I Mole Moonwalktet attraversano vari generi musicali, vi sentite un po’ “zappiani” nell’animo?
Sicuramente l’approccio, soprattutto nella composizione, si avvicina a quello “zappiano”. Ma il paragone, per quanto faccia piacere, francamente è un po’ azzardato, anche se più di una volta ci hanno accostato a quel tipo di sound.
Il Moonwalktet è un ensemble ambiguo, quasi un equivoco nel panorama italiano. Il nostro intento, sopratutto in questo disco, era esprimere proprio la massima eterogeneità pur mantenendo un suono il più possibile amalgamato, abbastanza sporco e saturo. Nessuno di noi ama i dischi patinati (a parte Giovanni, l’organista, che è un fan di Bob James).
E’ appena uscito il vostro secondo album, Manuale per Funamboli. Cosa c’è di nuovo o di diverso rispetto al vostro primo album?
“Manuale per funamboli” è un disco che abbiamo composto dall’inizio alla fine insieme. Ognuno ha messo molto del suo ed era quello che volevo. Forse questa, onestamente, è la vera novità di questo secondo album unita sicuramente al tipo di scrittura che ho adottato, visto che quasi tutti i brani partono da una storia abbastanza semplice, quasi banale (come per esempio un incontro in osteria) per poi svilupparsi in modo più ampio verso la fine dove viene fuori una sorta di “morale”.
La nostra mentalità, anche e soprattutto dal punto di vista compositivo, è sempre stata e probabilmente sempre sarà da jam band. Si improvvisa, si abbozzano dei groove, dei temi, delle parole per poi rifinire il tutto man mano. A noi piace così, forse è il modo più divertente di far musica visto che la forma canzone non è proprio nelle nostre corde.
E’ vero che vi siete chiusi per tre giorni nello studio udinese Black Mirror per la registrazione del disco?
Si, davvero. Sono stati tre giorni meravigliosi, intensi e anche molto faticosi, devo dire. Ho prenotato lo studio Black Mirror “solo” per queste 72 ore appunto perché volevo che il disco fosse quasi live, più che altro nell’approccio dei miei musicisti. Mi sono portato Gabriele Scopel, il mio tecnico del suono di fiducia, avvalendoci anche della preziosa assistenza di Luigi del Missier, e abbiamo registrato senza sosta per 12/13 ore al giorno, compreso l’ultimo pomeriggio dove siamo riusciti a registrare del materiale in più che non è stai inserito nel disco ma che forse faremo uscire più avanti. È un esperimento che spero di ripetere al più presto, magari con l’altra mia band, i Maci’s Mobile, con cui a settembre andrò a incidere il disco nuovo.
I testi delle canzoni sono ironici, cosa volete far arrivare maggiormente a chi vi ascolta?
Nonostante negli anni mi sia messo a suonare diversi strumenti, la scrittura è la parte a cui sono più legato e in cui cerco di essere il più pignolo possibile con me stesso. L’ironia è una delle qualità che maggiormente cerco nelle persone che mi circondano e che sicuramente voglio mettere all’interno dei brani in questa sorta di perenne riso amaro, di disillusione cronica – chiamiamola così.
Mi nutro di immagini, di tutto quello che vedo ogni giorno, soprattutto nei rapporti tra le persone “normali”. Questo mi interessa: raccontare solo un punto di vista senza la presunzione di cambiare il mondo o il modo di pensare di chi mi ascolta. Scrivere per me è un grande sfogo. Tutto quello che non riesco a dire lo scrivo, quindi diventa una specie di terapia. Non riesco a scrivere i testi sul computer per esempio perché uso dei segni particolarissimi per appuntarmi le dinamiche, gli accenti ecc.
Parlateci della copertina dell’album, a chi vi siete rivolti?
Ad Alberto Fiocco, che è un illustratore bravissimo di Feltre (anche se spesso lavora a Milano). Volevo effettivamente una grafica scarna, “povera”- che facesse da contrappunto al suono del disco, dove c’è sempre tanta roba (quasi troppa, a volte) – ma allo stesso tempo colorata perché tutto sommato siamo degli inguaribili cazzoni.
Mi piace il fatto che Alberto abbia reso il concetto di funambolismo, che per noi è proprio il fatto di essere sempre in bilico tra un genere e l’altro (ambigui per l’appunto), cosa che oggi giorno è molto rischiosa, visto che l’audience media ha bisogno della sicurezza di settore, in maniera non didascalica.
Annalisa Nicastro