Interviste

Pane – Heroes #12

Scritto da Annalisa Nicastro

SOund36 è mediapartner di Heroes: Roma Come New York

Nella puntata n. 12 di Heroes: Roma Come New York si è esibita la band Pane, ecco a voi lettori l’intervista che gli abbiamo fatto!!!

Siete attivi, musicalmente parlando, dagli anni ’90, che cambiamenti
di rilievo sono avvenuti dentro e fuori il vostro gruppo?

Siamo cresciuti fisicamente, mentalmente, professionalmente. Siamo ungruppo inserito nella nostra contemporaneità con alcune idee forti di riferimento con le quali cerchiamo di decifrare gli avvenimenti chevediamo affacciarsi nella storia. Conosciamo la Storia. Creiamo spazi di condivisione cercando di dare possibilità di significato al tempo ed alle cose.
Riguardo all’attività pratica, per noi è stata evidente sin da subito l’emergenza di esprimere una propria identità stilistica – Questa
ricerca si è basata su due punti forti: la lingua italiana; l’utilizzo di una strumentazione squisitamente acustica, che oltre a sganciarci
dal suono del tempo ritenevamo una sorta di simbolo per una realtà musicale molto più aderente al vero, in contrapposizione con l’allora devastante affermazione del marketing nell’area del commercio musicale.
L’idea base è venuta pian piano delineandosi in qualche modo da sé e continua ad essere quella di perseguire la realizzazione di opere
musicali capaci di contenere diversi piani di comunicazione (diverse narrative poetiche, romanzesche, storiche, musicali ovviamente…),
riconcependo la forma canzone e modellandola ai nostri scopi.
L’intento è quello di dar vita a composizioni che uniscano bellezza, forza e armonia.
La nostra “visione musicale”, se così possiamo dire, è fondamentalmente legata alla costruzione di un corpo musicale dove
ogni parte non sia accessoria, ma dove ogni voce sappia partecipare allo spessore del canto. Questa specie di coralità di antica maniera,
dovrebbe produrre un’armonia di differente natura di quella semplicemente musicale. Quello che vorremmo è che le nostre canzoni
arrivino a produrre una polifonia narrativa.
Abbiamo letteralmente trascorso i nostri primi anni in sala prove.
Solo dopo, maturata la nostra idea musicale e fissato la composizione del gruppo, e cioè quella attuale, abbiamo potuto realizzare quella che consideriamo una trilogia-manifesto: Pane (2003), Tutta la dolcezza ai vermi (2008), Orsa Maggiore (2011).

Quanto è importante la poesia per Pane?
Noi viviamo un rapporto poetico con la poesia.
Apri una parentesi quadra e buttaci dentro un caterva di aggettivi, chiudi la parentesi quando ti pare a te. Adesso hai creato uno spazio
ideale a due dimensioni, ora prendi il malloppo e lancialo in aria e prova a palleggiare come fossi Maradona, mastica la gomma, sputala in aria, a mezz’aria e tira con tutta la tua forza, tutta la tua forza, lo steccato, i panni stesi, la ruota di macchina, il vestito della
suora…senti lo sforzo dei tendini, delle fasce muscolari della coscia, guarda la palla volare e godi di quei momenti.

Orsa Maggiore è il vostro nuovo album, che momento rappresenta nel
vostro percorso?

Come accennato, a noi piace considerare i tre dischi Pane (2003) – Tutta la dolcezza ai vermi (2008) e Orsa Maggiore (2011) come facente parte di un corpo unico, una sorta di trilogia-manifesto del nostro percorso musicale. Nello specifico nel 2003 ci siamo osservati come gruppo di amici, ragazzi in attività musicale. Anche se avevamo dietro già diversi anni di prove, era la prima volta che ci confrontavamo con uno studio di registrazione e con noi stessi alla prova della registrazione. Ci siamo riconosciuti in quel primo disco.
In Tutta la dolcezza ai vermi, l’osservazione – l’intenzione – è rivolta alla terra, alla rigenerazione che segue ogni
compiersi di ciclo naturale (Lucrezio). La dolcezza ai vermi, non è una dichiarazione pessimista verso le possibilità dell’uomo, come
potrebbe essere colto ad una prima lettura, al contrario, vuole essere un atto forte di fiducia rivolto all’effetto di ogni rinascita, cioè
al nuovo frutto dell’esperienza – tutta la dolcezza a te.
Dopo il risorgimento, serve una direzione, un’Idea (cui da sempre la costellazione dell’Orsa Maggiore è associata). L’idea da
seguire, sempre presente, così come sempre presente è l’Orsa nel
nostro emisfero. Insomma, un invito ad alzare la testa (Galileo), nel senso politico, civile e, comunque, nel senso che ognuno desidera
assegnarvi.

Fate parte del progetto Heroes, che cosa ne pensate? Cosa pensate sia necessario alla scena musicale italiana e romana in
particolare?

Sinceramente dopo l’uscita di scena dei CSI la cosiddetta scena musicale italiana non credo faccia impazzire nessuno, anzi. C’è molta
ripetizione. L’artista che meriterebbe di essere ascoltato è Flavio Giurato, ma per una serie di ragioni connesse al sistema vigente ed
anche in parte alla sua incapacità di adattamento, è pressoché sconosciuto. Sono sempre alla ricerca di qualcosa che mi emozioni, ma
come sui campi improvvisati di calcio degli anni 80’, parecchia polvere e velleità; manca una visione d’insieme, un suono dalla
portata storica, quando si è con l’acqua alla gola si riascoltano i mostri sacri…
Da un punto di vista più materiale la situazione della musica a Roma necessiterebbe di alcuni tasselli: professionalità. serietà. Ci sono
non pochi locali, ma è sempre molto difficile trovare impianti di livello, che diano un senso al suono, alla voce. I tecnici che vi
mettono mano, spesso non sanno cosa stanno facendo e spesso si gioca al ribasso. Anche questo è un discorso legato al denaro, alla
possibilità di pagare dei professionisti, che ci sono.
Heroes a mio avviso è un tentativo di andare incontro anche a queste lacune, nel rispetto del pubblico, con l’obiettivo di porre alcuni
artisti in condizioni ottimali per l’esibizione. Cercando di indicare ad una comunità più vasta e attenta possibile delle opzioni diverse da
quelle propinate dal sistema pro-profit. E’ un atteggiamento buono che comunque si muove nel campo minato di un gioco di per sé
mefistofelico.
Per una metropoli come Roma, di ben oltre i 3 milioni di abitanti la situazione è nell’insieme comunque mediocre. Si potrebbe fare molto, molto di più con radio e tv locali. E’ una vecchia polemica, che però non cessa di essere attuale: per ascoltare musica italiana di qualità bisogna fare i salti mortali, mentre siamo bombardati da quintali di ore di pseudo musica angloamericana (recentemente anche nordeuropea) spacciata per avanguardia e bla bla bla… Spesso è un’insana ripetizione di formule abusate e rimescolate all’infinito, in alcuni casi musicaccia buona solo per spingere “er carello der supermercato”.
Soprattutto le radio locali romane peccano di mancanza di coraggio e spirito di ricerca, proprio quei fattori che dovrebbero essere la loro spina dorsale. Ognuno cura il proprio orto ma l’assetto idrogeologico complessivo è devastato; al primo acquazzone viene giù tutto… Il livello delle televisioni locali è altrettanto deprimente. Tra pentole, tappeti, culi ecc. il 95% è da buttare. Insomma si fa davvero
poco per coinvolgere le persone, aiutarle (sì propri aiutarle) ad uscire dal torpore dell’omologazione forzata. E’ un discorso che
chiaramente non riguarda solo la sfera musicale e quella della proposta artistica in genere, si tratta come tutti noi sappiamo di
problematiche sociali-economiche-politiche di portata epocale.
Le web radio sono ancora piccoli fiori in mezzo a campi abbandonati all’incuria ed alla barbarie organizzata per il profitto. Alcune
riviste sono ben organizzate, se solo avessero qualche fondo in più potrebbero davvero veicolare al meglio anche gli “utenti” più
distratti.

About the author

Annalisa Nicastro

Mi riconosco molto nella definizione di “anarchica disciplinata” che qualcuno mi ha suggerito, un’anarchica disciplinata che crede nel valore delle parole. Credo, sempre e ancora, che un pezzetto di carta possa creare effettivamente un (nuovo) Mondo. Tra le esperienze lavorative che porterò sempre con me ci sono il mio lavoro di corrispondente per l’ANSA di Berlino e le mie collaborazioni con Leggere: Tutti e Ulisse di Alitalia.
Mi piacciono le piccole cose e le persone che fanno queste piccole cose con amore e passione. E in ultimo vorrei dire che mica sono matta, ma solo pazza. Pazza di gioia.

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