Interviste

Simona Pennisi

Scritto da Red

“Ho alternato momenti in cui credevo in me stessa, con altri in cui pensavo che non fossi capace nemmeno di scrivere la lista della spesa. Come ho fatto? Ci ho creduto fino alla fine, fermandomi un attimo a lottare contro le mie insicurezze. Ho vinto, per fortuna!”

Intervista a Simona Pennisi, autrice di Pagghiòla, Bookabook Editore, Milano 2022

Buongiorno Simona, provo immediatamente a metterla a Suo agio: Pagghiòla mi è piaciuto molto, perciò non ha nulla da temere. Potremmo dire anche che il titolo che ha scelto è un po’ onomatopeico, nel senso che lascia presagire cosa troveremo dentro il libro. C’è un motivo che l’ha spinta a raccontare con ironia i vizi e i difetti della Sua Sicilia?
Credo che il motivo che mi abbia spinto a farlo è perché non li amo molto. Ho trovato naturale farli emergere attraverso una visuale leggera e ironica.

Nel suo romanzo ho trovato qualcosa che nel panorama italiano letterario in effetti non è molto frequente: l’ironia e la comicità per raccontare temi molto più importanti di quelli esplicitamente raccontati. In un’epoca in cui è difficile fare ironia senza ferire qualcuno, in che modo Lei pensa si possa ancora far nascere un sorriso?
È vero, è complicato di questi tempi utilizzare l’ironia senza che dall’altra parte qualcuno non si senta offeso. A tratti me ne sono fregata, nel senso che ho voluto far emergere personaggi guidati da pregiudizi e stereotipi proprio per denunciare determinati modi di pensare e di comportarsi. Forse, mostrare vari modi di leggere la realtà (della storia), permette in qualche modo di avere una visione sfumata della stessa e infine amare pure quei personaggi.

Si dice spesso che per far ridere gli altri si debba prima di tutto far ridere sé stessi. Si è divertita a scrivere Pagghiòla? C’è un episodio che ha raccontato che l’ha fatta divertire più di altri?
Tantissimo! Io amo scrivere libri divertenti e ironici. Quando metto nero su bianco le scene che ho in mente rido moltissimo. La scena forse che mi ha fatto ridere di più è il rapimento. Non aggiungo altro per non spoilerare troppo.

Viceversa, quali difficoltà ha incontrato nello scrivere il Suo romanzo? Ce ne sono state?
Ho alternato momenti in cui credevo in me stessa, con altri in cui pensavo che non fossi capace nemmeno di scrivere la lista della spesa. Come ho fatto? Ci ho creduto fino alla fine, fermandomi un attimo a lottare contro le mie insicurezze. Ho vinto, per fortuna!

In Italia e nel mondo si legge sempre meno: è un dato di fatto. Crede che per un’autrice esordiente come lei ci siano più difficoltà per incontrare nuovi lettori e dar voce alla Sua storia? E se qualche difficoltà l’ha trovata, in quale modo ha provato e prova superarla?
Sì, poca gente legge, anche se adesso, conosco molte persone che amano leggere e che leggono. Certo, c’è molta diffidenza verso gli esordienti e gli scrittori italiani in generale, come se gli inglesi o gli americani fossero migliori di noi. Abbiamo una storia letteraria non indifferente e dovremo ricordarcene. Ho provato a superare le difficoltà mettendomi costantemente in gioco e lo sto facendo pure adesso. Al giorno d’oggi non si può pensare di essere solo scrittrici, ma si devono sviluppare altre capacità.

A giudicare dal Suo profilo social e dal Suo blog Lei non smette mai di raccontarsi e interagire con i Suoi lettori, fattore che spesso, ingiustamente, mette in crisi la credibilità di uno scrittore. Che cosa ne pensa? Alla fine, questo genere di moralismi non è tanto distante da ciò che provano i personaggi del Suo romanzo.
Ecco appunto! Credo proprio che ci si debba mostrare come artista a 360 gradi, proprio utilizzando i social. Devo dire che anch’io all’inizio ero vittima del modello classico di scrittrice. Ho cambiato idea; i social possono essere quel canale comunicativo di diffusione che 20 anni fa mancava, sarebbe un peccato non approfittarne.

Prima ha raccontato del suo rapporto con la Sicilia, ma a proposito della narrazione ironica che offre di sé sui social, Le fa piacere raccontarci quali differenze ha incontrato tra la Sua vita di prima, da isolana, a quella attuale di psicologa fuorisede? Milano è il posto in cui ha deciso di vivere, o quello in cui ha dovuto decidere di vivere? Qual è il Suo rapporto con questa città?
Prima di Milano c’è stata Torino. Ho dovuto e voluto girare e credo che tutti dovrebbero farlo. È un arricchimento poter vivere in posti diversi, apre la mente e aiuta a vedere la realtà con occhi differenti. Milano è una città molto particolare, credo di essere in pace con lei e lei con me.

Non solo libri ma anche tanta arte e pittura, c’è qualcosa che tiene unite queste due passioni? Mi viene da chiederle dove Lei trovi tutto il tempo per scrivere, poi dipingere, poi chiacchierare con i suoi lettori e infine occuparsi della Sua famiglia. Come organizza il lavoro? Ci racconta una sua giornata tipo tra quadri, pazienti e scrittura?
La parola esatta e che ripeto spesso è: aiuto! A volte devo rinunciare a qualcosa per finirne un’altra, ad esempio in questo periodo non ho tempo per dipingere. Cerco come posso di organizzare le giornate, mettendo in conto gli imprevisti per riuscire a fare tutto. Mi alzo, accompagno mia figlia a scuola e torno a casa per lavorare. Tra un paziente e l’altro riesco a creare contenuti social e a scrivere. Per dipingere ci vuole più tempo e preparazione.

Pagghiòla è il nome con cui è nato il Suo romanzo, ma c’è una cosa che mi affascina sempre domandare agli scrittori e alle scrittrici, se non così, come lo avrebbe chiamato? C’è stato qualche altro titolo a cui aveva pensato, o è nato esattamente così?
Non ci ho mai pensato. Sono certa che non avrei messo un titolo banale, come ad esempio Il condominio. Preferisco titoli il cui significato è intellegibile all’interno del testo. Però devo ammettere che il titolo del prossimo libro sarà più diretto.

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