Partiamo dall’inizio.
Achille Lauro pubblicizza un tour “unplugged” nei teatri. La Stefania, che è curiosa come una scimmia (e della scimmia ha, ça va sans dire, lo stesso aplomb e la stessa innata eleganza) decide immediatamente che bisogna esserci, che un tour acustico del tizio che ha scritto versi immor(t)ali come “La tua gonna è Las Vegas, dai toglila un po'” o “Il mio cuore è in un freezer // Sono a letto col killer, thriller “ urlandoli poi come se fosse l’ultima corda vocale del mondo è precisamente il senso che voglio dare a un giovedì sera di febbraio.
È così Vostro Onore che mi trovo qui, davanti a un teatro strapieno (ma davvero non avete un divano a casa?) cercando di fare pace con il grillo parlante della buona musica che si è piazzato sulla mia spalla destra e mi guarda con disprezzo.
Entriamo. Ora, non so voi, ma io quando sento parlare di anplagghd mi immagino magari non proprio il chitarrista di turno sulla spiaggia che canta Acquazzurraacquachiara e gli amici limonano la turista di turno ascoltano con supremo interesse, ma almeno una faccenda à la Nirvana su Mtv (senza About a girl però che sennò piango).
Achille no. Lui immagina più cavi che allo space centre la mattina del decollo dello shuttle, lui immagina
amplificatori, chitarre e batterie che nemmeno i Rolling Stones nel loro tour più megalomane (che poi io mi immagino la conversazione fra Achille e il suo manager “Maè me se sò scaricate le pile dell’autotune” “E facciamo un tour acustico Achì, che ce vò?”).
Ok. Non sarà proprio acustico.
Mezz’ora canonica di ritardo (ma io dico, justeat non lo potete chiamare mezz’ora prima? Perché vi riducete sempre all’ultimo, che io sò vecchia, stanca, ho sonno e mi fanno male i piedi dall’83?) e il tizio che non ha ben chiaro il termine “acustico” sale sul palco.
Elegantissimo, in rosso (suppongo) Gucci e guanti di vernice, incredibilmente sobrio e accompagnato da una band di tutto rispetto (Gregorio Calculli, Marco Lanciotti, Nicola Iazzi, Riccardo Castelli e Amudi Safa, con un cameo della violoncellista Sara Volpiana che apre la serata) Achille attacca con il primo pezzo, l’ultimo singolo “Che sarà”. E tutti i pregiudizi che avevo e tutte le discussioni su questa che “Non è musica è rumore” si volatilizzano. Perché Achille è cresciuto. Ha studiato (forse non la musica, ma quelli son dettagli Achì), ha mangiato quintali di cinema/fotografia/arte e li ha fatti diventare suoi. Non
è più (o forse non lo è mai stato e quella distratta ero io) un ragazzino che fa il verso ai grandi. È diventato adulto. Un performer adulto che allontana da se stesso ogni definizione che tenti di ingabbiarlo, che crea un personaggio e poi lo uccide, sparigliando le carte di chi lo vorrebbe più semplice e più banalmente incasellabile.
Achille non è più Achille o non è mai stato Achille e questo spettacolo ne è la dimostrazione definitiva. L’uomo che ha detto “Sono anni che cerco di distruggere la mia carriera” non c’è riuscito di nuovo. Anzi. La fenice che è riemersa dalle ceneri di “Rolls Royce” e “Me ne frego” è una creatura completamente nuova. Adesso non resta che attendere il prossimo passo.
Achille Lauro @ Teatro Verdi (FI)
Foto di Stefania Pucci
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