Gli Aut in Vertigo si formano nel 2004 dall’incontro di amici, avete pensato sin dall’inizio di creare qualcosa di serio che andasse al di là della suonata con gli amici o è una cosa che è venuta piano piano?
Fin dall’inizio abbiamo “suonato per divertirci”, come spesso si sente dire. Ma al contempo la volontà di creare qualcosa di nostro, di definito, di serio, come dici tu, è stata un obiettivo irrinunciabile. Man mano che crescevamo (e con noi la nostra musica, i concetti che volevamo esprimere, i live, il pubblico che ci seguiva), abbiamo definito sempre più il nostro genere e la nostra ricerca musicale.
Ci tenete molto alla vostra autonomia rispetto ad un panorama musicale che spesse volte è molto rigido, in quali aspetti esce fuori la vostra preziosa autonomia?
Non possiamo uscire dal “vortice” della musica di oggi, tanto vale restarci dentro, ma sempre con la consapevolezza di chi siamo e perché siamo qui, cercando il modo migliore per esprimere ciò che pensiamo con il nostro suonare. Questa è l’autonomia che cerchiamo. Il concetto esce fuori nella nostra musica, dunque, che ha strutture, intenzioni e funzioni differenti: nel nostro disco potete trovare, ad esempio, generi molto diversi tra loro. Ma anche nei testi, che a volte sono introversi e carichi di significati, altre volte espliciti, altre volte ripetitivi. Non siamo autonomi nel senso di indipendenti dal contesto: amiamo esplorarlo. Non siamo autonomi nel senso di distaccati: amiamo il confronto. Vogliamo scegliere se e come farci condizionare da ciò che ci sta intorno, tutto qui.
Nel novembre del 2013 esce il vostro debut album “In Bilico”, come è nata l’idea di farlo?
L’idea di fissare i nostri racconti, le nostre impressioni e le nostre ispirazioni c’è da sempre, è una cosa profondamente affascinante in ogni tempo. Solo che il percorso per realizzarla è stato molto travagliato. Quando abbiamo deciso di incidere “In bilico”, nel 2011, sapevamo che sarebbe stato un punto di svolta per il gruppo; nel bene e nel male, questa era l’unica certezza. E così è stato, la formazione storica si è sciolta, e ci siamo ritrovati con pochi brani registrati a metà. Ma anche questo è servito: tre musicisti, che erano fans degli AiV, ma che prima di tutto erano amici, si sono uniti al progetto, permettendogli di rinascere e prendere nuova forma. Con la nuova formazione realizzare il disco è stato un qualcosa di naturale, quasi istintivo: in pochi mesi tutto si è completato.
Dando un’occhiata ai testi dell’album, sembra davvero un concept album. Quale messaggio volete fare arrivare al vostro pubblico?
L’idea base è quella di comunicare la nostra generazione, i nostri tempi, le nostre vite. I pezzi si sono concatenati da soli, come un percorso, come un cammino. Abbiamo immaginato proprio una camminata per Torino, in cui ogni stato d’animo, ogni tappa di un ragionamento sono scanditi da una canzone. Ecco allora che pezzi scritti in momenti e tempi diversi sono diventati una storia unica con un proprio senso. Il centro è raccontare come l’incertezza della nostra generazione non sia solo lavorativa o sociale, ma a volte anche intima e interiore. Ma che i percorsi, gli incontri, le relazioni possano dare un senso al tutto, e aiutarci a capirlo.
Nel vostro sound il rock contemporaneo si intreccia con uno dei vostri punti fermi: il rock anni ’70. Chi sono i vostri miti di quel periodo?
I grandi classici: sicuramente i Led Zeppelin, gli AcDc, gli Scorpions, Rolling Stones e ZZ Top. Ma anche Fabrizio De André o Rino Gaetano. Gli ascolti sono tanti, dall’hard rock al jazz, dalla musica etnica al folk, dal pop al metal, molti di più di quelli che ci vengono in mente, e sicuramente ci danno un’impronta, ma l’autonomia si sviluppa anche da qui.
Annalisa Nicastro