Kenneth per me sei stato una grande sorpresa; sia per la tua musica ma anche per la tua umanità quando ti ho visto per la prima volta nel 2017. Una serata straordinaria dove mescolavi con disinvoltura Jazz, soul, R’n’b e Reggae senza trascurare il pop europeo. Da dove nasce tutta questa abbondanza?
Ciao Alessandro, grazie per l’invito, puoi chiamarmi Kenn.
Direi più che dire la mia profondità dell’anima, la musica è veicolo per arrivare nella profondità del mio essere…
Tutto inizia a casa dei miei, in Inghilterra; mio padre canta, poi al tempo suonava un po’ il basso, chitarra e tastiera a livello amatoriale. Sono cresciuto in una casa Giamaicana dove c’era sempre qualcuno che veniva a mangiare con noi o trascorrere del tempo. La gente che frequentava la nostra casa era una delle cose più belle perché di provenienza e di religione diverse; sono protestante, ed anche questo è un’altra fonte importantissima per la mia istruzione musicale. Sono ancora grato ai musicisti che mi hanno seguito nella chiesa Pentecostale a Nottingham. Hanno supportato la mia sensibilità verso la musica e l’arte. Penso che il valore umano provenga proprio da loro e dalla comunità che frequentavo.
Sei un Cantante e sassofonista di origine anglo/giamaicano, trasferitosi in Italia, ma le tue radici e le tue tradizioni le metti a disposizione di ogni ascoltatore trascinandolo in sensazioni uniche!! Ci racconti come nasci artisticamente?
In realtà sono venuto in Italia per un’esperienza lavorativa, in veste di disegnatore. Il lavoro che ho svolto in quel settore, ha condizionato le mie prospettive professionali e ha inciso nel fare musica.
Per quanto riguarda le mie radici come dicevo, la chiesa è stata fondamentale nella mia formazione musicale e caratteriale, come per numerosi artisti conosciuti: D’angelo, Cory Henry, Anderson Paak. Poi i miei genitori sono sempre stati attivi in quell’ambito con ruoli importanti nella comunità, perciò ho avuto un’impronta precisa verso le persone e i vari aspetti della comunità, fin da ragazzo. Porto con me ricordi dei forti ritmi durante le messe domenicali, la vitalità della gente che lodava il signore, il rapporto tra esse e la congregazione. Sono tutte cose che fanno parte del mio essere e forse per questo mi sento un “po’ al servizio della musica”; è qualcosa di più grande ed accessibile a tutti; sostanzialmente a me piace quando la musica è bella, e la gente riesce a percepire quel qualcosa per stare bene, oppure farsi una domanda: cosa sto provando?
Nel 2008 cominci una bellissima collaborazione con Gospel Times di Joyce Yuille, uno dei maggiori gruppi gospel in Italia, e credo che da questa esperienza nasca anche la tua musica; colorata, piena di sentimento che raggiunge le lontani radici della tua terra.
L’esperienza con Joyce e i Gospel Times è stata bella e importante, in parte per il tipo di musica e il contenuto; per i grandi palchi calpestati in Italia e nel resto dell’Europa, per le mie colleghe cantanti, per la band e per il pubblico; la verità è che la musica nasce dentro di me dalla lontana Inghilterra fin da bambino!! Con i Gospel Times facevamo i concerti nei periodi natalizi e a volta nei periodi estivi. La maggiore parte dell’anno facevo altre date con diverse tipologie di musica: Soul, Jazz, funky, Pop, lavori sporadici con artisti conosciuti qua e là e poi tantissima gavetta!!,
Tra la professione di illustratore e la musica, lavoravo con i primi gruppi tra cui una Blues band di Padova, e poi il trio Gamma 3: il primo gruppo veramente professionale, formato dal talentuoso Michele Bonivento e da un maestro assoluto di batteria, Francesco Casale. Tutte queste esperienze sono state per me una grande ricchezza musicale e di colore, ma alla base di tutto c’è sempre stata l’umanità e la partecipazione viva del pubblico.
Cheryl Porter ti dice qualcosa?
Non ho molto da dire su Cheryl. Con lei ho lavorato occasionalmente in passato. Le riconosco il merito di avere fatto molto nell’industria della musica Gospel! Complimenti!
Oltre ad essere un musicista completo sei anche un arrangiatore, direttore di band. Esperienze sicuramente emotivamente ricche e di grande impatto. Come ad esempio il lavoro per “Nuart-Events”. Questa esperienza ti permette di girare il mondo e di apprendere nuove cose aprendo orizzonti inaspettati.
Di sicuro sono stati anni molto intensi… Arrangiatore non proprio, un giorno lo affronterò bene come argomento. Il mio approccio con la musica è di estendere le mie idee in tante direzioni anche con i testi o solo musica, sottolineando le emozioni di un soggetto, e questo per me, è la cosa più importante perché mi appartiene. Le mie esperienze di vita e il mio studio costante (rafforzato nello studiare presso il conservatorio di Padova), convergono nel disporre i brani che propongo. Probabilmente uso la stessa modalità quando dirigo una band, sia su richiesta di un cliente o su un palco di un festival o per altri eventi, seguendo il mio istinto che si è raffinato negli anni. Tanto di questo lo devo allo studio e al lavoro di disegnatore, a livello organizzativo, rispettando gli impegni tempestivi.
I risultati del lavoro che facevo precedentemente tornavano utili spesso con Nu’Art, e credo per questo ho avuto uno slancio verso il ruolo di leader band, un livello raggiunto dalle esperienze vissute nel lavorare a livelli internazionali.
Tutte queste cose che fai, con così tanta naturalezza, e ne sono testimone con il lockdown dell’anno scorso, ti portano anche a sperimentare cose nuove, sia per te che per altri. È il caso di “Papik”.
Dopo 12 anni d’attività nell’ambito musicale, ho visto tantissimi concerti e lavori di varia natura, lasciando sempre poco tempo per applicarmi alla parte credo per me più importante: scrivere la mia musica.
Il “lockdown” per me ha presentato un’opportunità di valutare, rompere e costruire, che va sempre fatto. È stato anche un momento per scoprire cose nuove da fare: come l’orto, la cucina, i lavori di casa… che passavano inosservati da anni. Ci sono stati momenti belli da trascorrere in famiglia.
Il caso di PAPIK nasce dopo avere lavorato con il DJ/prodottore ‘Blade’ di Jestofunk, che da un disco auto prodotto nel 2010, ‘Acts of Illusion’, fece un remix di uno dei brani feat Wendy.D Lewis- Forever, aveva chiesto un remix di Public Invasion Project, erano tutte sull’etichetta IRMA RECORD con l’eccezione dei ‘Twinstar’ dei DJ/produttore Gianluca Viani e Menini. Passarono un paio di anni, prima di ricevere una chiamata dall’IRMA RECORD dove mi chiedevano se mi interessava cantare un paio di cose per PAPIK. Sono molto felice di aver seminato bene.
Artisticamente come ti definisci? E quali progetti hai a breve termine?
Beh, ho una serie di immagini; una di queste è un albero radicato; le radici che vogliono sprofondare-approfondire e nutrirsi per fare crescere le punte dei rami, che cercano di sporgere oltre un confine imposto da noi.
Nel primo disco ‘Acts of illusion’ cercavo come definire la mia parte artistica, quasi per giustificare le mie scelte, adesso capsico quale è mio punto di vista. Ho creato una frase che mi rappresenta, nella scrittura e nella creazione della musica, una sorta di ‘ethos vivente’
“BOPOP”. Nasce da due parole; Black Origin: Soul, Jazz, funky e Gospel. Popolare: Pop, un livello accessibile. Il significato di questo termine, vuol dire essere riconoscente per la mia composizione artistica e genetica, essendo un uomo anglo-giamaicano, di provenienza mista, anche culturalmente, sia con il valore nel riconoscere le influenze Britanniche-europee della musica e cultura sulla mia persona. Questo crea la visione di accessibilità nel comprendere vari stili e unirli e sentirli a livello uditivo e sentimentale. Questo è il motivo della parola ‘popolare’. Penso sia sempre importante provare a raggiungere questo obiettivo, è molto importante unirlo con la musica.
Si, ho un progetto a breve termine. È un lavoro profondamente artistico con un’etichetta discografica. Sono brani inediti basati sullo stile “BOPOP”, lo stiamo affrontando con il tempo a disposizione, non c’è fretta, ma con l’idea chiara di finire entro fine l’anno. Un’avventura stimolante; i collaboratori e i produttori sono molto bravi, e nel mondo” Pop-Urban” lavorano veramente bene, riescono a valorizzare e a sostenere le mie idee portando punti di vista interessanti.
E veniamo al 2020, con nuovi progetti sicuramente, tra collaborazioni e cose personali, ma ci mettiamo in mezzo l’arrivo del Covid-19.. Inutile chiederti come stai vivendo questo momento!
Inutile no, avevo nuovi progetti, anche se ho sempre pensato che fosse un anno di sospensione. Con l’arrivo del Covid, sono rimasto incredulo. Speravo che passasse in 2-3 mesi. Invece, dopo un anno passato ci ritroviamo più o meno allo stesso punto. Vari momenti di questa pandemia sono stati molto difficili, sia a livello psicofisico, emotivo e finanziario. La triste realtà è che, da una parte c’è l’incognito di come reagirà il nostro organismo e l’effetto collaterale di paura e ulteriore chiusura. Poi dall’altra parte della medaglia, c’è chi ha reagito cambiando l’apertura mentale trovando una propositiva. Per me questo è stato trainante ancora di più con la situazione attuale, perché è stato un rifugio! Di certo mi ha fatto riflettere su cose importanti, abbiamo sentito milioni di volte le stesse frasi. Ora credo che il sentimento che più desideriamo sia quello di riacquisire la nostra libertà, per cui noi tutti dobbiamo resistere.
Ti ringrazio di cuore per averci concesso un po’ del tuo tempo, e ti ringrazio anche a nome della redazione di SOund36.
Ciao a tutti in redazione, e grazie, a te Alessandro, e ai vostri lettori.
Spero di aggiornarvi presto per il mio prossimo lavoro. Ciao
Intervista e foto: Alessandro Corona