Quasi ad un anno dal mio primo live di Giacomo Lariccia a Bruxelles ho la fortuna e il privilegio di poter ritornare “sul luogo del delitto”, anche se in verità il concerto è di scena in un’altra zona della città. Si tratta di un locale non molto grande – il Cellule 133 nel Comune di St. Gilles – nel quale si esibiscono di frequente diversi artisti molto apprezzati nella Capitale d’Europa e, sicuramente, il cantante romano trapiantato qui in pianta stabile ormai dal 2000, rientra fra questi. Quello che mi piace molto delle sue canzoni è la capacità di trasmettere intimità. In particolare l’ultimo disco, intitolato Ricostruire, risulterà alla fine della serata particolarmente adatto a ribadire questo feeling diretto con il proprio pubblico che, ancora un volta, ha finito col riempire del tutto lo spazio della venue di turno.
Quando si presenta sul palco, aprendo con un pezzo molto intenso intitolato Quanta strada, che parla del delicato tema del “fine vita”, tradisce sul volto più di un’emozione, ancorché ben dissimulata dalla sua dolcissima voce. Un inizio abbastanza calmo che continua con la bellissima title track del nuovo album che, in quest’ultimo mese, ho già ascoltato decine di volte. Si tratta di un brano che parla di quanto l’amore fra due partner necessiti continuamente di evolvere, di non dare mai l’altro per scontato, se in qualche modo si vuole preservarne il futuro. Il fil rouge che unisce tutti gli episodi di questo LP è la fragilità, secondo le sue varie sfaccettature mentre, a differenza del disco precedente Sempre avanti, manca di una certa ironia che ogni tanto faceva capolino fra un brano più serio, o malinconico, e l’altro.
La band che lo accompagna sul palco, tra l’altro molto ben “apparecchiato” dall’organizzazione con dei tappeti persiani, viene presentata durante il brano Fiore d’inverno, dilatato notevolmente per l’occasione. Oltre al fedelissimo chitarrista Marco Locurcio (che con una sola mano suona a volte anche la tastiera) al fianco di Lariccia c’è un’affiatata sezione ritmica formata dal batterista Samuel Rafalowitcz e dal bassista Nicola Lancerotti. Poi, come di consueto, è presente anche l’immancabile sezione fiati formata da un sassofonista e un trombettista (rispettivamente Nicolas Kummert e Edouard Wallyn) che entrano in scena in molti pezzi nei quali, di solito, la succitata intimità può trasformarsi in una sorta di festa, una calda accoglienza dal vago retrogusto jazz.
Venendo alle canzoni che in questa splendida serata mi hanno toccato maggiormente, cito un mio personalissimo tris d’assi. Il primo è L’attendente Cancione in bicicletta (l’unica pescata dal suo primo album Colpo di sole) che parla di un disertore che nel 1943 si avvia verso sud, lasciandosi alle spalle un’Italia distrutta dalla guerra. L’atmosfera incantevole è resa ancora più realistica dal suono di un campanello di una bici che arriva dal fondo della sala durante l’esecuzione. La seconda è la mia preferita di Ricostruire, che è sostenuta da un ritmo uptempo, da una melodia orecchiabile e s’intitola Senza farci del male. Le frasi chiave sono: “Io ti vorrei amare come non so fare, come vorrei riuscire…” alla quale le fa da contraltare “invece io ti amo come posso, ti amo come riesco perché son solo un uomo, perché son solo io”. Non posso fare a meno di immedesimarmi al 100% con questi versi. Chiude il trittico il primo “Bis”, la brevissima unplugged Solo una canzone che in modo originale descrive il dono terapeutico della musica, come alternativa ad ogni tipo di droga ma anche come simbolo di uno stile di vita più spensierato. Non è un caso che anche Ivano Fossati abbia già manifestato il suo gradimento al riguardo.
Il concerto si chiude, in maniera corale, con La mano di un vecchio durante la quale Lariccia riesce, da vero entertainer, a coinvolgere tutto il pubblico dividendolo in due parti che intonano la loro parte di melodia. Fra poco inizierà il tour vero e proprio, in giro per l’Europa, nel quale il cantautore porterà con sé questa manciata di canzoni vecchie e nuove, nelle quali banalità e superficialità non sono mai di casa.