Interviste

Folco Orselli

Scritto da Gigi Fratus

“il darsi dell’io, che la ricerca autorale/musicale veicola, non mi bastava più, ho avuto l’esigenza di darmi del noi, di coinvolgere le generazioni più giovani”

Ci prepariamo all’intervista con Folco Orselli, cantautore milanese e bluesman molto legato alla tradizione meneghina con la curiosità di chi sa che Folco, da sempre, è abituato a stupire grazie ai progetti, alle idee ed all’impegno che lo contraddistingue fin dall’inizio della carriera.
Oggi ci presenta un progetto ideato e curato da lui con il patrocinio del Comune di Milano e che riguarda la frizzante realtà artistica delle periferie milanesi. Quattordici quartieri e quattrordici giovani artisti che dalla periferia si preparano a conquistare platee più ampie. O, almeno, si spera.

Ciao Folco, intanto ti ringraziamo per averci concesso questa chiacchierata su di un tema importante e denso di significato come il tuo progetto denominato Blues in MI.
La prima domanda quindi, ovviamente, non può che riguardare la genesi del progetto: come nasce e si sviluppa Blues in Mi?
Blues in Mi: quartieri identità di Milano nasce dalla mia esigenza di esplorare la città e la nostra comunità. L’ho sempre fatto attraverso le mie canzoni e ora ho aggiunto il linguaggio del cinema che mi permette di usare altri colori. Nasce anche da una constatazione che ho fatto a me stesso ovvero che il darsi dell’io, che la ricerca autorale/musicale veicola, non mi bastava più, ho avuto l’esigenza di darmi del noi, di coinvolgere le generazioni più giovani, i giovani artisti che abitano le periferie della città, che ritengo luoghi pieni di energia e di possibilità.

Il tuo quindi pare essere un personale percorso di crescita ove la necessità di coinvolgere sia la città che tanto ami, sia le varie correnti artistiche che la permeano, diventa fondamento stesso di questo percorso. Quanto ti ha dato e ti dà, Milano, in questo senso?
Milano è madre ma non mi dà pace e non mi lava ho scritto così in un mio pezzo ed è quello che sento nei suoi confronti adesso, oltre ad una grande malinconia e un grande amore, per quello che è stata e meno per quello che sta diventando.
Per questo Blues in Mi è un percorso necessario. Milano sta perdendo identità e si sta omologando con le sue vetrine franchising, i brand che si moltiplicano tutti uguali nei centri di ogni città. Le periferie mantengono in vita la sua identità , la sua accoglienza e la sua generosità. Anche la spinta artistica la intercetto nei quartieri esterni, dove risiede chi lavora e dove i contrasti sono più evidenti. Per quanto riguarda l’aspetto del personale, si, questo è un percorso che mi arricchisce ma lo scopo principale è cercare di creare un ponte tra le generazioni dopo la mia e la nostra, spaccando l’isolamento in cui la tecnologia ci sta cacciando e riportare al centro la parola insieme.

Dalle interviste realizzate ai ragazzi mi ha colpito molto il differente approccio tra Jobe Vetrano (Cimiano) e William Dunkerley (Gratasoglio). Il primo afferma che, a livello di opportunità, vi è un abisso tra il centro città e la periferia mentre il secondo afferma che le opportunità ci sono basta saperle (volerle dice testualmente ), cogliere. Da cosa dipende una visione cosÏ differente nella percezione della periferia?
Sì è vero, credo che dipenda dalla visione personale e dal carattere. Penso comunque che ci sia della verità in tutte e due le affermazioni. E’ vero che le periferie offrono meno opportunità del centro ma è anche vero che non sono cosi occupate da una visione cementificata, e uso questo termine anche con il suo significato primario. Il mio pensiero è che bisognerebbe coglierne l’opportunità piuttosto che stigmatizzarne i problemi. Milano è una città relativamente piccola e saremmo ancora in tempo ad adottare una visione più inclusiva. Uso il condizionale perché non mi sembra ci sia una volontà politica che va in questa direzione.

A proposito di politica: il patrocinio del Comune di Milano Ë molto importante per la valorizzazione del progetto. Ci sono altre iniziative promosse dallo stesso atte ad offrire nuove e reali opportunità per la crescita delle periferie?
Per quanto ne so io, ci sono parecchie iniziative tipo Milano è viva o altre che vengono promosse attraverso le week (ormai siamo al all you can week)che finalmente stanno in parte investendo anche i quartieri più lontani dal centro. Anche la settimana del design questa volta si è allargata all’esterno. Credo però che andrebbero sostenute di più le realtà associative di quartiere che conoscono bene i territori e le loro problematiche. Mi sembra che ci sia una visione centrica anche nelle iniziative di esportazione della cultura nei quartieri. La questione di portare la cultura in periferia la trovo nobilistica, tipo la Scala che porta il balletto nei quartieri e poi smonta tutto e se ne va. La cultura in periferia c’è già, bisogna andare lì e annaffiare i semi, dal basso.

Noto la presenza di tre artisti di estrazione sportiva i quali certamente fanno prevalere la parte artistica dei loro sport (parkour, skate e monopattino freestyle), è una scelta che a qualcuno potrebbe far storcere il naso rispetto alle arti pure. Ci puoi illustrare questo tipo di scelta?
Volevamo accostare alla danza degli sport che potessero essere accompagnati dalla musica. Un movimento musicale diciamo. Devi sapere che questa fase, in cui presentiamo il cast e in cui i ragazzi ci raccontano le periferie dal loro punto di vista, prelude al film vero e proprio in cui verrà realizzata una coreografia urbana che metterà insieme stili di danza diversi, quartieri diversi, culture diverse e verrà realizzata su un mio funk/blues. La sfida sarà riuscire a creare una coreografia che riesca a tenere insieme tutte queste apparenti diversità e per complicarci la vita abbiamo inserito anche gli sport che più mi ricordano la periferia:lo skateboard, il parkour, il monopattino freestyle. La tesi di fondo di tutto il progetto, che cerchiamo di dimostrare attraverso le performance filmate che realizziamo, è che la somma di tutte queste apparenti diversità di cultura, stili artistici, quartieri: crea un valore aggiunto rispetto alla visione singola.

Molto interessante. In ultimo, non mi resta che augurarvi un grande in bocca al lupo da parte di tutta la redazione di Sound36.com e chiederti se ci sarà la possibilità di portare on stage questo bellissimo progetto. Vi sarà quindi la chance di costruire uno spettacolo live o, la complessità di mettere in scena una tale varietà di talenti, rende impraticabile questa possibilità?
In realtà, come per il primo episodio realizzeremo quelle che chiamiamo proiezioni show. Nei festival di cinema di quartiere, ma le abbiamo fatte anche per Estate Sforzesca e in triennale con Anteo nostro partner. Proiettiamo il film e poi i protagonisti realizzano, insieme a me uno spettacolo live. E’ un modo per creare interesse e coinvolgimento delle comunità locali che riconoscono nell’uno o nell’altro dei protagonisti dei vicini di quartiere. E’ anche un modo per spingere i coetanei a darsi da fare vedendo come l’esempio virtuoso dei ragazzi scelti paghi. E in questo periodo siamo pieni di giovani che non studiano e non lavorano. Sono io che ringrazio voi e te per questa bella chiacchierata!

Molto bene, allora non ci resta che darci appuntamento ad uno delle prossime proiezioni show. Se possibile sarà mia cura documentare uno o più spettacoli! Se hai già un calendario delle prossime esibizioni vedremo di esserci! A presto!
A presto! Siamo in missione per conto di S. Ambrogio

Folco Orselli
Blues in MI
https://bluesinmi.com/

About the author

Gigi Fratus

Nato a Seriate (Bg) nel 1969, due grandi Amori, mio figlio Mattia e la mia Morgana, un’Aprilia RSV del 2003.

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