“Ogni cosa cambia, ma nella trasformazione è insito ciò che non è più; o forse è altrettanto vero in contrario, è la parte immutabile dell’identità che permette il cambiamento e ne è talmente il motore da conservarsi nonostante il divenire qualcos’altro. Questa archeologia dell’identità mi sembra essere il nucleo costante che accomuna tutte le ricerche di Paolo Martellotti: l’identità dell’oggetto antico del quale è necessario ricostruire la forma originaria (non già ritrovare, ma ricostruire, ossia dotare l’elemento di nuove forme e di nuova materia, stratificazione storica all’ontologia originaria); l’identità di uno spazio al quale si aggiunge una funzione (o la si trasforma); l’identità di un albero che diventa suggestione pur conservando qualcosa del suo aspetto originale. La tensione che si palesa nelle opere di Martellotti ha un senso antichissimo, quello tra naturalia e artificialia di memoria cinquecentesca, quando l’uomo-artista non era distante dall’uomo-studioso, quando i saperi tutti facevano parte di un’unica immensa conoscenza e l’essere umano a buon diritto gareggiava in bellezza e arguzia con la Natura. Studiare l’oggetto naturale nella sua forma originaria per conservarla e valorizzarla attraverso la trasformazione, ossia assurgendolo a testimone delle proprie suggestioni, delle mappature concettuali che l’oggetto stesso imbocca, è la chiave per interpretare il lavoro dell’artista-architetto. Tali suggestioni, però, non debbono essere individuate nella realtà materiale, nessuna delle opere di Martellotti rimanda a qualcos’altro di immediatamente riconoscibile, ma nell’ancestrale mondo del mito, metafora delle passioni umane. Un pezzo di legno, dunque, viene caricato magicamente del retaggio di una storia, rappresentativa di una condizione umana che eternamente ritorna poiché è la ragione dell’infinito ricordo del mito. Questa operazione intellettuale viene traslata anche nelle opere pittoriche, nelle quali è il taglio prospettico che rimanda a una dimensione altra, al di là di quella del punto di osservazione, che non viene celata in alcun modo ma che si apre verso uno spazio molto più ampio di quello che l’osservatore può scorgere: ciò che non è più è osservabile nella sua identità minima, ma nulla ritorna, poiché è nella suggestione che si costruisce la conoscenza e la bellezza contemporanea.” Cecilia Paolini
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