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Irene

Scritto da Stefania Pucci

Irene è morta. Stefania è viva. Tra le lacrime e in mezzo alle macerie, questo mi rende infinitamente orgogliosa

Ho avuto una gemella per 72 ore. La mia gemella si chiamava Irene. Irene aveva la faccia da casalinga porca in un film pecoreccio anni 70 e un’attitudine un po’ da valchiria nelle relazioni interpersonali.
Irene era probabilmente molto sola perché cercava compagnia nel deserto emotivo di un social network. Irene ha lanciato un po’ di ami nel mare magnum del sesso virtuale e ha pescato Lorenzo. Lorenzo è un racconto breve, fatto da tre immagini in croce e una biografia che racconta poco o nulla dell’uomo dietro lo schermo.
Irene e Lorenzo stanno cercando una cosa sola. Stanno cercando un corpo che riscaldi la solitudine di un sabato di febbraio. Stanno cercando di sentirsi amati, di sentirsi desiderati, di sentire che il mondo fuori non è, non tutto e non completamente, disinteressato a loro. Il loro scambio epistolare è fatto di frasi brevi, battute banali da Bacio Perugina, del niente più assoluto di chi sa già che quello che vuole ottenere è quello che otterrà, che le chiacchiere casuali con cui entrambi arredano quello spazio bianco sono solo un inutile riempitivo nell’attesa di quel poco di sesso che verrà .
Irene ha scelto di incontrare Lorenzo una sera di febbraio. Lorenzo ha scelto il luogo, i tavolini di un bar nascosto nelle pieghe della periferia fiorentina. Lorenzo è arrivato con cinque minuti di anticipo, Irene ha, ovviamente, deciso di arrivare con cinque minuti di ritardo .
Irene e Lorenzo si sono incontrati, si sono guardati. Probabilmente, in un altro luogo e in un altro tempo si sarebbero piaciuti perché questo è quello che effettivamente è successo (in un altro luogo e in un altro tempo).
Ma Lorenzo non era Lorenzo. E Irene non era Irene. Dietro quel volto un po’ insignificante da badante in libera uscita, dietro quelle foto standardizzate da quintali di filtri, dietro quelle dita che correvano su una tastiera, dietro tutto quel niente c’era Stefania. Irene era la versione ripulita e corretta di me stessa. Una versione priva delle mie fragilità, perché per 72 ore ho finto di non essere fragile. Una versione priva del mio dolore, perché in questi tre giorni ho nascosto a lei e a me stessa il mio dolore. Una versione di me priva di tutti quei sentimenti che mi rendono umana. La donna, un po’ cagna (passatemi il termine) un po’ robot perfetta per gli uomini come Lorenzo, per riempire il loro vuoto, per puntellare la loro traballante autostima. Ma Lorenzo non era Lorenzo. L’esca, l’unica, che Irene ha lanciato nel mare del social network, era dedicata a lui. Irene è stata costruita e modellata appositamente per arrivare a quel momento, a quel sabato, a quell’incontro.
Irene è morta. Di lei ho strappato ogni traccia e ho cancellato ogni immagine e ogni parola, detta e pensata. Irene se n’è andata, e andandosene si è portata via una parte di me, quella che ha permesso a un uomo inutile come quello nascosto dietro la maschera di Lorenzo, di farmi del male. Di farmi sentire sporca, inutile, inadatta a ricevere un amore che non fosse questa volgare imitazione messa in scena dall’uomo che non era Lorenzo.
Irene è morta. Stefania è viva. Tra le lacrime e in mezzo alle macerie, questo mi rende infinitamente orgogliosa. 

About the author

Stefania Pucci

Ho un corpo. Una faccia, due gambe, due braccia, due seni. Ho della pelle, tanta, troppa pelle. Pelle che brucia sotto il dolore, pelle che si squarcia a ogni ferita. Ho delle ferite. Le mie scelte, le scelte di altri mi feriscono. Mi lascio graffiare e ferire. Perchè questo mi rende viva. Imparo dal sangue a scorrere, riverso nel sangue le mie paure. Sono una donna. Sono il mondo. Sono nulla. Sono tutto.

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