Siamo in piena estate (precisamente l’8 agosto del 1969) e la band più famosa al mondo, prima di sciogliersi definitivamente, ha deciso di pubblicare ancora un grande album, nonostante ne avessero praticamente già registrato un altro (Let it be) che, di base, non piaceva a nessuno e sarebbe uscito solo più tardi come ultimo canto del cigno. Le registrazioni, con il produttore storico George Martin, erano nate quindi con questo lodevole intento (tra l’altro ampiamente raggiunto), ma era altresì evidente che i Fab4 non volessero tirare la questione troppo per le lunghe, per poter finalmente andare ognuno per la propria strada. Le cronache dei protagonisti raccontano che avendo pensato inizialmente di chiamare il disco Everest (pensate un po’: era la marca di sigarette che fumava un ingegnere del suono Geoff Emerick, che lavorava con loro) o Everest Mount, si stava facendo largo l’ipotesi che le foto della copertina potessero essere scattate direttamente sul monte più alto del mondo. Ma l’idea del lungo viaggio, viste le premesse appena evidenziate, fu scartata e così Paul McCartney pensò che essendo l’indirizzo dello Studio EMI – creato a Londra nel 1931 – dove stavano incidendo i nuovi pezzi: Abbey Road, 3, il toponimo della strada potesse divenire anche quello del disco. La proposta piacque a tutti e quindi quando si trattò di pensare alla relativa Cover Art gli stessi Beatles decisero di uscire in strada e “regolare la pratica” senza troppi problemi. Chiamarono il fotografo Iain McMillam al quale di fatto diedero solo una mezzoretta per prendere alcuni scatti e così, non prima di aver fatto fermare la strada dai vigili visto il calibro dei personaggi, iniziò lo shooting.
Faceva talmente caldo che proprio Paul McCartney, che in studio stava solo con dei sandali ai piedi, dopo alcuni scatti se li tolse direttamente e risultò essere l’unico scalzo dei quattro. Questo particolare apparentemente banale fu uno dei principali elementi della foto – insieme alla sigaretta che ha in mano e ad altri, anche riportati sul retro della copertina – che sembrò confermare un’assurda leggenda, tale da far concorrenza a quella dei terrapiattisti: Paul era già morto in un incidente con la sua Aston Martin nel 1966 e quello nella foto non era lui, ma un sosia. Sulla questione si potrebbe scrivere un romanzo intero, ma noi ci limitiamo a riportare la curiosità che nel 1993 Macca pubblicò un disco dal vivo ironicamente intitolato: Paul is live e nella copertina c’è il cantante che posa sulle celebri strisce, stavolta con le scarpe, che porta a spasso un bel cagnone bianco. Ogni riferimento ad Abbey Road e a questa ridicola diceria è…puramente voluto.
Detto questo, gli scatti furono meno di una decina e alla fine fu scelta fra questi, da McCartney, la foto definitiva che tutti conosciamo. Oltre ai quattro in primo piano visti di lato che attraversano, un po’ sullo sfondo ma ancora riconoscibile allargando il fotogramma, ci finì anche un turista americano (Paul Cole) che stava parlando con un poliziotto in un furgone. Per questa ragione divenne “famoso”, inizialmente a sua insaputa visto che scoprì di essere stato fotografato solo quando la moglie comprò l’album qualche mese più tardi. Nella foto c’è sulla sinistra un maggiolino bianco la cui targa (LME281F) non fu oscurata: come è logico che avvenisse fu rubata rapidamente dopo l’uscita del disco, mentre l’auto fu venduta per 2.530 Sterline. A dicembre 2010 l’Inghilterra ha riconosciuto alle famose strisce pedonali sulle quali i 4 furono immortalati, il secondo livello fra i posti d’importanza culturale e storica. Un’ultima annotazione: lo Studio Emi succitato, dopo la pubblicazione del mitico LP fu chiamato e lo è tutt’ora, semplicemente Abbey Road Studio.
Quando si dice: “la potenza di un mito”.
COVERT ART SECRETS: Abbey Road dei Beatles
Le cose più belle, le più ricercate, talvolta sono anche quelle più semplici. Lo conferma certamente la storia che sta dietro a una delle copertine di dischi più celebri (se non addirittura la numero 1 in assoluto) di tutti i tempi: Abbey Road dei Beatles.