Chi segue regolarmente le nostre pagine sa bene come il sottobosco della musica indipendente italiana sia sempre in continuo movimento. Dopo esserci sorbiti lo tsunami sanremese, fatto di tanta musica artisticamente superflua (per fortuna non tutta, sia chiaro) l’attenzione generale può tornare a dedicarsi serenamente alla “musica che gira intorno”, come la chiamava Ivano Fossati nel suo omonimo pezzo. Oggi è la volta dei Someday, trio proveniente dal torinese che, dopo aver pubblicato, negli anni passati, diverso materiale in italiano (ultimo l’EP Fiori di Cantina a fine 2013) fa uscire per la Seahorse questo suo nuovo lavoro intitolato This Doesn’t Exist, interamente in lingua inglese.
La band vede nella line up Daniele Bianco (Chitarra e Voce), Michele Fierro (Basso e voce) e Fabio Digitali (Batteria) e propone – sotto la direzione artistica di Paolo Messere – un rock vigoroso con svariati ed autorevoli riferimenti che, di volta in volta, proveremo ad individuare. Il mood è generalmente cupo, la chitarra elettrica suona spesso distorta, dando all’album una direzione raramente radiofonica, ma le melodie restano la piacevole costante di ognuno dei 10 brani della track list. Energia e carattere sono i termini che a mio avviso definiscono meglio This Doesn’t Exist, visto che basso e batteria sono quasi costantemente in ebollizione, pur sapendo i Someday rallentare il ritmo al momento giusto, creando intense atmosfere dark.
Entrando un po’ nel dettaglio, se prendiamo Forgotten, col suo incedere spedito che diventa presto una vera e propria cavalcata elettrica, credo non stonerebbe affatto in uno qualsiasi degli album dei Placebo, con quel mood inquieto e quella carica unica che entra sotto pelle. Con Waitings, uno degli episodi più indovinati, siamo in area Joy Division, melodie sghembe, riverberi e il rullo della batteria che fa pulsare il cuore del brano con, in mezzo, un giro di chitarre che è un vero e proprio omaggio ai Blur di Song 2. L’angoscia di Maurizio (little star) con la voce urlante mixata quasi a fare da sfondo riporta alla mente addirittura i bei momenti del grunge primordiale, là dove invece in Little Choices emerge invece l’anima di Robert Smith e compagni all’epoca di Seventeen Seconds e Faith. Piazzata giusto in chiusura Gliding è la ballata midtempo che non ti aspetti, solo apparentemente più rasserenante, con una coda strumentale con bassi pieni e percussioni che la rendono la canzone più originale del disco.
Nel complesso quindi un disco che propone diversi generi, senza mai identificarsi pienamente con nessuno di essi e che, anche solo per questo, merita un ascolto attento e non superficiale. Immagino, non avendo mai assistito a un loro concerto, che dal vivo i Someday siano una bomba ancora più esplosiva di quanto già non risulti evidente in studio con il loro interessante LP fatto di un rock senza compromessi. Alla faccia di chi pensa soltanto alla musica come a un mercato.
SOMEDAY – THIS DOESN’EXIST
Rock senza compromessi, alla faccia di chi pensa soltanto alla musica come a un mercato