Tipo “Essere o non essere”, che dilemma! Questa frase mi è rimasta impressa, fin da piccola. Tale scritta pare apparve su un muro nel 1977, ma non in tono di domanda, bensì direttamente con la preferenza, a mo’ di affermazione.
È un po’ come quando la gente “inopportuna” da bambino ti chiedeva col sorrisino impiccioso: “chi preferisci tra mamma e papà?”. E tu ci pensavi pure su, come se dovessi rispondere per forza a queste baggianate sadiche che ti mettevano in difficoltà e che tanto come sceglievi, cadevi male! (per le conseguenze di uno dei due genitori…).
Ma poi perché dobbiamo scegliere, insomma! Mica ce lo ha ordinato il dottore? Mi sento come Nanni Moretti in Palombella Rossa “Mi si nota di più se vengo e me ne sto in disparte o se non vengo per niente?”.
Mi viene anche in mente una delle citazioni scontate, simil filosofiche, di Massimo Catalano in Quelli della Notte (le massime di Massimo), passate per veri e propri aforismi: “È molto meglio fare quei due giorni nei quali non si lavora, anziché lavorare incessantemente per tutto il mese” e io aggiungerei di mio: “È molto meglio essere un infelice ricco che un infelice povero!”.
Pure nel caso di fattispecie la risposta è scontata (a meno che non siamo dei masochisti): dovremmo tanto tanto e intensamente (“con il corpo e con la mente”, come diceva Julio Iglesias) auspicarci una fine spaventosa. Basta! facciamola finita e… puff! Almeno termina là. Cotta e mangiata.
Però, dopo ore e ore di elucubrazioni mentali e ripensamenti, giungo a conclusione che un semplice spavento, e che duri pure poco, vada più che bene. Mi accontenterei! “Felix sua sorte contentus” (ossia “Chi si accontenta gode”). Pensate, ne trarrei pure piacimento!
Conclusione: l’equazione “una fine spaventosa“ porta quindi ad un atto di edonismo…
Interessante, ci penserò! 😉
Articolo di Reddie
Copertina di eineBerlinerin