Come già detto il 2018 è stato un anno felice dal punto di vista musicale, tante uscite belle e interessanti, ma gli album elencati di seguito non sono solo belli e interessanti, ma possiedono quel quid (intensità, innovazione, passione, emozione…) che li eleva sopra la media.
1. The Lost End– “The Lost end”.
Eccellente album di esordio di questa band proveniente da Norman, Oklaoma. Un disco intenso e maturo, nonostante la “giovinezza” della band, in cui la lezione del post punk di grandi maestri come Joy Division, Bauhaus, Siouxsie and the Banshees, espressamente citati dal gruppo come propria ispirazione, è metabolizzata, interiorizzata e rielaborata in modo del tutto personale e originale. Intensamente angosciato
2. The Lost End– “Without being anithing”.
Seconda prova discografica di questa band, da considerare la rivelazione del 2018. Il disco, pur mantenendo le atmosfere cupe e inquiete che caratterizzano tutte le canzoni, si contraddistingue per un suono più sporco, rabbioso, energico, velocizzato, tagliente rispetto al precedente: potenza sonora e oscurità sono declinate mirabilmente da quattro musicisti straordinari. Rabbiosamente umbratile.
3. Echo Collective– Plays “Amnesiac” 7K!
Reinterpretazione acustica, senza voce, “neoclassica” dell’album che ha sancito definitivamente la svolta sperimentale (cominciata con “Ok Computer” e proseguita con “Kid-A”) dei Radiohead. Con profondo rispetto, ma senza timor reverenziale, gli Echo Collective confezionano un disco che è il “loro” disco e che vive di vita propria. Album suonato magistralmente, perfettamente orchestrato, pulito, privo di imperfezioni. Un disco che contribuisce ad abbattere barriere e pregiudizi legati ai generi musicali, in cui l’’utilizzo della strumentazione classica “dilata” le possibilità sonore dei brani, ne aggiunge coloriture e sfumature, ne enfatizza l’emotività. Raffinatamente elegante.
4. Le Trio Joubran– “The long march” Cooking Vinyl Limited (Ja. La Media activities).
Sesto album dei tre fratelli palestinesi. Disco ammaliante, ipnotico, suadente in cui la tradizione di uno strumento antichissimo come l’oud incontra percussioni, archi, sintetizzatore, piano, contaminando e generando un perfetto sincretismo musicale. I nove brani che costituiscono il disco nascono nel solco della tradizione, ma non disdegnano garbati sconfinamenti in altri generi. L’album vanta anche la presenza di Rogers Waters che ha prestato la sua carismatica voce a “Carry the earth”. Appassionatamente struggente.
5. The Bauhaus– “The Bela session” Leaving Records.
Si tratta della prima sessione di registrazione in studio della band, nata proprio sul finire del 1978, rimasterizzata per l’occasione e pubblicata per celebrare il quarantesimo anniversario dei sacerdoti del goth rock. Cinque brani, di cui tre inediti estremamente vari a testimoniare quanto il gruppo, fin dal suo esordio, fosse musicalmente valido e originale. Istrionicamente multiforme.
6. Fluxus- “Non si sa dove mettersi” Fluxus Music.
Quinta fatica discografica per la band torinese con una carriera più che ventennale alle spalle. Autentico sisma sonoro di magnitudo elevatissima, in cui la potenza musicale si coniuga magistralmente con l’intelligenza e l’acutezza testuale. Testi chiari, diretti, intelligenti, ma scevri di sovrastrutture intellettualoidi. Musica violenta, rabbiosa, tiratissima, in cui l’hardcore, talvolta, strizza l’occhio al metal e a sonorità più oscure. Un album duro nella musica e nelle parole; un disco che canta il rifiuto dell’omologazione, che dipinge un mondo ormai irrimediabilmente decaduto. Potentemente violento.
7. Thom Yorke– “Suspiria” XL Recording.
Il musicista britannico si misura per la prima volta con una colonna sonora: il film è il remake del celeberrimo Suspiria. Venticinque tracce con la mescolanza di brani cantati e strumentali. Atmosfere e sonorità gravide di inquietudini e di mostri, generati dal “sonno della ragione!”. Album perfettamente riuscito che sancisce la creatività e l’innovatività di questo artista. Inquietantemente spettrale.
8. Massimo Zamboni – “Sonata a Kreuzberg” Contempo.
Pochissimi Artisti costituiscono una garanzia a prescindere. La garanzia e la certezza di trovare nei loro lavori, sempre e comunque, passione, impegno, sperimentazione, coraggio, desiderio di mettersi in discussione. Massimo Zamboni è indubbiamente da annoverare tra i suddetti: invece di adagiarsi sugli allori, con onestà e solerzia artigianale, continua a sperimentare varie espressioni artistiche, regalandoci ogni volta gioielli di incommensurabile bellezza. Il disco è la colonna sonora dello spettacolo teatrale Nessuna voce dentro- Berlino 1981 di e con Massimo Zamboni, Angela Baraldi, Cristiano Roversi. Quattordici tracce: quattro inedite, dieci cover di brani “berlinesi”: semplicemente ipnotico!
9. Mogwai-”KIN” Temporary Residence Limited
Gli scozzesi Mogwai, alfieri del post rock, tornano a cimentarsi con una colonna sonora. Nove brani, di cui solo uno cantato, di grandissima atmosfera e profondo coinvolgimento emotivo. La minor presenza di chitarre, basso e batteria a vantaggio del piano e dell’elettronica non ne inficia l’intensità, anzi, ne esalta l’enfasi emozionale. Fortemente evocativo.
10. Marianne Faithfull- “Negative capability” BMG
Una delle signore indiscusse del rock torna sulla scena con un disco che vanta collaborazioni illustrissime (Mark Lanegan, Warren Ellis, Nick Cave). Tredici raffinatissime ballate intrise di ricordo e nostalgia, interpretate da una voce roca e dolente, non scalfita dalle ingiurie del tempo e della malattia, ma arricchita da profondo pathos. Gli splendidi inediti si alternano a una manciata di classici immortali degli Stones, (As tears go by, It’s all over now) riarrangiati e interpretati con struggente intensità. Il duetto con Cave in The Gypsy faerie Queen è semplicemente commovente! Dolcemente malinconico.