Nel Teatro Basilica di Roma è ando in scena “I figli di Abramo”, uno spettacolo che racconta un viaggio, un viaggio introspettivo dove l’uomo si specchia nell’animo dell’intera umanità, ce lo narra con maestria Stefano Sabelli supportato sulla scena da due musicisti, Manuel Petti alla fisarmonica e Marco Molino alle percussioni. Alle spalle degli artisti le splendide videoproiezioni curate da Keziat.
Stefano Sabelli riadatta l’opera di Svein Tindberg (tradotta da Gianluca Iumiemto che è anche il regista dello spettacolo) e se la cuce addosso dando vita ad un mistero buffo che incentra la narrazione sulla vita di Abramo.
Lo spettacolo si snoda tra storia e mito raccontando i rapporti familiari e sociali, le fughe, i personaggi, i figli, i nipoti, le mogli che daranno la genesi alle tre religioni, l’Ebraismo, il Cristianesimo e l’Islam.
Stefano Sabelli si pone nelle vesti di un attore in viaggio a Gerusalemme che visita la terra santa e ne rimane folgorato e la curiosità di quel momento darà il via alla ricerca più approfondita delle origini e in questa ricerca che è poi la ricerca di se stessi sarà accompagnato da una fantomatica guida palestinese a cui piacciono i film di Trinità.
Dal deserto alle spianate passando per la mitica Babilonia e la controversa Hebron, attraversando le sponde del Tigri e dell’Eufrate fino ad arrivare infine a Gerusalemme, il viaggiatore approfondirà la conoscenza sulla storia più antica del mondo e lo farà con l’ausilio dei testi sacri della Torah, del Corano e della Bibbia.
Lo spettacolo di Sabelli sembra un cerchio infinito nel quale finiscono tutte le contraddizioni umane perse nel tempo dei tempi, nel quale anche le rocce parlano lingue diverse e hanno nomi diversi, un cerchio dove la ricerca della verità che dovrebbe segnare un cammino fatto di unione e non di divisione detta le colpe e le disegna addosso a noi uomini che siamo gli unici artefici delle nostre malefatte, nessuno può giustificare l’odio chiamando in causa le religioni perché l’unica religione dettata dai profeti è quella del bene unico per l’umanità intera.
Suggestiva l’immagine del viaggiatore che arrivando a Gerusalemme guarda la città dall’alto rimanendone incantato come fosse la città più bella del mondo, tutto sembra sospeso in un panorama gentile che fa da cornice alle luci e alla speranza di un posto dove si annusa a pelle che qualcosa di eterno è successo, poi scendendo in strada, tra le vie e i pertugi si respira l’odio, e quella discesa diventa la metafora della nostra miopia e dell’eterno conflitto che vede ogni uomo contrapporsi al suo prossimo, a quel nemico necessario che ci serve per giustificare i nostri peggiori istinti.
Uno spettacolo quanto mai purtroppo attuale che alla fine lascia però un messaggio di speranza, siamo tutti un po’ Ismaele e Isacco i figli di Abramo, fratelli divisi alla nascita e portatori di valori contrapposti, ma la speranza anche se i nostri linguaggi articolano sillabe e parole diverse, profeti diversi, è che si arrivi un giorno ad essere la stesa cosa e si lotti tutti per un bene comune, uniti come l’unica frase che è scritta in tutti e tre i libri sacri: “In principio era il verbo, e il verbo era presso Dio, e il verbo era Dio”.
28/10 e 29/10 ROMA – TEATRO DI TOR BELLA MONACA;
DAL 7 AL 12 NOVEMBRE -TEATRO FILODRAMMATICI DI MILANO;
19/11 e 20/11 – TEATRO CIVICO A SINNAI(CA);
24/11 – FLORIAN ESPACE A PESCARA;
1/12 – TEATRO METROPOLITANO DI REGGIO CALABRIA;
5/12 e 6/12 – TEATRO BASILICA A ROMA.
Testo Edo Follino
Fotografie Stefano Ciccarelli