Interviste Recensioni

Fausto Intrieri – My Number is 13

Torno al mio suono delle origini, con una musica che ha nel suo dna, l’applicazione performativa multimediale e audiovisiva.

My Number is 13, uscito il 3 luglio 2020, è un ambizioso progetto dell’artista Fausto Intrieri: una scommessa sonora legata alla perfezione visiva, un tappeto di suoni che portano mentalmente l’ascoltatore dal mondo esterno a paesaggi semplici, immergendolo in nuove realtà quasi oniriche, impreviste e fantastiche.
Intrieri è un artista multimediale – nonché compositore, produttore, sound designer e noise maker – calabrese di nascita ma milanese d’adozione, dal passato di sicuro rilievo nella scena italiana e non.
Intrieri ha un trascorso di ricerche a tutto campo che lo ha portato a eccellere nelle scene contemporanee d‘Arte, aprendosi spazi non solo sonori, ma anche visivi sia nel campo della moda sia insegnando nelle scuole professionali di applicazioni legate al mondo virtuale.
Qui di seguito l’intervista concessami in occasione dell’uscita del suo nuovo disco.

Fausto Intrieri dopo tanto tempo ecco finalmente il TUO disco. Un Ep che vuole raccontare cosa?
“My Number is 13” è un disco che segna il mio ritorno alla discografia. Dopo anni di immersione nell’audio professionale e nella produzione di musiche e sound design per la comunicazione d’impresa, torno con un solo project, con un approccio libero, lontano dalle logiche commerciali dell’industria discografica che ho condiviso per anni. E’ prevalente la necessità di sperimentare, cosa che ha sempre appassionato e caratterizzato il mio lavoro. Questa volta quindi, voglio raccontare di me, forse dopo tanti dischi fatti, dici bene: questo è davvero il “Mio disco”.

Le tue esperienze passate le possiamo leggere qui tra questi solchi? Cosa ti ha spinto a cercare sonorità cosi minimali e cosi mentali?
Credo questo disco sia una sintesi tra le mie esperienze discografiche, legate alla musica elettronica prodotta negli anni ’90, e alla mia produzione sonora per l’audiovisivo e la comunicazione d’impresa. Un crossover tra i due mondi. Oggi sono molto più interessato a creare indentità sonore, a cercare la sintesi comunicativa di due semplici note più che virtuosismi. Mi interessa l’essenza, e il ruolo che ha sempre avuto la musica di toccare e smuovere gli animi nel profondo.

 Il numero 13 ha cosi tanta importanza per te perché dici: ” My number is 13″ segna il mio ritorno alle origini, quasi chiude il cerchio con il suono con cui ho iniziato a fare musica”
My Number is 13 è un disco molto intimo. Ho voluto per questo dargli un titolo personale. 13 infatti è il mio “lucky number”, il giorno in cui sono nato nel mese di Maggio. L’album segna un ritorno al suono con cui ho iniziato a fare musica, il mio suono. Dopo aver aver esordito come batterista in alcune band new wave negli anni ’80, ho iniziato ad interessarmi alla computer music dedicandomi alla produzione di colonne sonore per istallazioni artistiche e mostre in gallerie d’arte.
Erano i tempi dei miei studi artistici presso l’Accademia di Belle Arti di Brera. Ricordo che in quegli anni, all’ex Chiesa di S. Carpoforo, Brian Eno fece una sua istallazione, “Crystals”. Stava mettendo radici profonde nel mondo la Visual Music. Ne rimasi folgorato e capii che volevo lavorare sull’unione di più codici artistici. Adesso quindi chiudo il cerchio e torno al mio suono delle origini, con una musica che ha nel suo dna, l’applicazione performativa multimediale e audiovisiva.

La tua biografia parla chiaro; hai abbracciato tantissimi campi, tutti legati tra loro, tutti con un solo filo conduttore: la perfezione estetica. Giusto?
Ho avuto la fortuna di sviluppare negli anni tutta una serie di esperienze in svariati campi dell’arte e delle tecnologie ad essa applicate. Mi sono occupato di musica, pittura, video, grafica, web design e di istallazioni audio video luci per eventi e spettacoli. Ho lavorato cioè sulla capacità di sviluppo dell’idea nelle diverse sfaccettature applicative dei diversi media. Più che la perfezione estetica, l’obiettivo è l’inebriamento della percezione plurisensoriale, la sinestesia, l’esperienza totale ed immersiva.

A chi ti sei rivolto nell’ immaginario creativo, per avere gli stimoli necessari affinché tu potessi cominciare a buttare le basi per questo progetto? TRAIN TO KOPLER possiamo dire che c’è l’ombra dei Tangerine Dream?
Tangerine Dream e non solo. Ci sono le basi della musica con cui sono cresciuto, l’ambient music, l’arte rumorista del futurista Luigi Russolo, la musica d’arredamento di Erik Satie, l’elettronica dei Kraftwerk, le sperimentazioni dei musicisti minimalisti americani, la musica da film. L’elettronica tedesca di stampo progressive è stata indubbiamente fondamentale ma adesso, c’è una nuova generazione di musicisti, che sta facendo un interessante crossover tra i generi. E’ musica che supera la necessità fisica, che arriva al ballo più colto e interiore.
“My Number Is 13” è un disco comunque che mi scappava da tempo, che non vedeva l’ora di uscire allo scoperto. Gli stimoli li ho quindi elaborati a lungo ma mi rimetto costantemente in discussione, sono sempre a caccia di nuove contaminazioni. Un’ attitudine.

LANDSCAPE SUITE creato pensando ad un giro intorno alla terra. Perché questo bisogno di esplorare? Voglia dopo tanto tempo di trovare la dimensione giusta? Artisticamente parlando…
Ho sempre desiderato volare a contatto diretto con lo spazio ma soffro di vertigine attrattiva. L’idea di Landscape Suite è di una composizione musicale per un ipotetico volo che dallo spazio arriva lentamente a terra, fino alla dimensione umana. Nel video del brano, il primo singolo estratto dall’album, l’unione della musica con le immagini amplifica il concetto. Ho immaginato un viaggio fatto con il drone, che rimanda alla visione della prospettiva detta “prospettiva a volo d’uccello” o “prospettiva aerea”del 18° secolo. Una visione specchiata del nostro pianeta, composta da frames di paesaggi spaziali, naturali, urbani, influenzata dalla tecnica di ripresa e montaggio video dei cult movies di Godfrey Reggio negli anni 80 con le musiche di Philip Glass.

Dopo averlo ascoltato varie volte, mi sono fatto molte domande, e ho capito che stai cercando la pace dentro questo mondo cosi veloce e complesso, e credo anche che il periodo del lockdown sia stato molto difficile per te.
Si hai ragione. Nella progettazione sonora e musicale anche le pause prendono importanza. Si dice che il silenzio non esista perché comunque il mondo ha un suo suono, una sua captabile vibrazione costante. Il suono del sé. Non ho più fretta e frenesia, se non nel vivere le più belle esperienze possibili. Questo momento forzato di stasi che abbiamo condiviso tutti negli ultimi mesi, mi ha consentito molte riflessioni. Questo disco nasce in questo periodo infatti, dove forse ho trovato il coraggio di pensare a me.

Tornando al disco, ho visto che dopo tante ricerche grafiche, finalmente hai definito la copertina dell’EP. Credo che anche in questo caso tu abbia avuto qualche riferimento. Parlami di come è nata l’idea.
Purtroppo qui le mie capacità multidisciplinari mi si sono ritorte contro. Oltre alla musica, ho personalmente ideato e montato il video del primo singolo, creato il nuovo sito internet di imminente pubblicazione, fatta tutta la grafica del progetto occupandomi del package di comunicazione. One man band allo sfinimento. Per la copertina ho sviluppato maniacalmente moltissime ipotesi. Ma poi alla fine, ho ceduto alle evidenze di una soluzione minimale, semplice e solare.

Il tuo settore è la moda, le istallazioni multimediali, la sonorizzazione audiovisiva, il sound design. Credo che il tuo prodotto sia frutto anche di queste esperienze e che la tua musica si adatti perfettamente a quello che fai. Che ne pensi?
Nel 1987 ho fondato la Linkhouse, una casa di produzione audio con studio di registrazione a Milano. In tutti questi anni mi sono occupato e mi occupo della creazione di musiche e del sound design per sfilate di moda, spot radio e video, campagne di comunicazione, doppiaggi multilingua, video istituzionali. Ho creato istallazioni multimediali e l’identità sonora ed il sound branding di aziende leader nazionali ed internazionali. L’inclinazione per la musica applicata negli eventi e nell’audiovisivo credo si molto evidente in questo disco. Sto già pensando infatti a delle formule di applicazione dei brani di “My Number Is 13”.

MINIMAL SPACE mi da l’idea di uno spazio pulito, senza contaminazioni. Possibile secondo te arrivare a tali condizioni?
Minimal Space è uno dei brani dell’album, dalle sonorità leggermente ispirate alla musica contemporanea post-minimalista, in cui sono, in modo più chiaro, riuscito ad avere delle “visioni”. Una sequenza arpeggiata si insinua nello spazio fluido, essenziale. Sopraggiungono, come in un improbabile film di Kubrick, una curiosa mini orchestra d’archi ed un pianista in bianco e nero, come proveniente da un vecchio film. L’uomo ha sempre avuto proiezioni verso altri luoghi incontaminati. E’ un suo costante desiderio, probabilmente come conseguenza e coscienza, della sua natura di distruggere quelli in cui abitualmente vive.

Come mai la scelta di fare un brano lungo come LANDSCAPE SUITE? Possiamo anche dire che in questo progetto ci sono molte sonorità anni 80? Immagino che sia stato un periodo molto intenso per te.
Questo disco nasce molto libero e anche fuori dagli schemi di una composizione che adatta la sua durata alle logiche e agli standard di riproduzione radiofonica. E’ oltretutto un genere musicale che difficilmente avrà questo tipo di supporto media. Semmai occhieggia i brani prolissi della Progressive Rock. Sono musicalmente cresciuto negli anni ’80, sono gli anni in cui ho mosso i primi passi nella musica, gli anni del liceo e dell’università. Credo di portarmeli inevitabilmente nel cuore.

Vorrei concludere la nostra chiacchierata con una tua considerazione sul futuro dell’Arte, ma principalmente della Musica. E come vorrai sviluppare questo lavoro nuovo in futuro.
Credo fortemente che l’arte in tutte le sue sfaccettature, musica inclusa, sia la migliore e più interessante produzione dell’essere umano: un’intuizione e sintesi del bello e delle cose, guidata dalla necessità comunicativa verso la socialità. Stanno succedendo un sacco di cose interessanti, siamo in periodi di grande digitalizzazione e sperimentazione tecnolologica. Sono curioso di vedere come si svilupperà, per esempio, tutta l’intelligenza artificiale applicata alle tecnologie artistiche. Per il proseguo del mio progetto musicale, ho un sacco di idee, dal progetto di un live multimediale a future interessanti collaborazioni e contaminazioni. Come scrivo nella presentazione dell’album, “My number is 13 è quindi un punto di arrivo ma anche una nuova partenza. Comincia quindi un nuovo viaggio, la meta al momento è sconosciuta, ma mi piacerebbe portarvi con me”.

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About the author

Alessandro Ettore Corona

Alessandro Corona nasce a Bassano del Grappa (VI) nel ’57. Dopo aver vissuto in varie zone del Veneto, si trasferisce a Bologna negli anni’70, seguendo tutto il movimento artistico di quel periodo; dai fumetti di A. Pazienza e N. Corona, alla musica rock britannica e americana, a quella elettronica di stampo tedesco, al cinema d’avanguardia tedesco e francese, per approdare poi alla scoperta della fotografia internazionale seguendo corsi di approfondimento e di ricerca.

Scatto per non perdere l’attimo.
Esistono delle cose dentro ognuno di noi, che vanno messe a fuoco.
Esistono cose che ci circondano e che non vanno mai perse, attimi che possono cambiare il nostro futuro; ognuno di noi ha un’anima interiore che ci spinge verso quello che più ci piace o ci interessa.
Io uso la macchina fotografica come un prolungamento del mio braccio, la ritengo un contenitore enorme per catturare tutti quei momenti che mi appartengono.
Passato e futuro si uniscono fondendosi insieme e per caratterizzare l’anima degli scatti creo una “sensazione di fatica” nella ricerca dell’immagine mettendo in condizione l’osservatore, di ragionare e scoprire sé stesso dentro l’immagine.
Trovo interessante scattare senza pensare esattamente a quello che faccio; quando scatto il mio cuore muove un’emozione diversa, sento che la mia mente si unisce con estrema facilità al pulsante di scatto della mia macchina, non esito a cercare quel momento, non tardo un solo secondo per scattare senza riflettere.
Il mio mondo fotografico è principalmente in bianco e nero, il colore non lo vedo quasi più, la trasformazione cromatica è immediata.
Non esito: vedo e scatto!
La riflessione per quello scatto, si trova in mezzo tra il vedere e lo scattare senza esitare sul risultato finale, senza perdere tempo in quel momento.
Diventa immediato per me capire se quello che vedo e che intendo scattare può essere perfetto,
non trovo difficile esprimere quello che voglio, la macchina fotografica sono io.
Ogni scatto, ogni momento, ha qualche cosa di magico, so che posso trasmettere una riflessione quindi scatto senza cercare la perfezione estetica perché nella fotografia la foto perfetta non esiste, esiste solo la propria foto.
Works:
Fotografo e grafico: Mantra Informatico (cover CD), Elicoide (cover LP)
Fotografo ufficiale: Star for one day (Facebook). Artisti Loto (Facebook)
Fotografo ufficiale: Bowie Dreams, Immigrant Songs, Roynoir, Le Sciance, Miss Pineda.
Shooting: Federico Poggipollini, Roynoir, Heide Holton, Chiara Mogavedo, Gianni Venturi, Double Power big band, Progetto ELLE, Star for one day, Calicò Vintage.
Radio: Conduttore su LookUp radio di un contenitore artistico, con la presenza di artisti.
Fotografo ufficiale: John Wesley Hardyn (Bo), Reelin’and Rocking’ (Bo), Fantateatro (Bo), Nero Factory (Bo), Valsamoggia Jazz club (Bazzano), Friday Night blues (Bo), Voice club (Bo), Stones (Vignola), il Torrione (Fe), L’officina del gusto (Bo), Anzola jazz, Castelfranco Emilia blues, Bubano blues, Mercatino verde del mondo (Bo), L’Altro Spazio (Bo), Ramona D’Agui, Teatro del Pratello (Bo), P.I.P.P.U Domenico Lannutti, Insegui L’Arte (Badolato CZ), Artedate (Mi), Paratissima Expo (To), Teatro Nuovo e club Giovane Italia(Pr), Teatro Comunale e Dehon (Bo), Teatro delle Passioni (Mo).

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