Interviste

Andy Carrieri, Intervista

Bull’s Eye e quello che ci voleva per scuotere le coscienze a 300 all’ora!

Andy Carrieri dopo tanto tempo ecco finalmente il nuovo disco dei The Dirtyhands. Un disco che vuole raccontare un ritorno alle origini dei The Dirtyhands o una svolta alla ricerca si sonorità nuove ?
Un po’ tutte e due le cose, ricerca di nuove sonorità cominciando a ricercare le origini del nostro sound considerando che io e Cesare Ferioli originariamente siamo partiti dal punk rock (chi prima e chi dopo). Io militavo nei Rusk&Brusk già alla fine dei ’70, Cesare negli Uxidi DC e negli Urban Fight nei primissimi ’80.

Le vostre esperienze passate si possono ascoltare sicuramente tra i solchi del disco, ma la svolta sta nella grafica che l’ho trovata accattivante e molto “coraggiosa”. Parlami della scelta e del colore rosso e del disegnatore che ha lavorato per voi.
Chris Watson è un grafico scozzese al quale avevo fatto fare il logo per un gruppo di bikers possessori di Bonneville al quale appartenevo, ci piace molto il suo tratto grafico e la scelta dei colori direi che è esclusivamente sua dal momento che gli abbiamo praticamente dato carta bianca per la realizzazione della grafica. L’idea del titolo Bull’s Eye è di Cesare, concettualizza l’idea di bersaglio (è poi il significato stretto del termine) e di focus da raggiungere, l’input sul tipo di toro è invece un’idea partita da Cosimo.

Una particolarità che ho trovato è che i 10 brani, sono tutti di seguito senza i soliti spazi. Scelta mirata per rendere il disco più fluido e potente? Il missaggio del disco dove lo avete fatto e chi ve lo ha fatto?
Le pause corte sono una scelta, comunque il missaggio è stato fatto da Paolo Dal Broi e da Cosimo che ha seguito la produzione, a Milano. Tutte le tracce sono però state registrate a Bologna presso lo Studio Sound Lab.

La vostra formazione ha subito mutazioni sostanziali, dagli allora Jack Daniel’s Lovers della fine anni ‘80, all’attuale. Come nasce questa formazione cosi “ristretta”? Ho trovato che i suoni del disco sono più puliti e più sincopati. Sei d’accordo?
I The Dirtyhands nascono come Trio nel 1990 dopo lo scioglimento dei Jack Daniel’s Lovers originali, quest’anno ricorre il trentennale ma non siamo riusciti ad organizzare niente per via dell’emergenza pandemica. Nel 1991 ci unimmo a Andy J. Forest acquisendo cantante e armonicista in un colpo solo, facemmo parecchie date tra Stati Uniti e Italia con Andy J. In seguito collaborammo con un altro cantante armonicista conosciuto a New Orleans durante la nostra permanenza, J. Monque D, realizzando anche un paio di tour in Italia. A questo punto la formula in quartetto con armonica ci ha molto attirato, all’epoca ascoltavamo molto blues texano (Fabulous Thunderbirds, Anson Funderburgh) e californiano (James Harman, Rod Piazza, Red Devils) per cui il nostro sound era influenzato dal suono dell’armonica e abbiamo contattato Egidio Ingala che all’epoca era uno dei pochi che apprezzava quel tipo di sound. Cosimo è subentrato a Max Pitta già dal 97 (direi) ma quando recentemente abbiamo deciso di ripresentarci abbiamo inizialmente ripreso la formazione in trio, sound essenziale che ci piace molto. Abbiamo comunque fatto qualche serata in quartetto con Mariano Marini (ex Snakedoctors) alla chitarra riavvicinandoci al sound californiano ma senza armonica e quindi un po’ più crudo ed essenziale. In seguito io e Cesare abbiamo avuto occasione di uscire in Duo per motivi logistici ed economici (Cosimo abita a Legnano) e abbiamo sperimentato un sound ancora più semplificato al quale Cosimo ha dato un supporto enorme con bassi e baritone varie creando così il sound attuale di nuovo in trio ma molto più potente e scarno di prima.

Vorrei conoscere più da vicino i vostri punti di riferimento a cui vi rivolgete; tutti i brani hanno un forte legame di continuità tra loro, amo particolarmente ONE MORE NIGHT per la chitarra sali/scendi. Siete figli degli ZZTOP?
Gli ZZTOP sono figli della stessa radice alla quale ci rifacciamo, direi che siamo nipoti di John Lee Hooker e Lightnin’ Hopkins (senza dimenticare il corpo dell’iceberg di cui loro sono la punta).

BACK SCATCHER e I WISH YOU WOUND mettono in risalto la motricità di Cesare Ferioli alla batteria, stile inconfondibile, e il tuo cantato quasi nasale, ma molto “romantico”. Trovo questi due brani molto esaltanti e pronti per essere ballati!!!
Lo scopo era quello, la scelta ritmica di Cesare era indirizzata a suscitare movimento, come deve essere, non dimentichiamoci che il Blues classico (o Rhythm’n’Blues come definiva Amiri Baraka quello elettrico con sezione ritmica) è un genere nato per essere ballato. Non dimentichiamo che i Juke Joint del Mississippi erano essenzialmente bar dove la gente ballava, beveva e si divertiva, non chiese battiste.

Tornando al disco nel suo complesso, non lo trovo ne Punk ne root-Blues, lo trovo molto urbancity, ritmiche regolari, semplici e fluide, una visione “colorata” in netta contrapposizione alla staticità della vita.. Cosa può differenziare un disco cosi, dal panorama texano o della Louisiana, ma anche dal mercato europeo?
Nonostante le nostre passioni noi restiamo comunque europei figli del punk-rock e pop inglese per cui questo crossover tra Texas, Louisiana e California in realtà passa attraverso le nostre culture europee e questo lo considero un vantaggio. Per questo nel nostro sound si può sentire quello che tu definisci urbancity che non è altro che un melting pot di tutte le nostre esperienze passate e presenti.

Nel 2017 tu e Cesare Ferioli vi siete esibiti in alcuni concerti come duo, (più volte vi ho sentito e fotografato) con un nuovo suono semplificato, creando uno stile unico, sicuramente senza rivali!!! Aggiungendo poi, Cosimo al basso, e la chitarra baritonale, diventando cosi, sicuramente il nuovo stile della vostra band. Concordi?
Si, direi che sei stato preciso nella definizione. In duo per necessità logistiche ed economiche siamo riusciti ad essenzializzare e portare a nostro vantaggio l’esperienza con il supporto di Cosimo. A Volte usciamo in duo anche io e Cosimo e il risultato è altrettanto essenziale.

Siamo in un momento molto particolare della nostra vita per il Covid-19, ma avete deciso comunque di far uscire il disco. Non vi sembra una mossa azzardata? Anche perché i concerti sono tutti a scartamento ridotto e secondo me la vostra musica deve essere sentita sul palco. Che ne pensi?
Tutta la musica deve essere sentita dal palco ma l’emergenza ha anche portato a galla tutte le carenze del music business e in particolare quello italiano, abbiamo deciso di uscire perché comunque il nostro non è un lavoro creato ad arte per vendere serate live ma una vera operazione mirata alla produzione di un oggetto di culto come un disco. La contingenza dovrebbe spingere chi fa musica a concentrarsi su proposte artistiche valide e non un semplice biglietto da visita da presentare ai locali e ai festival.

Vorrei concludere la nostra chiacchierata con una tua considerazione sul futuro della musica sia in studio che dal vivo. Non è una domanda scontata, io mi trovo ad essere molto preoccupato. Ovviamente questo discorso vale anche per l’arte in generale.
Che dire, il mercato discografico era già in crisi da molto tempo per tanti motivi, non ultimo la carenza di una cultura musicale diffusa, fino agli anni 80 si compravano dischi e si andava di più ai concerti per cui possiamo dire che il pubblico era più preparato mentre ora con la diffusione della musica digitale e delle cover band, il pubblico si è un po’ impigrito e accetta di più anche musica di qualità più bassa, non si accetta più la novità di un sound o una scaletta originale ma si preferisce ascoltare cose “già sentite”. Probabilmente tutto ciò ha a che vedere anche con il concetto di “fine della storia” che stiamo vivendo, questo perenne presente che riesce solo a volgersi al passato ma che non intravede futuri prossimi.
Ad essere ottimista, posso pensare che l’emergenza pandemica, impedendoci di suonare nei piccoli locali o nei club non espressamente dedicati al live possa spingere chi è veramente motivato ad approfittare della situazione per produrre musica in studio di qualità, non solo al punto di vista del suono ma anche come proposta artistica. Tutta l’arte è penalizzata da questa situazione ma, ripeto, la pandemia ha solo scoperchiato un vaso, nei momenti di crisi si dovrebbe creare.

Andrea “Andy” Carrieri chitarra e voce
Cosimo “Cox” Dell’Orto basso
Cesare “Big Mojo” Ferioli batteria

https://www.facebook.com/thedirtyhands.official/

About the author

Alessandro Ettore Corona

Alessandro Corona nasce a Bassano del Grappa (VI) nel ’57. Dopo aver vissuto in varie zone del Veneto, si trasferisce a Bologna negli anni’70, seguendo tutto il movimento artistico di quel periodo; dai fumetti di A. Pazienza e N. Corona, alla musica rock britannica e americana, a quella elettronica di stampo tedesco, al cinema d’avanguardia tedesco e francese, per approdare poi alla scoperta della fotografia internazionale seguendo corsi di approfondimento e di ricerca.

Scatto per non perdere l’attimo.
Esistono delle cose dentro ognuno di noi, che vanno messe a fuoco.
Esistono cose che ci circondano e che non vanno mai perse, attimi che possono cambiare il nostro futuro; ognuno di noi ha un’anima interiore che ci spinge verso quello che più ci piace o ci interessa.
Io uso la macchina fotografica come un prolungamento del mio braccio, la ritengo un contenitore enorme per catturare tutti quei momenti che mi appartengono.
Passato e futuro si uniscono fondendosi insieme e per caratterizzare l’anima degli scatti creo una “sensazione di fatica” nella ricerca dell’immagine mettendo in condizione l’osservatore, di ragionare e scoprire sé stesso dentro l’immagine.
Trovo interessante scattare senza pensare esattamente a quello che faccio; quando scatto il mio cuore muove un’emozione diversa, sento che la mia mente si unisce con estrema facilità al pulsante di scatto della mia macchina, non esito a cercare quel momento, non tardo un solo secondo per scattare senza riflettere.
Il mio mondo fotografico è principalmente in bianco e nero, il colore non lo vedo quasi più, la trasformazione cromatica è immediata.
Non esito: vedo e scatto!
La riflessione per quello scatto, si trova in mezzo tra il vedere e lo scattare senza esitare sul risultato finale, senza perdere tempo in quel momento.
Diventa immediato per me capire se quello che vedo e che intendo scattare può essere perfetto,
non trovo difficile esprimere quello che voglio, la macchina fotografica sono io.
Ogni scatto, ogni momento, ha qualche cosa di magico, so che posso trasmettere una riflessione quindi scatto senza cercare la perfezione estetica perché nella fotografia la foto perfetta non esiste, esiste solo la propria foto.
Works:
Fotografo e grafico: Mantra Informatico (cover CD), Elicoide (cover LP)
Fotografo ufficiale: Star for one day (Facebook). Artisti Loto (Facebook)
Fotografo ufficiale: Bowie Dreams, Immigrant Songs, Roynoir, Le Sciance, Miss Pineda.
Shooting: Federico Poggipollini, Roynoir, Heide Holton, Chiara Mogavedo, Gianni Venturi, Double Power big band, Progetto ELLE, Star for one day, Calicò Vintage.
Radio: Conduttore su LookUp radio di un contenitore artistico, con la presenza di artisti.
Fotografo ufficiale: John Wesley Hardyn (Bo), Reelin’and Rocking’ (Bo), Fantateatro (Bo), Nero Factory (Bo), Valsamoggia Jazz club (Bazzano), Friday Night blues (Bo), Voice club (Bo), Stones (Vignola), il Torrione (Fe), L’officina del gusto (Bo), Anzola jazz, Castelfranco Emilia blues, Bubano blues, Mercatino verde del mondo (Bo), L’Altro Spazio (Bo), Ramona D’Agui, Teatro del Pratello (Bo), P.I.P.P.U Domenico Lannutti, Insegui L’Arte (Badolato CZ), Artedate (Mi), Paratissima Expo (To), Teatro Nuovo e club Giovane Italia(Pr), Teatro Comunale e Dehon (Bo), Teatro delle Passioni (Mo).

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