SOund36 è mediapartner di Heroes: Roma come New York. Il nono appuntamento vede come protagonisti I Quartieri, ecco la nostra intervista!
Raccontateci il significato del vostro bel nome
Il nostro nome è nato diversi mesi dopo la produzione del primo materiale, quello che poi è finito nell’ep. A pochi giorni della pubblicazione eravamo in panne, non sapevamo cosa scegliere. Alla fine ci è venuto in mente “I Quartieri“, durante una telefonata. Ci piaceva il modo in cui descriveva la realtà urbana che viviamo ogni giorno, con tutto quello che comporta, nel bene e nel male. Roma è molto grande e dispersiva, per questo i quartieri diventano città nella città, agglomerati di architetture e strutture diverse, stili e tempi diversi, modi di vita e sensazioni. Ogni zona di Roma ha un carattere che ti influenza non appena metti il naso fuori casa. Magari abiti in una zona, ma lavori in un’altra e, riflettendoci bene, vivi almeno due mondi diversi al giorno, ogni giorno. E questa diversità è anche una prerogativa del nostro stile musicale, o per lo meno un’ambizione.
Vi definite un gruppo travestito da cantautore, parlateci dell’importanza dei testi nella vostra musica
I testi sono importanti quanto la musica e l’unico criterio che seguo è quello di scrivere cose oneste, che possa difendere. Questo non toglie che oltre la trasparenza dei testi c’è quasi sempre un mondo parallelo, descritto in modo più velato e metaforico. L’obiettivo di una canzone è fare da specchio per chi l’ascolta, quindi deve parlare di chiunque la ascolti, non di chi l’ha scritta, almeno è questo che cerco nelle parole degli altri. Non solo nelle canzoni, ma nell’arte in generale. Quando un artista mi fa capire qualcosa in più di me stesso, vuol dire che ciò che ha creato è veramente buono.
Avete già all’attivo un Ep “Nebulose” e ora state lavorando sul nuovo album, che differenze sentite da allora a oggi?
C’è più chiarezza sulla direzione da seguire, e più consapevolezza dei mezzi. Abbiamo introdotto sonorità nuove e abbandonato qualcuna delle vecchie. Forse suoniamo meno cose, ma cerchiamo di farlo in modo più puntuale. Cerchiamo di fare al massimo solo quello che è necessario per rendere la nostra idea musicale più intellegibile.
Fate parte del progetto Heroes, che cosa ne pensate? Cosa pensate sia necessario alla scena musicale italiana e romana in particolare?
Conosciamo da vicino Heroes e le persone che sono coinvolte. Possiamo solo dire che ne siamo orgogliosi. Questo progetto sottolinea l’importanza della collaborazione e del sostegno reciproco nel mondo della musica indipendente. E’ utile unire le risorse che abbiamo, dal momento che – pur seguendo strade diverse – abbiamo tutti lo stesso obiettivo. La musica italiana ha bisogno di onestà e autodeterminazione, deve cercare in se stessa le risorse per crescere, senza perdere la testa per quello che succede altrove. E’ vero che guardiamo tutti agli Stati Uniti e all’Inghilterra, però non dobbiamo copiarli. Da una decina di anni l’indie anglosassone è diventato un’industria, un fenomeno commerciale senza nessuna identità reale al di fuori dell’abbigliamento. A forza di ammirare e imitare in ritardo linguaggi che non ci appartengono, abbiamo creato un vuoto nella produzione di una nostra nuova musica, un vuoto così grande che è difficilissimo da colmare. Dobbiamo smetterla di essere sudditi culturali sotto ogni fronte e costruire un sistema e un mercato nostro. Dobbiamo essere felicissimi e più ottimisti. Noi lo siamo, perchè da qualche anno ci sono segnali molto positivi, Heroes è uno di questi.
Progetti futuri (musicali e non)?
Al di fuori del disco stiamo costruendo una serie di rapporti che speriamo diventino collaborazioni. Appunto: collaborare con altri musicisti, produrre insieme agli altri. Abbiamo già cominciato e tra non molto usciranno lavori che vanno in questa direzione. Progetti non musicali? Niente che meriti l’attenzione di chi legge.