“Libertà va cercando, ch’è sì cara,
come sa chi per lei vita rifiuta”.
Prendiamo in prestito da Dante questi due versi per ricordare una donna, un’artista, un’attivista Helin Bolek, morta ieri, in Turchia, dopo quasi trecento giorni di sciopero della fame. Helin era la cantante dei Grup Yorum, una band attiva dal 1985, impegnata socialmente, da sempre in prima linea nella battaglia a favore dei diritti umani. I musicisti, accusati di terrorismo, hanno subito vessazioni di ogni tipo: arresti, divieto di esibirsi, requisizione e distruzione di strumenti, partiture, libri di loro proprietà. La cantante, insieme al chitarrista Ibrahim Gokcek, comincia uno sciopero della fame per chiedere la liberazione dei suoi compagni incarcerati. Si batte perché le intollerabili restrizioni e i divieti, soprattutto nei confronti della cultura e di chi fa cultura, imposti dal regime di Erdogan siano cancellati. Perché la cultura continua a far paura, a terrorizzare gli uomini “forti”. Perché il pensiero libero non si doma, non si mette a tacere. E il pensiero libero è figlio della conoscenza e la cultura genera la conoscenza. Helin Bolek non si arrende, continua imperterrita a rifiutare il cibo anche quando le impongono l’alimentazione forzata. Dopo 288 giorni di lotta è morta, aveva solo 28 anni. Helin è una martire della libertà. Martire perché è una testimone di quello che è l’ideale più puro e nobile. Il suo sacrificio non deve essere vano, deve scuotere coscienze, scardinare convinzioni dettate dal “quieto vivere”. A Helin, che con tanta passione aveva cantato “Bella ciao”, porgiamo un saluto con le parole di un canto partigiano, che sicuramente avrebbe apprezzato:
“Quando poi ferito cade
non piangetelo dentro al cuore,
perché se libero un uomo muore
che cosa importa di morire”
Le sia lieve la terra.
