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Olive For Ever

Scritto da Red

“Non ho la minima idea di chi sono stata. Dico sul serio, non ci capisco niente” Olive

di Giorgia Facchinelli

Olive Again di Elizabeth Strout, premio Pulitzer 2009 con Olive Kitteridge, coglie la bisbetica signora protagonista del sequel nella fase in cui la vita diventa un veloce precipitare verso la conclusione. Attraverso tredici racconti che riguardano il suo presente, il suo passato e le persone che sono a vario titolo entrate o uscite dalla sua vita, incontriamo Olive tra i settanta e gli ottant’anni in un cioraniano slancio verso il peggio, pur conservando il fulgore del suo genuino cinismo e un’acredine cristallina e politicamente scorretta non priva di guizzi (rari) di empatia.
Leggo il libro qualche mese fa, mi torna poi in mente all’ombra di una famiglia di pioppi, mentre guardo il lago. La Strout è una paesaggista nata e le sue descrizioni di alberi, acqua e cielo modellati dal cambiamento delle stagioni mi rendono simpatica anche Olive, che a queste interpretazioni poetiche della natura non è del tutto insensibile. I colori delle foglie accompagnano il suo umore; la qualità della luce e la densità del mare che entra nel piccolo golfo di Crosby, Maine fanno da quadro alla fase in cui si suppone debba essere capito il senso e la concatenazione degli eventi di una esistenza, e invece emerge la certezza che tutto è caso. E il caso è una grande occasione per rimescolare le carte. I giudizi sul passato sono sempre granitici ma intercambiabili. Il presente vive della narrazione di ciò che è stato, e Olive (la Strout?) racconta con spirito da baro di fumosa bisca clandestina. Mrs. Kitteridge again è lucida, imperturbabile, ignara e fiera delle sue contraddizioni.
Il romanzo non teme incursioni in argomenti scabrosi. Dai pannoloni a mutanda ai risvolti sensuali dell’amore geriatrico, Olive non ci risparmia commenti e dovizia di particolari. D’altronde le nonne degli anni ’70, quelle che ricordo io, tra una nazionale senza filtro e l’ennesimo caffè scambiavano informazioni su vivi e morti da fare accapponare la pelle. L’attenzione per i bambini si limitava al farli andare ‘a giocare’, per il resto… fiato alle trombe.
Per il tempo di lettura di Olive Again ho voluto essere Olive e il contrario di Olive in un’alternanza di sorellanza e antipatia che l’avrebbe disturbata moltissimo. Essenziale, compatta, coraggiosa perché incosciente, Olive percorre l’ultimo tratto di strada con la presunzione e la durezza di un’adolescente non affetta da impietosimenti umilianti. Il risultato per il lettore, per la lettrice, è un felice incontro con la signora della villetta-a-schiera accanto, scontata e irrinunciabile, talmente assoluta nella banalità di un’esistenza ripetibile infinite volte da diventare necessaria.
Olive non perdona, non ha dubbi. E se li ha fa spallucce presto e se ne dimentica. Poi, miracolosamente, s’innamora. Naturalmente del giovane medico che la segue presso la casa di riposo in cui si è rassegnata ad andare. S’innamora perdutamente ma distrattamente, perché le storie degli altri e gli acciacchi sono sempre un pozzo di distrazioni, perché il peso della vita una continua a portarselo sulle spalle anche quando le ossa non ce la fanno più a reggerlo. Ma non importa: “Non ho la minima idea di chi sono stata. Dico sul serio, non ci capisco niente”, e questa e pura onestà.

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