Testo di Edo Follino
Foto Stefano Ciccarelli
Il Teatro di Tor Bella Monaca stasera è pieno, non c’è posto, è il primo sold out della stagione, la gente è in attesa, prende posto mentre un venticello clemente ci accarezza i volti.
Domenico Iannacone fa il suo ingresso sul palco e comincia a raccontare, la sedia accanto a me è rimasta sorprendentemente vuota, tutto il tempo, nonostante nell’arena ci siano persone in piedi.
Comincia il viaggio e tutti nessuno escluso diventiamo ostaggi di quella voce sul palco che racconta, scorrono le immagini di ladri di biciclette un film che Ianna ama in maniera particolare, un film che l’ha formato nella sua adolescenza già indirizzata verso gli altri, liberate dalla scatola della televisione le pause diventano la colla pazza che unisce chi narra e chi ascolta, gli sguardi ci prendono per mano e ci portano via nell’universo governato dalla lentezza, dove il dolore abbraccia la pace, dove il senso dell’ascolto trova il significato più profondo, dove le piccole storie diventano grandi senza clamore, dove le immagini parlano senza dire, dove la curiosità che ascolta lo fa con la sola voce del cuore.
Siamo a Tor Bella Monaca ma voliamo con Ianna e gli angeli di Wim Wenders in un arcipelago di sensazioni, tra i confini della coscienza, negli stati della vicinanza, dove vige la sola regola della realtà che non sa giudicare.
E quella sedia accanto a me è rimasta vuota…
Guardo Domenico e penso a quello che diceva Proust: “Il vero viaggio di scoperta non consiste nel trovare nuovi territori, ma nel possedere altri occhi, vedere l’universo attraverso gli occhi di un altro, di centinaia d’altri: di osservare il centinaio di universi che ciascuno di loro osserva, che ciascuno di loro è.”
Forse queste due ore stanno tutte in questa frase, continuano i frame delle puntate andate in onda nel percorso unico che Ianna ha fatto e che dovrebbe essere conservato nelle teche rai come uno degli esempi più alti di televisione, fuori piove con la storia di Michele, l’intruso con la storia di Maria… Maria, Ianna è tornato a cercarla nella fabbrica dell’ex penicillina ma lei era sparita, non so per quale motivo mentre Ianna racconta di Maria il mio istinto è quello di guardare quella sedia vuota, poi la terra dei fuochi, arrivederci Roma con l’omaggio alle reliquie di Pasolini, il racconto della casa dei Puffi a Scampia, Mirko Frezza e la sua periferia, Fausto delle Chiaie e la sua purezza di uomo e artista, Il campo dei miracoli a Corviale con Shasia la bambina che riesce a vedere il paradiso da un balcone di quel mostro di cemento che da il nome al quartiere.
Ma quanto dovrebbe durare uno spettacolo cosi penso tra me, ma quanti aggettivi dovrei usare per descrivere l’emozione che si prova, troppi penso e allora mi limito ad applaudire l’uomo che sta li sul palco e che racconta la vita e la bellezza e mentre racconta il tempo fugge via veloce e allora vorrei fermarlo il tempo, vorrei che ogni minuto durasse il doppio, sì proprio cosi.
Finisce tutto in un tripudio di applausi, sembra di essere in curva allo stadio, ringraziamenti, abbracci ed emozioni, che ci faccio qui a teatro è un manifesto d’amore, è la vita che ama farsi narrare, è Itaca il posto dove ogni pensiero libero trova la sua posizione, è l’abbraccio fisico che la televisione non può dare, è Ianna che con i suoi collaboratori Francesco Santalucia e Raffaele Fiorella ha messo su due ore fatte di rare e intense emozioni.
E la sedia vuota Edo te la sei scordata, no la sedia è rimasta vuota, ma forse non è un caso, io ho sentito arrivare un applauso anche da li, forse era quello di Maria o di tutti quelli che Ianna ha incontrato nel suo cammino di narratore e che adesso da qualche parte lo stanno guardando.
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