Interviste

Sergio Caputo, Intervista

Scritto da Claudia Erba

Caputo torna, con “Oggetti Smarriti”, a disegnare la sua sorprendente parabola musicale

Sergio Caputo torna, a distanza di un anno da Chewing gum blues in coppia con Francesco Baccini, con Oggetti smarrititre inediti e otto rifacimenti di brani già pubblicati- a disegnare la sua sorprendente parabola musicale, che vive di incastri imperfetti, dicotomie esistenziali e leitmotiv interrotti da stranianti inversioni di rotta.
Ritmo balneare e nevrosi metropolitane, realismo cinematografico e impennate surrealiste si agitano nel canzoniere continuamente in divenire di Caputo, ritrattista agrodolce e transgenerazionale con la vocazione della rabdomanzia.
Sperimentatore ludico di sonorità e culture diverse, Caputo sembra saper intercettare il fruscio delle sorgenti sotterraneee e delle germinazioni invisibili, anticipandone pionieristicamente l’essenza più autentica.
In Oggetti smarriti, percorso da un raffinato minimalismo blues con venature reggae- eccettuata la parentesi catchy di Scrivimi Scrivimi-si alternano citazionismo letterario e voluti abbassamenti di tono, flusso di coscienza e tagliente sintesi aforismatica.
Resta addosso, a fine ascolto, quella malinconia latente nei momenti più felici, manifesto di un romanticismo talmente pervasivo da diventare quasi un atto di fede laico.

Gi
à nel 1988, nel corso di una conferenza stampa, De Gregori faceva notare: Oggi la gente ti chiede che tipo di promozione fai invece di chiederti che disco hai fatto.
Lei condivide questa percezione fortemente idealizzante dell’arte o è aperto, da ex pubblicitario, ad un marketing dell’arte inteso come marketing d’attrazione, una sorta di marketing senza marketing, per citare Gerken?
Tutto ciò che viene messo in vendita in un modo o nell’altro deve avere un piano marketing – ovvero una collocazione nel mercato di settore, deve mirare certe categorie di persone piuttosto che altre (target) – e mettere in evidenza una ragione per l’acquirente (reason why) di acquistarlo.
Gli artisti del passato avevano monarchi, mecenati, papi a sostenerli o ad imporli sul mercato, e ciò accadeva in base al merito e alla effettiva bravura degli artisti in questione. Noi artisti di oggi abbiamo i media. Se questi media sono gestiti da “lobbies” che decidono chi sia “dentro” e chi “fuori”, non viviamo più in un mondo in cui comandano la qualità e la bravura, ma in un mondo in cui comandano solo gli interessi, le cupole – o cartelli come li si voglia chiamare.

In Oggetti smarriti ripropone, in una veste nuova, alcuni suoi brani. E’ consapevole dell’esistenza di una élite di aficionados che potrebbe leggere questa operazione come una profanazione dei sacri testi?
Sono testi “sacri” che ho scritto io, e li ripropongo come mi pare e piace. Spesso li cambio qua e là. Non dimentichiamo che i pezzi proposti in Oggetti Smarriti sono per lo più brani che – non essendo stati a suo tempo scelti come singoli degli album da cui provengono – non sono mai stati proposti all’attenzione del pubblico – né sono stati inclusi nelle innumerevoli compilations che fanno le case discografiche; dunque, sono brani virtualmente “nuovi” per quanti hanno acquistato soltanto tali compilations, e non gli album originali. Non dimentichiamo poi neanche il fatto che il mio pubblico oggi è prevalentemente composto da persone che non erano neanche nate quando è uscito il mio primo album, dunque riproporre dei brani per me di valore (che mi vengono comunque richiesti LIVE) è un po’ come far sentire materiale inedito. Aggiungerò che quando una carriera come la mia scavalca più generazioni, viene voglia di riproporre dei brani “smarriti” anche in versione unplugged o riconfezionata, così che la gente possa più facilmente ascoltarne il testo, e riscoprire la mia natura di cantautore, spesso oscurata da arrangiamenti complessi. Finora le reazioni generali – anche dei miei aficionados – sono entusiastiche. Spero continuino così.

Scrivimi scrivimi rappresenta, per sua stessa ammissione, un off-topic rispetto alle sonorità dell’album; una sorta di provocazione nata come reazione all’ostracismo dittatoriale di alcune radio. Una programmazione radiofonica realmente libera è un’utopia?
Scrivimi Scrivimi – non essendo un remake, e dovendo bussare alla porta delle radio, doveva per forza avere il “vestito buono” che serve per farsi aprire la porta. Ma ormai le radio – come abbiamo accennato – non propongono più musica nuova, a meno che non abbiano interessi ben precisi a farlo. Fonti autorevoli (ES: Arbore, Red Ronnie) concordano con me che la figura del dee-jay che sceglie la musica e la mette in onda è scomparsa. Ne consegue che, se vuoi una programmazione radiofonica libera, devi farti la tua radio. Ovviamente, non si deve generalizzare, ci sono molte radio che passano i miei album nuovi. Ma i maggiori network, anche ove il direttore della programmazione mi ama, passano la mia roba vecchia o non mi passano.

Lei è molto attivo sui social network. Lo stesso videoclip di Scrivimi scrivimi è un collage di videoselfie, inviati dai suoi follower. Quello dei social è uno spazio più democratico, secondo lei? O la stessa ratio following/followers è espressione di una logica autoritaria, fatta per il one-to-many?
Tutti sono molto attivi sui social network, dalle massaie, a cani e gatti, e ai defunti, ma non dimentichiamo che è come nuotare in un oceano infestato da squali – chiamiamoli algoritmi per essere precisi – che ingoiano, elaborano e riorganizzano le informazioni e le ridistribuiscono secondo logiche commerciali prestabilite; e si ritorna al marketing. Essere notati sui social è ben più difficile che essere notati sui media di una volta. Resta il fatto che per me, girare un video come voglio girarlo, e caricarlo su youtube è una grande liberazione. Portare la gente a vederlo è un’altra storia. La cosa che più conta è che adesso puoi farti vedere, da 1000 persone o da 100.000.000, come preferisci essere visto. Quando vai in TV è impossibile.

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Claudia Erba

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