Definita dalla critica “la regina dell’Indie made in Italy”, Maria Antonietta è tornata dopo quattro anni di silenzio con il suo nuovo lavoro Deluderti. L’abbiamo avvicinata a Villa De Riseis a Pescara il 15 settembre 2018 per parlare con lei di questo comeback, delle sue passioni e di tanto altro ancora.
Deluderti è un disco maturo e consapevole. Come si è evoluta la tua musica dagli esordi ad oggi?
Innanzitutto grazie per il complimento. E’ sicuramente un disco molto diverso dai precedenti, un po’ come sono stati tutti i miei lavori, ognuno sempre differente da quello che lo precedeva. Forse perché sono una persona curiosa, che ascolta molte cose, che legge robe diverse, che cambia le persone che la circondano e, quindi, inevitabilmente, cambia anche ciò che scrive e il modo in cui scrive. Anche per quanto riguarda la produzione dell’album, che ho curato con Colombre, abbiamo mantenuto un sound più morbido rispetto a quanto avevo fatto in passato, direi più luminoso. Nel disco, infatti, c’è più consapevolezza in generale e mi interessava arrivare ad una dimensione di piena luminosità, data anche dal luogo dove è nato Deluderti, ovvero la mia casa in campagna, un luogo molto naturale. La mia musica ha seguito questo percorso di evoluzione naturale, in virtù del fatto che io sono cambiata come persona e sono cambiate le cose che amo sia nella musica che nella vita.
Tema fondamentale del disco sono le aspettative che gli altri hanno verso di noi. Da dove arriva l’esigenza di trattare proprio questo argomento?
Credo che tutti noi ci confrontiamo quotidianamente con le aspettative degli altri e con quelle che noi stessi nutriamo nei nostri riguardi, che spesso, poi, non hanno nulla a che fare con la realtà. Si percepisce, nella società contemporanea, che tutto abbia un valore solo quando incontra l’apprezzamento degli altri. E’ un meccanismo tipicamente umano, che si è via via esasperato nel tempo. Quindi, visto che cerco di portare avanti una ricerca artistica, non mi interessa per forza intercettare un favore. Non ho una strategia per incontrare un compiacimento a tutti i costi, perché se così fosse sarebbe una strategia fasulla, che non mi porterebbe da nessuna parte. Sulla base di questo, con naturalezza, mi è venuto da riflettere su questo macro tema. Anche perché, nel corso degli anni, mi sono accorta che mi sono emancipata dalle aspettative degli altri, vivendo decisamente meglio.
Quando canti nella titletrack Io non ho intenzione di deluderti, avverto un senso di sfida come per affermare: “Se deluderò le tue aspettative non importa. Sarà comunque uno spunto che mi farà crescere”. E’ solo una mia impressione?
Sicuramente, perché il disco lancia messaggi positivi. Il titolo Deluderti è in realtà un titolo molto liberatorio, per nulla negativo. Per me la delusione è un momento importantissimo. E’ il momento in cui riesci a rendere giustizia a te stesso, a discapito appunto dell’idea che gli altri hanno di te. Molto spesso per realizzarti devi passare dentro una delusione.
“E Invece Niente” è un brano che in origine avevi scritto per i Tre Allegri Ragazzi Morti. Come mai te la sei voluta “riprendere”?
In verità è stata la prima canzone che avevo scritto per il nuovo disco. Nel corso della stesura, mettendo in fila tutti i brani, mi sono resa conto che mancava un po’ la chiusa del discorso. Quando ho riguardato a quel pezzo mi è sembrato bizzarro di come fosse la perfetta conclusione del disco e che fosse arrivato, paradossalmente, prima di tutti gli altri.
Sei un’appassionata di storia e in particolar modo di figure storiche, specie femminili, definendo Giovanna D’Arco una tua eroina. Da dove proviene questa passione viscerale?Sono sempre stata incuriosita da una serie di figure femminili molto forti, molto volitive, a tutta una serie di donne che hanno cercato di realizzare se stesse al di là delle difficoltà che frequentemente hanno incontrato. Giovanna D’Arco è stata un’eroina, un punto di riferimento nel senso che nella parabola della sua vita ha portato avanti la propria visione con una grande fiducia. Tutti noi abbiamo bisogno di maestri. Lei per me è stata esattamente questo.
Mantenendo il filo del discorso, l’artwork dell’album è molto particolare: ricorda un ritratto del ‘400. Che puoi dirci al riguardo?
La copertina, di cui vado molto fiera, è una fotografia bellissima di Luca Zizioli, un bravissimo fotografo di Brescia. E’ un mio ritratto in cui reggo questo mazzo di fiori di eucalipto. Diciamo che, a parte quello che giustamente mi facevi notare tu dell’effetto un po’ pittorico voluto, essendo appassionata e laureata in storia dell’arte, c’è questo riferimento all’eucalipto, perché l’etimologia della parola “eucalipto”, cioè eucalyptus, vuol dire “ben nascosto”. I fiori di questa pianta stanno dentro a dei gusci rigidi e quando fioriscono lo fanno all’improvviso, liberandosi da questo guscio. Quindi da quello che all’apparenza pensi che sia un ramo morto, spunta questa infiorescenza vivissima. Questa metafora descrive bene tutta la genesi del disco, che mi ha preso tanto tempo, quattro anni, ed era quello il senso: essersi tenuti ben nascosti e in disparte per poi fiorire in un qualcosa di meraviglioso, ma che richiedeva del tempo.
Mica dobbiamo attendere altri quattro anni per un tuo nuovo lavoro?
No dai, non credo (ride, ndr).
Intervista e Fotografie di Giovanni Panebianco