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Quatsch (sognati dal futuro) Anno 1 N. 10

Scritto da Stefania Pucci

«Essere un funambolo non è un mestiere, è un modo di vivere”. Questa è la storia di Philippe Petit, l’uomo in nero, che ha realizzato il suo sogno, camminando sospeso fra cielo e terra, imparando a volare, aprendo le sue stesse enormi ali contro il mondo.

Di funamboli

“Quando sei a 417 metri da terra, con un piede sospeso su un cavo di 3 centimetri e l’abisso, sopra, sotto e intorno a te, hai due possibilità. Puoi tornare indietro, riportare il piede sulla terra ferma, indietreggiare. E sarai al sicuro e in salvo. Ma non saprai mai cosa sarebbe successo se tu avessi osato. Oppure puoi prendere un respiro profondo, alzare la testa, abbassare le spalle, mettere un piede davanti all’altro. E iniziare a camminare”
Sono le 7 del mattino del 6 agosto 1974 quando i newyorchesi che si trovano a passare sotto le Torri Gemelle, non ancora inaugurate, alzando gli occhi al cielo vedono uno spettacolo surreale. Un uomo, completamente vestito di nero, sta camminando sospeso nel vuoto, in cima alle due Torri, oltre 400 metri sopra le loro teste. Qualcuno pensa a un’allucinazione collettiva, altri gridano al miracolo. Pochi, fra la folla che si sta raccogliendo, conoscono la verità. Sono gli amici, i complici, dell’uomo in nero. Sono gli uomini, e la donna, che sanno che lo spettacolo che stanno vedendo non è l’avvento dell’Apocalisse né la prova dell’abuso di LSD. È il coronamento di un sogno, il punto di arrivo (o di partenza, in quel momento nessuno è in grado di dirlo) di un viaggio che dura da anni.
Quel viaggio inizia una mattina di 6 anni prima, nella sala d’attesa di un dentista della banlieue parigina. Philippe Petit, questo è il nome dell’uomo in nero, è nato in una famiglia piccolo borghese di Nemours, una cittadina a sud di Parigi, il 13 agosto del 1949. Fin dall’età di sei anni impara l’arte della prestidigitazione, e poco più tardi inizia a fare il giocoliere. Inizia giovanissimo a esibirsi per le strade, davanti ai turisti. Nel frattempo, praticava anche attività come la pittura, la scultura, la scherma, il teatro e l’equitazione. A sedici anni scopre la passione per il funambolismo, e inizia ad addestrarsi da autodidatta: «Nel giro di un anno – racconta – ho imparato a fare tutte le cose che si potevano fare su un filo». Queste attività non sono ben viste dal sistema scolastico: Petit viene cacciato da cinque scuole prima di compiere diciott’anni. Decide di girare il mondo e sopravvivere come artista di strada e commettendo piccoli furti («fuggivo dalla polizia col monociclo» e «spesso restituivo la refurtiva: mi interessava rubare per la bellezza di farlo»). Il suo interesse principale, però, rimane il funambolismo: «essere un funambolo non è un mestiere, è un modo di vivere” racconterà in interviste successive «Una traversata sul filo è una metafora della vita: c’è un inizio, una fine, un progresso, e se si fa un passo di lato, si muore. Il funambolo avvicina le cose destinate a restare lontane, è la sua dimensione mistica».
Philippe quel giorno ha un mal di denti feroce e lancinante. Con la poca pazienza che lo contraddistingue attende il suo turno in sala d’attesa, finché un giornale attira la sua attenzione. Quel giornale è Paris Match e in copertina riporta i progetti di costruzione delle Twin Towers, i due nuovi, scintillanti grattacieli che stanno sorgendo a New York e che, con i loro 415 metri d’altezza, saranno i grattacieli più alti al mondo.
Philippe è affascinato. Ha già camminato sul filo altre volte, guadagnandosi una certa fama e una serie pressoché infinita di denunce (ne collezionerà oltre cinquecento nell’arco della sua carriera). Quelle due torri, quella sfida che sembra insormontabile, lo attraggono particolarmente. Sono il suo grido verso il cielo, la sua dimostrazione, se mai ce ne fosse bisogno, che un altro mondo è possibile, raggiungibile, a portata di mano.
Passano gli anni e Philippe raccoglie intorno a sé una schiera di accoliti, complici in quel sogno paradossale e insensato. Philippe risolve i problemi che gli si presentano alla mente, dal vento, che a 415 metri d’altezza ha la potenza distruttiva di un uragano, alla forma e peso del filo, alla sua lunghezza, ai nodi. Un problema via l’altro, una soluzione dopo l’altra. Fino al 6 agosto 1974. Sono le 7:15 del mattino e un uomo, completamente vestito di nero, mette il primo piede sul filo che lo trascinerà verso il cielo. La traversata dura 45 minuti per i 42 metri che separano le due Torri. Philippe effettuerà quella traversata per otto volte, respirando ogni volta un’aria diversa, scoprendo ogni volta un mondo diverso. Avrà il tempo di inginocchiarsi al pubblico incredulo che lo guarda dal basso e di sdraiarsi sul filo, perso per alcuni minuti nell’immenso oceano del cielo. All’ultimo passo Philippe sa di essere ormai una pagina nei libri di storia. Verrà arrestato da poliziotti stupefatti e rilasciato poche ore dopo con l’obbligo di esibirsi per i bambini in Central Park e in tasca un pass a vita per l’Observation Deck delle Torri Gemelle. Quel pass che scadrà, crudelmente, un undici settembre di tanti anni dopo. Nessuno lo sa però in quel momento, nessuno può immaginarlo. In quel momento c’è solo Philippe, l’uomo in nero, il Mr Vertigo narrato poi da Paul Auster, che ha realizzato il suo sogno, camminando sospeso fra cielo e terra, imparando a volare, aprendo le sue stesse, enormi ali, contro il mondo.

Uomo dell’aria, tu colora col sangue le ore sontuose del tuo passaggio fra noi. I limiti esistono soltanto nell’anima di chi è a corto di sogni

Editoriale di Stefania Pucci
Copertina di eineBerlinerin

Quatsch Anno 1 N.10

Libro in Cartolina: Francesca Riario Sforza, Io, Caterina. Intervista di Sylvie Freddi, Illustrazione di Caroline Freddi

IGStories: Experience Future #3 di Michele Tarzia

Le Vite degli altri, di Red Sheep

Cervello, testicoli e zampetto in gelatina, di Massimiliano Bellavista

Gli zombi irlandesi dei Cranberries, di Sylvie Freddi

La Babele dei Big Data, di Caroline Freddi

About the author

Stefania Pucci

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