Non è rimasto nulla di questa città un tempo ricca e raffinata, solo qualche centimetro di mura. Intorno, una pianura rigogliosa dove i campi coltivati a grano e granturco si alternano ad antichi pescheti. Contrariamente al resto della Grecia che ho conosciuto, nella Macedonia meridionale di acqua ce n’è in abbondanza.
E proprio in questo luogo, a Pella, il 20 o il 21 luglio del 356 a.C. Olimpiade, moglie di Filippo II, diede alla luce il mitico Alessandro Magno.
Sotto una leggera pioggia entro nel museo, una bella e intelligente struttura moderna.
Davanti a ogni teca mi fermo, leggo, guardo, con il dito seguo le mappe. Vago nel mondo di Filippo, di Alessandro e degli altri che vi hanno abitato fino alla sua decadenza dopo il saccheggio ad opera dei romani e a un terribile terremoto.
Ogni vetrina racconta la raffinatezza di questo regno, oro, argento, avorio, bronzo, marmo.
Sono davanti alla gamba di un cavallo, è in bronzo, probabilmente scampata al saccheggio e alla fusione del resto del corpo. E’ leggermente piegata, in movimento, con i muscoli tesi, perfetta, bellissima.
E poi più in là, in una vetrina solitaria, sospesa nell’aria galleggia una corona. Leggera, impalpabile, brilla di luce irreale. Una nuvola di sottilissime lamine d’oro. Sono due rami intrecciati che formano un cerchio colmo di foglie e di bacche di mirto, arbusto sacro caro alla dea Afrodite.
Sono stanca, mi siedo e chiudo gli occhi.
Per un attimo mi sembra di sentire il nitrito di Bucefalo, il cavallo di Alessandro, e il rumore metallico delle armi dei soldati mentre marciano per andare incontro ai Persiani.
Pella
Più in là, in una vetrina solitaria, sospesa nell’aria galleggia una corona. Leggera, impalpabile, brilla di luce irreale. Una nuvola di sottilissime lamine d’oro.