti dà l’ennesimo ascolto di Fun House degli Stooges così come l’emozione di vedere tua figlia di 3 anni che sta percuotendo come una forsennata la batteria di Hello Kitty che le hai regalato a natale.

Qual è la risposta del pubblico al vostro lavoro, indubbiamente richiede un’attenzione attiva da parte dell’ascoltatore…
[M.G.]
È indubbio che la nostra proposta richieda un po’ di attenzione o quantomeno la voglia di mettersi lì ad ascoltare delle storie, anche se in fin dei conti è solo r’n’r (per lo più parlato ma pur sempre r’n’r) e questo non va mai dimenticato. Se ci dovessimo accorgere di prenderci troppo sul serio molleremmo il colpo. Finora la risposta è stata molto positiva. La critica ci ha trattati bene mostrando un interesse per certi versi inaspettato (e la tua intervista ne è l’ennesima dimostrazione). Di norma ai concerti il pubblico è attento e rispettoso, quando sento sorridere o sghignazza dopo alcune frasi be’… lì mi sento orgoglioso di stare impalato di fronte ad un microfono a raccontare storie a dei perfetti sconosciuti.

About the author

Annalisa Nicastro

Mi riconosco molto nella definizione di “anarchica disciplinata” che qualcuno mi ha suggerito, un’anarchica disciplinata che crede nel valore delle parole. Credo, sempre e ancora, che un pezzetto di carta possa creare effettivamente un (nuovo) Mondo. Tra le esperienze lavorative che porterò sempre con me ci sono il mio lavoro di corrispondente per l’ANSA di Berlino e le mie collaborazioni con Leggere: Tutti e Ulisse di Alitalia.
Mi piacciono le piccole cose e le persone che fanno queste piccole cose con amore e passione. E in ultimo vorrei dire che mica sono matta, ma solo pazza. Pazza di gioia.

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