Interviste

Letizia Gambi, Intervista

Scritto da Claudia Erba

“Vivo sospesa come molti e come tutti i lavoratori dello spettacolo.”

Vivo sospesa come molti e come tutti i lavoratori dello spettacolo.
Quando sei poliedrico come me, è difficile scegliere una strada e ti sembra sempre di lasciare fuori qualcosa di importante. Ho mostrato solo una parte di me nei miei album e mi innervosisco quando le persone mi etichettano senza sapere chi sono veramente nella mia totalità. Anche vocalmente sono cambiata molto.
Quando sono entrata in studio per il primo disco, nel 2010, ero terrorizzata, perché avevo da poco perso l’udito da un orecchio e non sapevo più come usare le cuffie e il microfono, avevo paura di sbagliare e non mi fidavo più della mia percezione.
Per questo motivo ho cercato di cantare in modo perfetto, intonatissimo e fin troppo pulito; avevo paura che qualcuno potesse accorgersi del mio handicap.
Oggi, canto in modo diverso e non vedo l’ora di registrare cose nuove.
Sono una persona passionale e dal vivo si sente ancora di più. E in questi 10 anni ho dimostrato a me stessa di poter avere una carriera anche con una disabilità, quindi ho riacquistato la fiducia che avevo perduto. La mia vita è un work in progress, non smetto di cercare e di cercarmi.

Un itinerario costantemente in fieri, quello di Letizia Gambi, collaborazioni con personalità del calibro di Lenny White, Gato Barbieri, Chick Corea, Ron Carter, Patrice Rushen e Gil Goldstein; da nove anni membro della Recording Academy con diritto di voto per i Grammy Awards,
Una voce (in senso lato) insofferente a qualsiasi castrante tentativo definitorio, che- nelle sue trasformazioni-si fa fucina artistica, elogio ragionato dell’incompiutezza, sostrato tellurico di incessanti affinamenti metafisici.

Ho iniziato con la danza, – ci racconta- il musical ed il teatro. Sono stata la voce solista in un’orchestra electro-swing con cui ho inciso due album, poi solista in un coro gospel, infine ho abbracciato progetti pop e alternativi.
Ho lavorato come turnista per dance music, come voce narratrice e ho persino inciso fiabe per bambini!
Ho fatto piano bar, club, eventi privati e concerti a tema con le formazioni più disparate prima di lavorare al mio primo disco da solista, mentre insegnavo danza, canto e anche recitazione.
Durante tutti questi anni, la cosa che mi portavo dietro e che ha segnato la mia vita è stata la mia provenienza: la mia napoletanità.
Prima maledetta, da bambina trasferita al nord, perché discriminata e bullizzata, in seguito benedetta, da attrice e cantante in grado di interpretare ruoli grazie al mio dialetto, che a Milano non era comune.
E’ per questo che ho deciso di mettere il mio sangue in tutto ciò che faccio.
Nel mio primo album Introducing LG, la musica attinge fortemente alle mie origini napoletane, riproponendo brani famosi con arrangiamenti jazz ed eleganti e traducendo alcuni testi dal napoletano all’inglese.
E’ stata l’idea che ha conquistato il mio produttore Lenny White e che ha incuriosito alcuni grandi musicisti che hanno deciso di partecipare al disco.
Temevo che l’idea non piacesse e invece mi sono ritrovata con delle leggende del jazz che avevano voglia di fare cose nuove con me, e che anzi, non avevano alcuna intenzione di fare il “solito disco di jazz standards “.
Nel secondo disco ho dato più spazio ai pezzi originali, pur mantenendo il legame con Napoli e la contaminazione che sento più vicina a me.
Ho sperimentato altri repertori dal vivo, con il mio trio 3D (Giovanna Famulari al violoncello ed Elisabetta Serio al piano) abbiamo trovato un’altra strada molto stimolante e molto soddisfacente e ho in piedi due nuovi repertori live molto carini.

Non solo jazz in senso stretto, dunque.
C’è sicuramente in Letizia anche un’attitudine al métissage, alla contaminazione, che dal jazz prende inevitabilmente, nello spirito autentico di manipolazione, le mosse.
Non si tratta di una riverniciatura superficiale di coloriture appetibili, ma un di un elemento ontologico, che sovverte codici producendosi in incessanti riedificazioni e sorprendenti cambi di fisionomia.
Letizia Gambi lo spiega magistralmente.
L’incipit del discorso, La rigidità mentale è per le menti piccole, tradisce piacevolmente il dono di una efficacissima sintesi aforismatica.

Amo il jazz in quasi tutte le sue derivazioni, ma la musica che ho scelto di fare è sicuramente ibrida, io la chiamo “cultural fusion” perché fonde la mia eredità culturale napoletana con quella nero americana e con le suggestioni che ho la fortuna di abbracciare durante il mio viaggio artistico e umano, dagli orizzonti in continua espansione.
Nonostante ciò, ho sentimenti contrastanti quando mi imbatto in alcuni tipi di contaminazioni.
E’un pò come la cucina fusion… come concetto mi piace, però ci sono anche accostamenti e piatti che non mangerei mai!
I puristi romantici, nostalgici, che amano genuinamente un genere preciso mi piacciono, sono come gli amanti del vintage, dell’antiquariato.
Poi comunque se si dice purista jazz, bisogna capire bene di quale jazz stiamo parlando. Be bop, free Jazz, swing, dixieland, rock jazz (e via dicendo) ?
Gli intransigenti invece per me sono pericolosi, come tutto ciò che diventa estremo, nella religione, nelle ideologie, nella politica. Ho incontrato persone “puriste” nel mio percorso che storcevano il naso davanti a ciò che volevo fare, e qualcuno ha provato ad ostacolarmi.
Quando ero in Italia ci rimanevo male perché mi venivano tanti dubbi, poi però quando ho cominciato a collaborare con musicisti americani di altissimo livello mi sono accorta che loro non dividevano in base al genere musicale.
Anche perché il jazz è un linguaggio, con il quale si può trattare qualsiasi argomento.
La musica si divide in musica bella e musica brutta, a prescindere dal genere; ciò che è meraviglioso è, oltre tutto, che la bellezza è del tutto personale.

Insomma, per quanto il materiale possa essere “di recupero”, il miracolo della musica risiede nella manipolazione creativa, funzionale alla rappresentazione di una narrazione importante, viva, seminale.
Così come dal Jazz Manouche- o Gipsy Jazz- nelle sue infinite declinazioni- si è passati alla fusione di swing e ritmiche caraibiche nel latin-jazz, fino all’esplosione orgiastico-catartica del free jazz ed oltre, in un ibridismo che corre sempre, in direzione ostinata e contraria, verso la costruzione della bellezza.
Tuttavia, per quanto concerne il futuro della discografia, negli Stati Uniti come in Italia, la Gambi delinea, con schiettezza, un quadro tutt’altro che roseo.

La discografia sta morendo.
Una volta, firmare con una grossa etichetta era l’obiettivo di una vita, oggi assolutamente no.
Ho avuto le mie esperienze in Italia.
Ho rifiutato un contratto discografico propostomi da una grossa casa discografica perché ormai non ti offrono niente.
Vogliono la tua musica, le tue edizioni, i contratti sono a 360°, il che significa che prendono commissioni anche sui concerti e dal merchandising, vogliono tutto e ti offrono poco o niente.
A volte nemmeno l’ufficio stampa, o nemmeno lo show case. E stiamo parlando di colossi della discografia. Francamente, se devo rinunciare a tutto solo per vedere il loro nome accanto al mio, anche no.
Anche qui negli States è la stessa cosa; a meno che non diventi il pupillo di un artista “vecchia maniera” tipo Quincy Jones o David Foster o simili la vita è difficile, soprattutto se non sei pop o hip hop. 

Il talent scout per me oggi lo fai tu.
Sei tu che ti devi fare il culo, investire e credere in te stesso, perché nessun altro lo farà.
La gente ama i fallimenti e farà di tutto per farti abbandonare i tuoi sogni.
Devi crearti un team di professionisti che lavorino con te e per te, ma devi sempre supervisionare tutto e tutti altrimenti rischi.
Devi avere le idee chiare e lavorare con amore e dedizione per restare nel gioco il più a lungo possibile, avendo delle cose da dire.
La vittoria non esiste, il successo sta nel restare in gioco senza uscire dal campo.
Il talent show e il mondo social hanno rivoluzionato anche l’industria musicale.
Con il primo si gioca facile per salvare i costi di promozione e testare l’indice di gradimento degli artisti prima di investire soldi sulle loro (brevi) carriere.
Lo hanno inventato qui negli USA e l’Italia ha copiato, come sempre. Quindi siamo nella stessa situazione.
Si prende un artista e lo si mette in tv, la gente inizia a conoscerlo (zero costi di promozione per l’etichetta discografica) e se il riscontro è positivo magari si investe nella produzione di un disco e un tour (di cui l’etichetta si prende quasi tutto).
L’artista è blindato da un contratto che non gli lascia nessuna libertà per anni e, a trasmissione conclusa, non lo calcola nessuno, perché si pensa al nuovo show e ai nuovi concorrenti.
L’artista nella maggior parte dei casi è bruciato. Quelli che restano in gioco devono cercare di sopravvivere e farsi spazio davvero. Consumismo portato all’estremo. Gli artisti sono usa e getta. Come ogni altra cosa.
Si fa intrattenimento sulla pelle e i sogni degli altri, ciò che conta sono i giudici giusti per fare uno share d’ascolto alto e vendere più pubblicità. La pubblicità porta i soldi, ed è l’unica cosa che conta. E’ triste ma è così.
I giudici si scelgono in modo da avere un pubblico vasto che porta più pubblicità. Bisogna attirare i giovani con un giudice youtuber, influencer, giovane o un rapper, poi ci vuole assolutamente un giudice gay-friendly, uno che fa la parte del buono e uno che fa lo stronzo e l’intrattenimento è fatto.
Se capiscono di musica come io capisco di ingegneria aerospaziale o se un ragazzino di 20 anni senza competenze musicali si trova a giudicare musicisti professionisti solo perché ha un canale youtube con milioni di follower grazie ai video degli scherzi fatti al nonno che russa, non importa.
Ecco spiegato perché la musica sta perdendo tanto. E questo mi fa incazzare molto.

Sul periodo di quarantena, a Miami, l’artista è un fiume in piena.

Oggi sono in un momento di transizione– confessa apertamente Letizia Gambi- Sono sommersa da brani accumulati negli anni e sono un po’ confusa per colpa del mondo e di tutto ciò che sta accadendo.
Quello che volevo pubblicare musicalmente si è dissolto nell’isolamento del lock down.
Dovevo fare uscire il nuovo album al quale ho lavorato per 2 anni con il mio produttore Lenny White.
Dovevo andare in studio a registrare a NY, stavo terminando una cover di Gato Barbieri (con cui ho avuto la fortuna di lavorare prima che morisse) e volevo far uscire il singolo in occasione del suo compleanno a novembre, ma questa situazione ha cambiato tutto.
Ero a Miami e ho deciso di non muovermi.
Vivo sospesa come molti e come tutti i lavoratori dello spettacolo.
Sto cercando musicisti e collaborazioni che mi ispirino, con cui creare qualcosa di nuovo.
Ho proprio voglia di cose nuove, anche lontane da quello che la gente è abituata a sentire di mio (che non mi rappresenta in modo esaustivo).
Avevo in programma due tour che ovviamente sono stati bloccati.
Un tour in America con la mia band e un tour mondiale: “The music of hope Tour” ospite di Fahir Atakoglu e orchestra.
Il tour è dedicato a tutti i rifugiati del mondo e unisce musicisti da tutti i paesi, abbiamo in programma anche un concerto presso la sede delle Nazioni Unite a New York.
Fahir è un grandissimo pianista e compositore pluripremiato, abita negli USA da tanti anni ma nel suo paese, la Turchia, è molto famoso; è un po’ come per noi Ennio Morricone, il più prestigioso compositore di musiche da film.
Insieme abbiamo scritto il brano “Come Musica” che uscirà a breve nel suo nuovo album.
In 105 giorni sono uscita di casa 5 volte.
Non mi manca nulla, ordino tutto online, ho un terrazzo e una bella vista panoramica, cucino tanto (il che mi rilassa), dipingo e scrivo.
Sto scrivendo anche un libro. E rifletto.
Mai come in questi lunghi giorni di isolamento abbiamo compreso che siamo tutti uniti e parte di un unico mondo.
Oggi purtroppo è il virus ad unire nella paura, ma l’inquinamento, l’avidità dell’uomo, le dittature che aumentano e la distruzione dell’ecosistema dovrebbero farci altrettanta paura, dovrebbero far crescere dentro noi il desiderio e la voglia di unire le forze con consapevolezza e coraggio, per creare un mondo diverso.
Iniziando subito, da oggi.
Tra l’altro è quello che cercavo di dire con il brano “Blue Monday”, singolo uscito un anno fa, con un video dove partecipano, con i loro volti, tanti amici, artisti, fans da tutto il mondo.
Volevo lanciare un invito alla rinascita, uno stimolo a svegliarci prima che sia troppo tardi. A guardare con gli occhi aperti il mondo malato che ci circonda e che ormai ci sembra normale!
Volevo ricordare a chi non lo sa, che anche se distanti, anche se parliamo lingue diverse, siamo tutti legati e interconnessi e vibriamo della stessa energia. Perché noi siamo energia, è un fatto scientifico.
E’ arrivato il tempo per guardare ad un futuro migliore, fatto di nuovi valori o forse dovrei dire valori antichi, ma ormai dimenticati.
Perché insieme si può fare la differenza.
E’ per questo che, da sempre, lo scopo di chi vuole dominare è quello di confondere e distrarre i popoli, perché le persone unite possono cambiare il corso della storia.

Blue Monday link
https://www.youtube.com/watch?v=E97q-81cFMc

Appena al di sotto della superficie razionale scorre però, surrettizio, il sentimento di un tempo sospeso.
Lacerti di una tessitura interrotta, che attendono preziose dita riparatrici.

Artisticamente però è difficile. I concerti che avevo sono stati risucchiati da questa nuvola infettiva.
Sembra tutto lontano.
Guardo gli appunti lasciati sulla scrivania: i nomi dei musicisti, i giorni delle prove, i treni, gli hotel, Washington, NYC, Los Angeles, i brani.
Sembrano pagine di un diario ricoperte di polvere, tra le macerie di un bombardamento. Che poi, chi ha bombardato e perché lo scopriremo poi.

E gli abiti da sera che volevo indossare, stanno lì appesi, e oggi mi sembrano più lunghi, come le giornate d’estate che si avvicinano. Come se l’attesa li avesse fatti crescere, o forse sono io che mi sono accorciata, come si accorcia la vita ogni giorno che scivola via.
Ogni volta che passo davanti all’armadio sento gli abiti che mi spiano e, ancora con l’etichetta, sorridono soddisfatti.
Si, perché in questo periodo più che mai sto come loro: appesa, ad un filo.
Un ritorto pregiato, dove Il filo della paura ed il filo della speranza si intrecciano e si perdono l’uno nell’altro, si abbracciano, combattono, come due lottatori di ju-jitsu, quelli che a volte ti chiedi se stanno lottando o fanno l’amore.
Io non so se sia odio o amore, però so che la speranza ha gli occhi grandi di mia mamma, canta, ti sorride e dice sempre di sì, apre la porta agli sconosciuti, innaffia il giardino, si innamora e tiene sempre vivo il fuoco del camino.
E’ lei che la notte di Natale lascia sul tavolo il latte con i biscotti.
La paura invece ha mille volti e si traveste, non ama la compagnia ed è possessiva.
La paura è manipolatrice, la paura è stalker. A volte urla e spesso sussurra, per fortuna io sono sorda ad un orecchio e sento la metà delle cose che mi dice.
E poi io canto e ascolto la musica fino all’alba, perché la Musica Bella manda via la paura.
E’ per questo che hanno inventato la ninna nanna. Per proteggere i sogni e le speranze dei bambini.
Non sottovalutate il valore del canto.
Perchè -ricordatevi- quando è sera la paura spegne la luce e cerca di fottere la speranza.

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Claudia Erba

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