Interviste

Francesca Sortino- Intervista

Scritto da Claudia Erba

“Quando scelsi di cantare L’edera di Nilla Pizzi il mio produttore pensò che fossi impazzita. A me piace trattare la materia sonora con libertà.”

Alcuni la ricorderanno come voce dei Gabin in Doo-uap, Doo-uap, Doo-uap (Virgin, 2002), che conteneva un campionamento dello standard jazz It Don’t Mean a Thing (If It Ain’t Got That Swing); altri per la rilettura del brano dei Comedy Of Life, I Don’t Know You, scelto per lo spot televisivo della Twingo e come sigla de Le Iene. Numerosissime le collaborazioni jazzistiche, da Enrico Pieranunzi a Paolo Fresu, da Stefano Di Battista a Renato Sellani, passando per Pierre Michelot, Maurice Vander, Irio De Paula, Rodrigo Botter Maio, Renato Chicco-solo per citarne alcuni.
Dall’album di debutto-With My Heart In A Song, inciso nel 1998 per la prestigiosa Soul Note a New York, con Jim McNeely, Harvie Swartz, Eliot Zigmund e Rick Margitza- fino ad oggi, quello di Francesca Sortino è un universo sonoro in perenne divenire, animato da un fecondo ribellismo beat.
Nell’ultimo lavoro discografico, Be free (A.MA Records, 2017), si innestano su un genoma jazz Contemporary R&B e ritmi funk della Blaxploitation, sonorità black di matrice americana ed elettronico futurismo post-litteram. Be free, che sembra riecheggiare le migliori produzioni nu-soul d’oltreoceano, da Erykah Badu a Lauryn Hill, si muove tra avant-garde e post bop, inscrivendo fonemi scat e vocalismi ibridi in un mélange policromo e anticonvenzionale, alimentato da un felice interscambio dei codici.

In unintervista ha dichiarato che classificare come jazz tante cose diverse ingenera confusione, sottolineando limportanza di utilizzare una terminologia appropriata nella catalogazione dei generi musicali. La lettura post-modernista del jazz è quella di unentità disorganica, contrassegnata da discontinuità e frammentazioneuna tutela dellidentità di questo genere musicale contro influenze contaminanti ed estranee è doverosa?O sono, al contrario, la nuove musiche a subire linflusso del jazz, in quanto linguaggio pervasivo?
Quando senti suonare o cantare qualcuno e dici…”questo è jazz!!!!”…significa che ci sono degli elementi che tu riconosci: il timbro, lo swing, il senso della frase, lo spirito…Wynton Marsalis dice che puoi fare quello che vuoi ma perché tu possa chiamarlo jazz deve avere gli ingredienti giusti, nelle giuste dosi. E’ chiaro che anche il degustatore deve avere un palato fine per saper riconoscere questi elementi.
Quello che non sopporto sono le approssimazioni, che creano solo confusione. In quell’intervista volevo dire anche che la parola jazz è spesso abusata dal marketing.
Spesso vediamo nei cartelloni dei jazz festival nomi che con il jazz non hanno niente a che fare, ad esempio. Certamente il jazz contemporaneo è un animale ibrido.
I giovani musicisti di oggi sono cresciuti nella post hip hop generation e sono influenzati dall’elettronica e dalla musica dei dj’s. Hanno le orecchie aperte, senza preclusione di stili…ma forse non hanno le basi così solide, perché il jazz che oggi si insegna nelle scuole non è assolutamente comparabile alla guida dei musicisti più anziani, molti dei quali sono scomparsi. Non ti puoi improvvisare jazzista senza conoscere bene la tradizione, il tuo albero non può crescere senza radici…
E, se ti allontani molto dalle radici per cercare qualcosa di nuovo, potresti accorgerti che quello che consideri “nuovo jazz” non è più jazz, ma è pop o qualcos’altro…
La marea dell’evoluzione delle musica non smette mai di fluire.
Sinceramente oggi ho abbandonato le definizioni e neanch’io so come chiamare la musica che faccio attualmente.
La musica cambia sempre. Più di tutti Miles Davis ci ha insegnato ad abbandonare i cliché e ad aprire la musica ad un’originale scintilla creativa.

Rispetto al purismo jazzistico del suo esordio discografico (With My Heart In A Song, Soul Note 1995), il suo ultimo album, Be Free, sembra avere sonorità più eterogenee, con aperture allelettronica e atmosfere nu-soul…già in The Music I Play del 2008 emergevano sonorità Brazilian e suggestioni brit pop…negli anni ha sviluppato unattitudine maggiormente sperimentale e ibridante?
Con The music I play ho cominciato a lavorare sulle mie composizioni, ecco perché si sente un cambio di rotta. Mentre prima ero interprete del repertorio degli standard americani, e quindi diciamo che cantavo in “stile”, il canto si è piano piano liberato da una certa forma e si è adattato all’idea musicale che piano piano stava crescendo in me. 
La suggestione sonora di un lavoro discografico dipende anche dagli arrangiamenti. Jim Mc Neely, pianista compositore e arrangiatore, vincitore del Grammy Awards, ha arrangiato molti brani del mio primo album With my heart in a song per la Soul Note, poi Renato Chicco ha abilmente reso jazzisticamente alcuni evergreen italiani nel disco Kiss Me per la Sugar; The Music i Play invece ha ricevuto la pennellata pop di Dario Rosciglione ed Enrico Solazzo.
Ma è con Francy’s kicks, uscito per l’Abeat nel 2014, che- insieme al trombonista e arrangiatore Roberto Rossi- ho dato il mio primo contributo anche come arrangiatrice fino ad arrivare a Be Free, il mio nuovo disco uscito quest’anno, dove comporre, arrangiare e cantare hanno la stessa importanza e sono tutti collegati fra loro.
The Music I Play contiene brani composti al pianoforte nei quali la melodia e l’armonia sono nate insieme. Francy’s Kicks parte da sketches melodici registrati al cellulare sul momento e poi sviluppati al pianoforte, mentre in Be Free ho affrontato la composizione partendo dal testo, ammaliata dalla bellezza e dalla musicalità delle poesie di Langston Hughes. Alcuni brani sono infatti delle improvvisazioni estemporanee, partendo dalle parole di queste poesie su una progressione armonica.
Prendere delle idee anche da vecchi dischi, frullarle e farne delle cose nuove è un processo molto creativo che ho utilizzato in qualche brano.
Mio figlio Diego Lombardo è stato un produttore eccezionale in Be Free perché ha sempre rispettato le mie idee e ha trovato delle belle soluzioni per metterle in risalto.
Oltre al jazz ascolto ancora molta musica, non mi fossilizzo…amo molto l’hip hop, l’elettronica e tutta la musica black. Non ho limiti di genere e anche nella Trap che piace tanto a mio figlio e che non piace a nessuno di mia conoscenza, trovo cose interessanti.
Sono figlia degli anni ’70, oggi quindi un’adulta con riserva, di un mondo beat, eclettico nei colori e nei modi di comportarsi, di pensare, di agire. Anche la musica che ho ascoltato da ragazza è sempre presente.
In questi anni in cui il bombardamento mediatico e la mercificazione della musica non permettono lo sviluppo di una tensione artistica e spirituale, privilegiando l’aspetto tecnico e commerciale, anche il “jazz” dei nostri giorni soffre per la mancanza di una nuova linfa…abbiamo bisogno di guardare con ottimismo al futuro, abbinare un suono al senso delle cose che cambiano.

Fabio Canessa ha definito il cinema di Avati una jam session perfettamente orchestrata di stili e storie diverse, una partitura jazz dallo swing sorprendente.Forse non è un caso che due sue interpretazioni siano state scelte come colonna sonora di due film del regista bolognese, (rispettivamente Ma quando arrivano le ragazze? e La seconda notte di nozze, N.d.R), che fa di molti film il set di un concerto della memoria(Enrico Magrelli)
Pupi Avati è un regista sensibile che ha sempre amato molto il jazz, sono orgogliosa di essere nella colonna sonora dei suoi film.

Del suo Kiss Me, che rilegge una rosa di brani appartenenti al nostro songbook (da Azzurro a Luglio, passando per Cosa hai messo nel caffè e Gloria-solo per citarne alcuni), ha detto: Non è crossover, è un disco jazz. Condivide lopinione di Pieranunzi, secondo cui: << i materiali che si usano sono “secondari” (…) è lo spirito con cui si manipola il materiale ad essere jazzistico>>?
Quando scelsi L’Edera come brano da inserire nel disco, il mio produttore Mario Cantini mi chiese se fossi impazzita nel voler cantare uno dei cavalli di battaglia di Nilla Pizzi!!! Invece il giro armonico non era affatto male e ne venne fuori un’ elegante bossa. Dipende tutto dalla propria capacità di sentire e di immaginare. La musica è pura immaginazione. Ultimamente mi piace mescolare cose che apparentemente non c’entrano tra di loro…come colori che sembrano cozzare ma messi in un certo modo funzionano…ecco, mi piace creare anche facendo dei mushed-up, fare un collage, smontare e rimontare… mi piace campionare, lavorare con samples, creare dei loops, trattare la materia sonora con libertà. Be free!

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Claudia Erba

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