Abbiamo incontrato l’assistente di volo e scrittrice cremasca per una chiacchierata a tutto tondo sul suo esordio letterario e sulla sua personale “filosofia del viaggio”. Di Arianna e della sua scrittura affascinano la genuinità, la freschezza e il senso di pacificazione di chi ha trovato la sua dimensione di vita, di chi sa smarrirsi nel mondo e ritrovarsi, ridimensionando una “diversità” che spesso è solo una convinzione astratta.
Ciao Arianna! Presentati in tre aggettivi!
Solare, empatica, curiosa
Ci parli della gestazione di “Diario dal deserto”?
Diario dal deserto è nato un po’ per caso, da un momento di profonda nostalgia. Avevo iniziato a scrivere per me, per ricordarmi di questa grande avventura e perché mi mancavano le mie amiche e i viaggi lontano. Non avrei mai immaginato che da un’idea di diario personale potesse nascere un libro, e ne sono contentissima!
Hai sempre avuto la passione della scrittura?
Veramente no, ma ho sempre tenuto una sorta di diario con tanto di “appunti” strada facendo: delle note, sui quaderni o sul cellulare, per fissare le scene più divertenti o stravaganti che mi succedevano durante un viaggio o qualsiasi giorno. Da queste di solito nascevano scenette, imitazioni, e ora… un libro.
Che bambina e che adolescente sei stata?
Da bambina mi riferiscono che ero una peste e che non dormivo mai. Da adolescente mi avvicinai alla danza, amavo i musical, il mondo dello spettacolo e ho sempre avuto un legame forte con mia sorella e le mie amiche di scuola.
Quanto e come l’esperienza da cabin crew presso Emirates ha inciso sul tuo carattere?
Tantissimo. Non mi ero mai trovata a vivere e lavorare in un ambiente così grande e internazionale. Emirates mi ha insegnato la pazienza, la condivisione, e l’accettazione del diverso. Sono grata a questa esperienza e a come mi ha aperto gli occhi sul mondo.”Different is different, not wrong” citava la Compagnia. Il diverso è solo diverso, non sbagliato. Azzecatissima, se penso che lavoravo e mi interfacciavo con colleghi provenienti da più di cento nazionalità diverse, e volavo in ogni angolo del mondo.
In “Diario dal deserto” scrivi con sincerità anche delle sfide fisiche e psicologiche poste dalla vita di assistente di volo presso Emirates…luci e ombre, insomma?
Sì, era come stare sulle montagne russe. Soste mozzafiato, aerei e hotel lussuosi, ma anche orari di lavoro pesanti e tantissime ore di volo ogni mese. Diciamo che eravamo sempre divisi tra stanchezza fisica e mentale, ma che era sempre ripagata dai bei posti che visitavamo. Un mix che funzionava e ci faceva andare avanti… ognuno poi sentiva quando e come si doveva fermare.
Qual è stata la situazione più difficile da gestire in cabina?
Fortunatamente non ho mai avuto problemi relativi alla sicurezza del volo, quindi posso dire che le situazioni più difficili da gestire in cabina erano sempre relative ai passeggeri, che spesso si lamentavano e sapevano essere molto esigenti, talvolta anche maleducati.
Grande spazio nel tuo libro ha il racconto dei layover, che per te sono stati il pretesto di nuovi viaggi esplorativi…Senz’altro, direi che i viaggi e i layover sono il fulcro del mio libro. Il momento del layover ci ripagava dalla fatica e dalle lunghe ore di volo e di servizio a bordo. Era la nostra ricompensa magari per una sveglia all’una di notte o un volo pieno e stancante. Atterrare in un altro Paese e poterlo esplorare rappresenta la magia del lavoro dell’assistente di volo, e quando ti abitui a vivere ogni mese così, non puoi far altro che continuare a viaggiare e conoscere, perché è il tuo pane.
In una intervista hai dichiarato che, tra le tue fonti di ispirazione, c’è “Vagamondo” di Carlo Taglia. Carlo Taglia ha girato il mondo senza mai prendere un aereo…che cosa secondo te vi accomuna, al di là di questa differenza di base?
Ci accomuna come abbiamo vissuto il viaggio e in che modo ci siamo calati nella parte del viaggiatore, che non era turista, ma esploratore, conoscitore del mondo, pronto ad abbandonare le comodità per ritrovarsi in situazioni anche scomode e assaporare la vera essenza del viaggio. Ho scelto diversi percorsi dei miei viaggi proprio grazie alla sua guida.
Qual è per te il valore e il significato del viaggio?
Il viaggio è scoperta, evasione, mettersi in gioco, perdersi e ritrovarsi. Assume un grande valore perché insegna, mette alla prova, rende vulnerabili e di conseguenza poi più forti. Il viaggio ha il potere di cambiarci, in meglio.
Cosa significa per te rientrare dal viaggio? Hai una tua personale filosofia del rientro a casa?
Il rientro a casa per me è sempre un misto di amarezza e coccola. Amarezza perché non posso credere che sia già finito, e nel momento del ritorno sento già nostalgia di quello che ho vissuto. Coccola perché ammetto che è sempre bello rientrare a casa, trovare la tua famiglia che ti attende e non vede l’ora di sapere i tuoi racconti, magari davanti a un bel piatto di pasta e un bicchiere di vino. È bellissimo poter condividere le mie avventure coi miei cari, e su questo mi sento molto fortunata, ho una famiglia che mi supporta sempre. E anche l’amarezza fa poi spazio al ricordo, che rimane vivo, indelebile, e magari diventa poi la trama di un racconto!
Se il tuo racconto potesse diventare un film, a chi affideresti la regia?
Sicuramente al mio amico regista Pietro Torrisi, che già mi riprendeva con una telecamera in vacanza in Inghilterra nel lontano 2005…
Vuoi stilare per i lettori di Sound36 una personale playlist di 5 canzoni che ami?
Volentieri! Allora, per calarli nel mio libro è d’obbligo un po’ di sound arabeggiante, e quindi consiglio “Kefak Inta” di Fairuz, un classico. Poi scelgo Shade, con “By your side”, una canzone che avevamo come musica di bordo su Emirates e che mi rilassava sempre. “Don’t stop believing” di Journey, per dare un po’ di carica e sognare, “Con te partirò” di Bocelli, che a me fa venire sempre i brividi perché è la prima canzone che ascoltai allo spettacolo di fontane a Dubai, e infine “Porcelain” di Moby, una canzone che amo e che mi ricorda i viaggi esotici, lontani…
Se non avessi fatto l’assistente di volo che lavori ti sarebbe piaciuto fare?
Sicuramente l’interprete, quello per cui ho studiato, quindi sempre immaginandomi in un ambiente dinamico parlando le lingue straniere. Oppure mi sarei immaginata a gestire un b&b, ancora a contatto con gli ospiti e facendo accoglienza ai turisti… mai dire mai!
Qual è il tuo piatto “esotico” preferito? Più in generale quanto è importante, nell’esperienza del viaggio, accostarsi ai cibi tipici?
Il mio piatto esotico preferito è sicuramente l’hummus, che spesso preparo anche io: l’ho scoperto a Dubai e mi piace tantissimo, anche ora che vivo in Italia non posso farne a meno. Penso che accostarsi ai cibi tipici faccia parte dell’esperienza completa di viaggio, non come turisti ma come esploratori: significa disabituarsi ai sapori di casa e provarne altri, significa fidarsi di chi cucina in un altro Paese e significa mettere da parte i propri gusti. Anche per me non fu facile, da italiana ero molto scettica sul provare altre cucine, e invece oggi posso dire che è stata la scelta giusta per aprirmi ancora di più e apprezzare anche quest’aspetto che il viaggio ci regala: ricette imperdibili che abbiamo la possibilità di provare solamente quando siamo lontani da casa!
Quale sarà la tua prossima destinazione?
Bangkok, il mese prossimo. La conosco già bene, ma stavolta non è un layover: mi attende un matrimonio in Thailandia che non posso proprio perdere!