Difficile, lo ammetto, descrivere in poche righe cosa realmente rappresenti per me e per molti della mia generazione un artista così importante come George Michael. Nitido il ricordo dell’anno 1984, quando viene lanciata nelle radio e, con un video intrigante, anche su MTV la splendida ballata “Careless Whisper” che mi spinse ad acquistare subito l’LP degli Wham! intitolato “Make it big”. Quel duo pop, che scalò le classifiche di tutto il mondo, solo due anni dopo si sarebbe sciolto davanti al pubblico di Wembley per dar spazio esclusivamente al suo leader e alla sua carriera solista con un primo fantastico album: “Faith” (1987), che sfondò anche in America. Quel disco, ancorché così importante, iniziò tuttavia a minare il rapporto con la casa discografica che lo vedeva solo come un volto da sfruttare per conquistare le ragazzine di tutto il globo, mentre George Michael aveva ben altri progetti per valorizzare il proprio lavoro. La crisi con la Sony Music si acuì nel 1990 dopo l’uscita di Listen without prejudice Vol. 1, col quale volle dimostrare a tutti che il tempo dei poster e dello sfruttamento della sua immagine era finito e lo spazio sarebbe stato ormai solo per la sua musica. La canzone “Freedom ’90” sintetizzava in poco più di 6 minuti questo nuovo modo di intendere il suo rapporto col pubblico e alcuni suoi autorevoli amici come Elton John considerano ancora oggi quel disco come il suo capolavoro assoluto. Per sei anni non pubblicò nulla a suo nome (fatto salvo l’EP Five Live insieme ai superstiti dei Queen per il tributo a Freddy Mercury) anche per gli strascichi della causa legale che alla fine, tra l’altro, lo vide sconfitto.
Ma il motivo principale di quel lungo silenzio fu che in quel periodo il suo cuore era entrato in lutto e la musica era passata in secondo piano. Il suo compagno brasiliano Antonio Feleppa, infatti, era morto di Aids e probabilmente quell’evento lo segnerà per tutta la vita. “Older” il disco del grande ritorno nel 1996 di fatto racconta l’elaborazione di quella perdita, in particolar modo nel singolo “Jesus to a child” (malinconico e strappa lacrime), ma anche in “You have been loved”, che conclude l’album, in cui descrive il dolore della madre del fidanzato sulla tomba del figlio e il tentativo di Anselmo di consolarlo prima di morire. Seguirono anni tumultuosi dovuti alla sua vita pubblica non sempre gestita in modo prudente, come nel caso dell’arresto a Los Angeles per adescamento di un agente di polizia. Evento che in qualche modo lo costrinse a fare outing. La più lunga attesa per un album di inediti invece (dopo l’affascinante compilation di standard jazz “Songs from the last century”) terminò addirittura nel 2004 con “Patience” che contiene più di una canzone scritta per il suo nuovo amore texano (“Amazing”), al quale dedicò esplicitamente “American Angel”. Dal vivo nel 2006 tornò con un mega tour mondiale per celebrare i 25 anni di carriera e nel 2011 regalò ai suoi fan un tour con l’orchestra (ebbi la fortuna di vedere la data di Firenze) seguita dal suo primo disco live dal titolo “Symphonica”. Dopo aver perduto anche la mamma, negli ultimi anni si era ritirato nella sua casa di Londra dove stava scrivendo il suo prossimo album, ma la depressione lo teneva lontano perfino dagli amici più cari. Proprio nel giorno di Natale di questo spietato 2016, un infarto improvviso ce lo ha portato via, lasciandoci orfani di una delle voci più cristalline di sempre, ma soprattutto di una persona umanamente sensibile e fragile quanto il suo cuore.
Personalmente posso dire di non aver mai amato un artista come George Michael, seguendolo passo dopo passo e acquistando ogni suo singolo, o album, il giorno stesso della loro uscita. Per “Faith”, ricordo ancora di non essere andato a scuola (avevo 16 anni) pur di essere il primo ad acquistarlo, all’apertura del principale negozio di dischi della mia città. Mi mancheranno le sue melodie, le sue geniali canzoni dance (“Fast love” la mia preferita) e le sue lente sensuali, come pochi riusciranno mai a scriverne (“Father figure” e “Cowboys and angels” su tutte).
Con lui se ne va l’interprete della colonna sonora di una vita intera e, sinceramente, non credo solo della mia.
ADDIO A GEORGE MICHAEL
Questo Natale ci ha lasciati orfani della sua voce e della sua fragilità