Sound&Vision

Dream Theater @ Tuscany Hall

Scritto da Stefania Pucci

Appunti sparsi di un viaggio nel teatro dei sogni

James Labrie pare mio padre, però coi capelli.  E che capelli. Ho 10 anni meno di lui (ok, 11. Ho controllato) se sbattessi la testa a nord sud ovest est per 2 e spiccioli quasi ininterrotte dovrebbero raccattare i miei neuroni a cucchiaiate dalle pareti del Tuscany Hall. Lui a fine serata pareva ancora decorosamente intero, indi tanto rispetto fratello.
John Petrucci è in botta dal 1985. Pensateci un attimo. Quello con la chitarra alle feste è quello che imbrocca solo la sabbia del lago e la nonna 91enne del festeggiato, impietosita da tanto (malriposto) ardore e dall’inedia autoinflitta causa (appunto) ruolo di “quello con la chitarra”. Se poi sei il chitarrista dei Dream Theater la faccenda si complica infinitamente. Provateci voi a stare sei mesi col culo piazzato sulla sabbia. E in sei mesi forse avete finito la prima strofa.
John Myung è quello che mi fa chiedere cosa esattamente gli mettano nel biberon ai giapponesi. Ramen? Sake? I razzi missile di Ufo Robot? Perché avere 56 anni e dimostrarne 25 è illegale e dovrebbe causare indignazione e disgusto in chiunque sia dotato di buon senso e di anche un solo capello bianco.
Jordan Rudess non so esattamente chi sia ma se volesse mi trova su Tinder. Sono quella che vuole sembrare una 20enne hipster e finisce col somigliare alla nonna di cui sopra.
Mike Mangini è… no, dai, è uno scherzo, aridatece Portnoy, non si fa così.
I DT sono in scena da quando ancora i miei capelli non avevano bisogno di tre appuntamenti mensili dal parrucchiere per avere un colore almeno realistico, hanno venduto qualcosa come 10 milioni di dischi, hanno pubblicato 26 album (più l’usuale catasta di raccolte, best of e “James Labrie e le sue canzoni da tenere mentre ti fai il balsamo”) e hanno avuto l’inusitata umiltà di chiamare l’ultimo album “A view from the top of the world”. Così. De botto. Senza senso. Poteva essere una pessima idea (e scommetto che qualcuno gliel’abbia suggerito “Ragazzi, state a fa’ na cazzata, date retta, chiamatelo “A view from the Cantagallo ovest Autogrill” o “A RSA from the top of the world”, non è più tempo da metallari sboroni, ora va di moda l’understatement”). Dicevamo, poteva essere una pessima idea e in realtà… Non lo è stata . A view eccetera eccetera è un prodotto coeso e rifinito, che vive di sonorità potenti e a tratti oscure, che trova la sua ragion d’essere nel rock, lasciando poco spazio all’epopea prog.
Anche dal vivo i brani di A View eccetera eccetera si fanno godere, a partire da The Alien,  brano potente e diretto, che apre l’album nonché il concerto di stasera, per continuare con Answering the call, con un Petrucci inesorabilmente metal e massacrante.  E ancora Sleeping the GiantPull me under e la stessa title track, puro onanismo (in senso buono, ovviamente) prog metal di 20 minuti e spiccioli (cosa dicevamo del chitarrista sulla spiaggia?).
Anyway, I Dream Theater hanno dimostrato di esserci e di resistere (a parte le corde vocali di James Labrie, che risultano disperse da qualche parte nel Millennium Bug, ma non si può avere tutto nella vita) a dispetto di chi li voleva defunti e pronti al burraco in terrazza alla prossima sagra dell’uva. See you next.
In apertura gli Arion, che sì bravi ma mi hanno fatto sentire mia nonna (avevo scambiato il tastierista per una fanciulla. Oh, con tutti quei capelli!)

Dream Theater

Arion

Vertigo
Vertigo Hard Sounds
Dream Theater
Arion

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Stefania Pucci

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