Soundcheck

In viaggio con i Cabaret Sauvage

Fai partire la musica e ti viene voglia di partire con lei, a volte. Come nel caso del nuovo EP Live dei Cabaret Sauvage, cinque canzoni, cinque tappe che risvegliano sensazioni, immagini, ricordi di esperienze dal sapore familiare, non raccontate ma evocate.
Ascoltarli guardando un paesaggio mentre scorre: fotogrammi di vita che prima erano lontani, ti raggiungono, giusto il tempo di assaporarli e poi via, scompaiono dietro le spalle, nel passato, potendoli rivedere solo nel ricordo. E insieme al paesaggio tutt’intorno, lasciandosi condurre dai testi, dalle sonorità della band, si sovrappongono altri fotogrammi: momenti vissuti, flash dal sapore nostalgico. E indugi in quella malinconia, per passare poi a ritmi più frenetici ed energici.
Si parte da Mondo Reale, in cui il pessimismo emerge forte e senza via d’uscita col suo andamento ripetitivo, ipnotico, quasi ad evocare un destino, qualcosa d’inevitabile. L’energia esplode soltanto verso la fine come un accento ribelle per ritornare presto ad una composta tristezza nella conclusione. E si arriva al Paese Dei Ciechi, con sonorità molto energiche in cui la chitarra si unisce originalmente all’armonica, dove lo stesso pessimismo è stemperato da una sottile ironia, e si guarda a quello che succede intorno, all’attualità, prendendola anche un po’ in giro: ‘nel paese dei ciechi anche un orbo diventa re….’.
In Sei e Quaranta si parla di indifferenza e si può sfogare un po’ di rabbia attraverso l’abbandono a un ritmo sempre incalzante.
I Cabaret Sauvage si riscoprono Timidi Eroi, lontani da una precisa etichetta: in questo pezzo si parla di apparenze, di meccanismi nella vita di gruppo, sempre con la vena pessimista che percorre tutto il disco.
Ed è Amore Noise che mi piace ascoltare per ultima: la malinconia prende il posto del pessimismo, non più definitivo, l’energia lascia spazio a una dolcezza introspettiva che interrompe il ritmo con brevi pause, che sono respiri, cambi di battito interno. E ti domandi se –continuando un viaggio- troverai uno spazio, poi pensi all’amore, ti chiedi -o vorresti chiedere-: ‘sai cosa vuol dire pensare a noi due, col nostro carico d’amore troppo ingombrante da portare…’. Allora pensi che magari sarebbe meglio buttarla questa zavorra pesante, mentre vai, ma poi, forse, decidi di no, che tutto il tuo bagaglio ti permette di sentire meglio.

INTERVISTA

I Cabaret Sauvage, gruppo torinese attivo dal 2007, sono Umberto (voce, chitarra, armonica), Federico (voce, batteria, chitarra), Simone (chitarra), Alessandro (voce, basso, chitarra).
Il loro EP Live è stato registrato all’Asti Nuovi Rumori Festival e uscito il 5 novembre 2010. Conosciamoli meglio nella nostra intervista:

Come nasce il vostro sodalizio artistico?
Suoniamo insieme dal 2007. Siamo amici di vecchia data, due di noi sono anche fratelli. Non siamo una band che si è formata su Facebook, ed è una cosa di non poco conto. I rapporti personali in un gruppo sono molto importanti, non siamo colleghi di lavoro, anche se spesso l’impegno è quello.

Come nasce una vostra canzone, quali sono gli apporti individuali di ognuno? Il percorso della musica e del testo.
Solitamente si parte dalla musica, di solito proposta da uno di noi in sala. La si studia per bene, e di solito la prima stesura, quella improvvisata, quella in cui qualcuno arriva e dice: “Sentite questa”, è quella fondante.
Quando la canzone è fatta, si buttano giù le parole. Questa è la fase più personale, perché mentre la musica nasce da un impulso singolo che in sala si evolve in canzone, il testo viene di solito scritto a casa, o comunque in solitudine chitarra alla mano.

Quali sono i vostri percorsi individuali e come si amalgamano all’interno del gruppo?
Età diverse, gusti musicali diversi, studi differenti. In comune abbiamo il fatto che ci piace il rock – quello vero (non pensate a Virgin Radio) – la ricerca del suono sporco, “noise”, e le canzoni con un testo degno di essere chiamato tale.

Quali influenze hanno determinato e contaminano il vostro stile?
Black Rebel Motorcycle su tutti. E immaginate come ci siamo sentiti quando ci hanno chiamato per dirci che avremmo aperto una data del loro tour proprio qui a Torino. E poi i classici cantautori folk rock anni 60-70, ma anche De Andrè, i primi Litfiba e, ultimamente, Teatro degli Orrori.

Come la scelta del vostro nome si lega al vostro modo di fare musica?
Che siamo selvaggi ce lo dicono tutti. Non è che spacchiamo le chitarre sul palco. Però non siamo esattamente convenzionali. Facciamo tutto da noi, alla nostra maniera. Pensa che, su tre dischi, nessuno è mai stato registrato in uno studio. Ci costruiamo persino gli strumenti, quando serve.

Scrivete sia in italiano che inglese. Quale necessità è alla base di questa scelta?
Il primo Ep, “Studio”, aveva cinque canzoni in inglese. L’ultimo, Live, è invece completamente in italiano. C’è stata una maturazione in questo senso e non torneremo indietro. Comporre in inglese è ovviamente più facile, ma la resa di una bella canzone con un buon testo in italiano non è paragonabile. Trasmetti il messaggio, il pubblico lo coglie al primo ascolto. Certo, devi avere qualcosa da dire, ma gli spunti non mancano.

Qual è il vostro modo di cantare l’attualità, i sentimenti, il vostro punto di vista sulla vita? Spesso si percepiscono sfumature malinconiche e pessimistiche. Com’è la vostra poetica musicale e cosa volete comunicare?
Una riflessione sull’attualità non può che renderci pessimisti. In Italia per certi versi si sta ancora bene, ma è indispensabile rendersi conto che non durerà per sempre. Il mondo reale non è quello della televisione, quello dei festini, delle caste e dell’auto nuova a rate ventennali.
Viviamo in una società mal gestita, in cui il volere di pochissimi diventa la realtà, la necessità di tutti gli altri. E questo, per il sistema generale, produce effetti disastrosi.
La miseria culturale, la mistificazione dei bisogni da un lato e la diseguaglianza sociale dall’altro cambieranno inevitabilmente la realtà come oggi la conosciamo. Lo diciamo in una canzone, il mondo reale si vendicherà. E non lo biasimo.

Prossimi progetti e concerti…
Il nostro obiettivo è sempre stato suonare, e ci siamo riusciti, con più di 100 concerti in tre anni. Ci siamo fatti la scorza, la nostra musica si è evoluta ed ora necessitiamo di maggiore impatto sonoro, perciò dobbiamo essere più selettivi. Qualche bel festival, qualche bel locale e più in là un disco nuovo.

About the author

Annalisa Nicastro

Mi riconosco molto nella definizione di “anarchica disciplinata” che qualcuno mi ha suggerito, un’anarchica disciplinata che crede nel valore delle parole. Credo, sempre e ancora, che un pezzetto di carta possa creare effettivamente un (nuovo) Mondo. Tra le esperienze lavorative che porterò sempre con me ci sono il mio lavoro di corrispondente per l’ANSA di Berlino e le mie collaborazioni con Leggere: Tutti e Ulisse di Alitalia.
Mi piacciono le piccole cose e le persone che fanno queste piccole cose con amore e passione. E in ultimo vorrei dire che mica sono matta, ma solo pazza. Pazza di gioia.

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