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50 pagine al giorno – Lacci di Domenico Starnone

Scritto da Giulia Carlucci

“Tutte le famiglie felici si somigliano; ogni famiglia infelice è invece disgraziata a modo suo”. Lev Tolstoj

A cosa siamo disposti a rinunciare quando ci sentiamo in trappola? Chi e cosa siamo disposti a sacrificare?
Vanda e Aldo si sposano per amore nel 1962. Proprio da quel legame nascono Sandro e Anna.
Poi qualcosa si rompe dodici anni dopo, Aldo si innamora di un’altra donna. Abbandona la sua famiglia. Ma lì torna qualche anno dopo.
Un romanzo in tre parti. Tre voci. Tre punti di vista.
La prima a parlare è Vanda.
Vanda, tradita e abbandonata. Vanda arrabbiata, triste, delusa e al centro di una tempesta di emozioni contrastanti. Vanda scrive.“Se tu te ne sei scordato, egregio signore, te lo ricordo io: sono tua moglie. Lo so che questo una volta ti piaceva e adesso, all’improvviso, ti dà fastidio. Lo so che fai finta che non esisto e che non sono mai esistita perché non vuoi fare brutta figura con la gente molto colta che frequenti.”

Lettere disperate e di speranza. Richiama all’ordine l’uomo che ha amato, chiedendogli di assumersi le proprie responsabilità. Vanda sofferente, impotente, in balia degli eventi e dell’incertezza. Incapace di accettare ciò che sta succedendo.
Il suo è il soliloquio di una donna distrutta che cerca di rialzarsi e di rimettere a posto le cose. Ma poi iniziamo naturalmente a domandarci quale sia il posto giusto.
Nella seconda parte la voce è quella di Aldo.
Siamo in un altro tempo della storia. Aldo si racconta. Prova a dare le sue ragioni, ripercorre a ritroso gli anni della separazione. Anni in cui si è sentito vivo, nonostante il dolore e il senso di colpa per aver abbandonato la sua famiglia. Racconta anni difficili.
Il cliché dell’uomo sposato che si invaghisce di una donna più giovane e dimentica ogni responsabilità, ogni vincolo per sentirsi libero e felice. Riportato all’ordine per semplice inerzia dal senso di colpa. In una casa che non è più la casa. In cui si perpetra una guerra fredda di quelle che solo gli adulti sanno farsi: densa di silenzi e impossibilità di perdono. Lacci strappati di un’esistenza ormai sfilacciata.
Lacci di Domenico Starnone è separazione e ritorno. Ma il riflettore illumina la prima per descrivere il secondo come infelice.
Perché Vanda non è più la stessa dopo lo strappo. Aldo invece è tornato solo per il bene della sua famiglia. Ritratto dal senso di colpa per aver ferito moglie e figli. Vuole rimediare, rinuncia alla propria felicità. Non può immaginare che proprio quel ritorno lascerà dei traumi irrisolvibili nei suoi figli. Nessuno sarà più felice.

“C’è una distanza che conta piú dei chilometri e forse degli anni luce, è la distanza dei cambiamenti”.

A legarli non è più l’amore, ma la rabbia, il rimorso, il rancore e persino l’odio con cui continuano a torturarsi.
Nella terza parte arriva l’onda del dolore: la figlia Anna, il suo è il punto di vista più straziante.
È proprio Anna che mostra come i genitori, anche se spinti dalle più nobili intenzioni, possano far del male ai propri figli.
Anna e suo fratello sono poco più che dei bambini quando il padre se ne va. Davanti a loro domande che non troveranno risposta e una mamma sola, ferita e furibonda. Anna e Sandro abbandonati, che quasi non ricordano il padre al suo ritorno.
Anna ormai è una donna di mezza età che conduce una vita disordinata, frutto di quel dolore.
Cosa resta quando la vita si sgretola?
In una tempesta di emozioni a volte è sufficiente un gesto a far riaffiorare tutto ciò che abbiamo cercato di mettere a tacere. A volte basta un figlio che allaccia le scarpe in modo bizzarro, esattamente come faceva suo padre. Un figlio che non ricorda minimamente di averlo mai imparato da lui. Eredità non genetica ma emozionale. Il genere di legame da cui non è possibile fuggire.
Da qui il titolo.

“Niente è piú radicale dell’abbandono, ma niente è piú tenace di quei lacci invisibili che legano le persone le une alle altre. E a volte basta.”

Lacci è un romanzo sanguigno e familiare. Una storia corale in cui tristi esistenze sono tenute insieme dal legame della famiglia.
Ordinaria storia di una famiglia disfunzionale, ormai tristemente universale.
Tanto reale se pensiamo che per mantenere un vincolo non sempre si fanno le scelte giuste e spesso sicuramente non le più coraggiose.
Perché se la famiglia diventa prigione dell’individuo, non è altro che un’infelice coabitazione di anime. E ciò che tiene uniti i singoli non sono legami, ma lacci stretti, sempre più stretti.
Così il tema centrale del romanzo è la fragilità dei legami familiari, rappresentati dai “lacci” del titolo: vincoli affettivi che possono stringere ma anche soffocare.
Starnone affronta l’argomento spaziando in modo sicuro tra passato e presente. Analizza le ferite che il tempo e le scelte personali lasciano sui rapporti familiari. Esplora con realismo la complessità delle relazioni. Non offre giudizi e soluzioni. I suoi personaggi sono volutamente imperfetti e per questo tanto più vicini e dolorosamente reali.
Ci insegna che se sembra difficile tenere insieme una coppia è ancora più difficile lasciarsi. Ci vuole coraggio nel sostenere il dolore che si provoca all’altro, ci vuole coraggio nel riconoscere l’errore. Sicuro, i sentimenti non sono parenti della ragione. Sicuro, il dolore non richiede dialettica.

“Abbiamo imparato entrambi che per vivere insieme dobbiamo dirci molto meno di quanto ci nascondiamo.”

Lo stile di Starnone è asciutto e incisivo, con una narrazione frammentata che alterna magistralmente prospettive e tempi diversi. Questa scelta narrativa rende la lettura coinvolgente e permette di entrare nella psicologia dei personaggi, comprendendone le contraddizioni e le fragilità.
Alla fine anche un piccolo colpo di scena.
Creare un legame è un rischio, sempre. Investire se stessi in qualcuno lo è.
Le domande che restano sono molte, una su tutte.
Vale la pena legarsi, se poi certi legami rischiano di trasformarsi in lacci?

 

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Giulia Carlucci

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