30 Agosto 1992 Festival di Reading, Inghilterra i Nirvana sono il gruppo principale della kermesse, dopo l’incredibile successo commerciale di Nevermind (1991). Una folla enorme accoglie l’entrata in scena del bassista Krist Novoselic il quale ciondolando nel suo incedere usuale si avvicina al microfono e con voce seria dichiara: ” Too painfull! This is too painful! You’re gonna make it man! With the support of his friends and family he’s gonna make it!!!” (Troppo doloroso! Tutto questo è troppo doloroso! Ma ce la puoi fare amico! Con l’aiuto dei suoi amici e della sua famiglia ce la può fare!!!).
A questo punto si vede un uomo con un camice seduto su di una sedia a rotelle con una parrucca bionda che copre completamente il viso. Capiamo che è Kurt Cobain, spinto da un ometto un po’ bolso e con pochi capelli, niente di meno che il giornalista inglese Everett True, biografo futuro della band e colui il quale presentò Courtney Love a Kurt. Lo accompagna fino al microfono dove con un enorme sforzo il povero Kurt si alza dalla sedia usando come puntello l’asta del microfono, comincia ad intonare un motivetto, ma poi provato dalla fatica, stramazza al suolo morto stecchito. Sembra la fine dei Nirvana, almeno quella descritta incessantemente dai tabloids scandalistici inglesi i quali parlano di una band sull’orlo del collasso, provata dal tour, dalle droghe dallo stato di salute fisico e mentale del suo cantante. Più che i Nirvana c’è tutto Kurt Cobain in questa pantomima, così ironico e scherzoso, fragile e minimalista.
Dietro la maschera di pessimismo e pazzia che la casa discografica ed MTV gli hanno cucito addosso e che gli rimarrà per sempre, soprattutto dopo la tragica conclusione cui è arrivata la sua vita, Kurt Cobain è il figlio bastardo del sogno americano, di quelle cittadine fredde e piovose, dove nulla cambia per generazioni, dove ogni giorno è uguale all’altro, in una terra misogina e razzista. Kurt è la rabbia repressa ed al tempo stesso fragile e geniale, artistica ed esplosiva che nei primi anni novanta ha dato voce alla generazione X, rimanendone poi schiacciato per la dose di responsabilità che tutto questo gli ha comportato.
I Nirvana a Reading suonano in maniera rozza, scordata, cattiva, acida, sono rumorosi e diretti. Ci propongono il meglio da Nevermind, senza la super produzione presente sul disco, solo chitarra e voce, basso e batteria.
Il palco è scarno, semplice, molto grunge, senza fronzoli e, dopo la scenetta iniziale Kurt, miracolosamente ancora vivo, si alza ed imbraccia la chitarra a mo’ di fucile sparando ad alzo zero Breed, Drain You, Aneurism e School.
Più che una band sembra un esercito in marcia, c’è un’energia in questa esibizione, una disperata voglia di rivalsa, ed un’entusiasmante cascata di watt si abbatte sul pubblico il quale, gradendo, rimanda indietro una serie di ruggiti, applausi, grida.
Più che un concerto sembra un rito di purificazione, una catarsi che consente di scrollarsi dalla mente e dall’anima tutte quelle patinate e preconfezionate band da classifica che girano su MTV. Fa un po’ paura ma a distanza di 18 anni non si può fare a meno di emozionarsi nel sentire la voce roca di una delle ultime vere anti-icone del rock.
E si sono loro i Nirvana, quelli che si rifiutarono di andare in tour con gli U2 del signor Bono Vox, o con i Guns ‘n’ Roses, allora sulla cresta dell’onda, per ribadire le loro radici punk e proletarie. Lo so che suona tutto un po’ melenso ed ipocrita, perché anche i Nirvana sono stati un gruppo da classifica, commercializzato e iperprodotto. Ma noi adesso parliamo del live ed è qui che esprimono il loro intimo disagio nell’essersi fatti ingabbiare da una major, con un concerto roboante e tumultuoso, minimalista nei suoni e nella coreografia ma totalmente selvaggio e impetuoso.
La scaletta prosegue e fra giochini e frasi ad effetto, ancora riferito ai giornali “This is our last show…untill the next one, in november right?!!!!”. (Questo è il nostro ultimo spettacolo…almeno fino al prossimo, in novembre giusto?), veniamo polverizzati da hit come In Bloom, Come as you are, Lithium, Polly, Lounge act.
Prima di Smells like a Teen Spirits, croce e delizia di Kurt Cobain, i Nirvana ne fanno un’altra e attaccano More Than a Feeling il successo del 1976 dei Boston, cantandone pochi versi per sbeffeggiare ancora una volta chi li accusava proprio di aver plagiato questa canzone. Come lo stesso Kurt ammise, c’era una certa somiglianza, parlando di un riff molto abusato.
Ma chi altri avrebbe potuto scrivere frasi come: “Load up on guns and bring your friend, it’s fun to lose and to pretend” (Carica i fucili e porta i tuoi amici, è divertente perdere e fingere!) quantomeno bizzarri insieme a parti di pura e perfetta poesia: “I’m worse at what I do best and for this gift I feel blessed our little group has always been and always will until the end”(Sono il peggiore nel fare quello che mi riesce meglio e per questo dono sono benedetto, il nostro piccolo gruppo c’è sempre stato e ci sarà fino alla fine). Quantomeno profetico!
Continuiamo con On a Plain ancora da Nevermind per poi passare a Negative Creep da Bleach e Been a Son ancora inedita (Incesticide 1993).
A questo punto Kurt fa una dedica speciale per la canzone che seguirà, per la sua figlioletta di 12 giorni (Infatti Francis Bean Cobain è nata il 18 agosto 1992) e per sua moglie Curtney (Love), dichiarando che tutti la odiano (come dargli torto), invitando la platea ad una dichiarazione d’amore nei suoi confronti. Dopo il countdown dal tre la platea erompe in un enorme “Courtney we love you!” (Courtney ti amiamo). A questo punto timidamente e teneramente Kurt ringrazia tutti con una splendida versione di All Apologies, ancora inedita (sarà uno dei pezzi traino di In Utero 1993). La folla è in estasi sugli splendidi versi della canzone, che ci spingono a fare un po’ di dietrologia cercando nelle sue liriche i motivi dell’infelicità di Cobain: “I wish I was like you easily amused, find my nest of salt, everything is my fault, I’ll take all the blame, aqua seafoam, shame, sunburn, freezerburn, choking on the ashes of her enemy” (Vorrei essere come te che riesci a divertirti facilmente, trova il mio nido di sale, è tutta colpa mia, mi prendo ogni biasimo, vergogna che schiuma come l’acqua di mare Bruciato dal sole e bruciato dal freddo, lei soffoca sulle ceneri del suo nemico). Visionario e poetico. Semplicemente la rappresentazione in versi del mal di vivere degna di una poesia di E. Cumming o Walt Whitman.
Ma lo spettacolo continua snocciolando ancora Blew, Dumb, Stay Away, Spunk Thru, poi in sequenza Love Buzz, The Money Will Roll In, D-7, tre cover rispettivamente di Shocking Blue, Fang e Wipers prima della finale Territorial Pissing dove i Nirvana pongono fine a tutte le ostilità distruggendo con un atto di “Hendrixiana” memoria tutti gli strumenti, non prima che un irriverente Cobain coverizzi, ridicolizzandolo, l’inno americano The Star-Spangled Banner, tra una serie infinita di rumori e cacofonici bending.
Tutto molto politicamente scorretto e in puro stile anni ’90.
Dio come mi mancano i Nirvana!!!!
Antonio Bonansingo (21.2.10)