Interviste Sound&Vision

Roynoir

Ci limitiamo a raccontare in tecnica mista le nostre impressioni sul mondo esteriore e interiore, sulla vita, sugli eventi e sui sentimenti. Abbiamo una velleità: crediamo che quello che proviamo noi possa essere in qualche modo condiviso dal nostro pubblico in una complicità non codificata.

Carissimi Roynoir finalmente riesco ad intervistarvi ma non so cosa ne verrà fuori data la vostra “serietà”. La mia prima domanda è perché avete sentito l’esigenza di costituirvi come gruppo
Abbi più fiducia nelle tue capacità, ragazzo!!! Riuscirai benissimo come sempre ad essere la giusta lente per mettere a fuoco la nostra molteplice personalità! Serissima, ci teniamo, ma MARAGLIA vieppiù ed è qui che la magia si compie. Lo spirito serio e l’anima **maraglia, appunto, fanno sbocciare lo strumento più grande per decodificare il mondo: l’ironia. Forse questa è la formula che ci tiene giovani ed elastici, altrimenti saremmo flaccidi e senescenti, non credi? Quanto alla tua domanda, non c’è stata una formale costituzione. I Roynoir nascono da un grande sentimento di amicizia e questo li avrebbe condotti e mantenuti insieme anche se fossero appassionati di uncinetto. Purtroppo per le nonne in ascolto la passione prevalente è sempre stata la musica fin dagli inizi (se escludiamo ogni pulsione finalizzata alla procreazione… ovviamente…) quindi provare a dare sfogo alla creatività suonando ed esprimendo emozioni in musica è stata una cosa piuttosto naturale. Come sai fin dagli esordi sotto l’austero nome di “Angoscia” (su cui tanto si potrebbe dire, ma soprassederemo perché è ormai “Roynoir” la nostra identità adulta) tanta acqua è passata sotto i ponti e diversi cambiamenti nelle forme espressive e nella formazione si sono susseguiti… Anche il silenzio ha avuto il suo lungo spazio mentre eravamo occupati tutti a vivere, ma l’amicizia è sempre rimasta. La musica è emersa e momentaneamente sparita come un fenomeno carsico dell’anima ma non ci ha mai abbandonati del tutto, come vedi. Come tutti i sentimenti l’amicizia ha il potere di moltiplicarsi e non dividersi, per cui si è fatta nel frattempo accogliente per tutti coloro che si sono avvicinati, persino taluni deliziosi giornalisti….

Il vostro habitat abituale è il teatro. Lo è perché fate TeatRock , perché avete come front man Bruno Nataloni o perché non siete tagliati per dei palchi diversi? (sto ridendo mentre scrivo perché non oso sapere dove ho sbagliato…)
 I Roynoir sono un gruppo rock **maraglio ben radicato in questa bolognesissima e al contempo multiforme, genuina immediatezza che nelle cantine di Pontevecchio avresti sentito chiamare “ignoranza” con tono e fare orgoglioso. Però siamo cresciuti tanto (nostro malgrado) e ci siamo accorti di avere tanto da dire e tanti modi per dirlo. Oggigiorno una delle merci più preziose per un artista è l’attenzione della gente: ormai nessuno ti concede più dello spazio di un fotogramma di Instagram come se avesse numerose frenetiche attività che si susseguono e sovrappongono. Noi, dicevo, siamo cresciuti: scriviamo meglio, suoniamo meglio, abbiamo nuove e più profonde cose da dire. Non importa se si tratta di serie considerazioni sul mondo o storie brillanti capaci di farti affrontare tutto con quel particolare sorriso che abbia la forza e l’innocenza che hanno i bambini. Abbiamo imparato a fare tutte queste cose nell’arco di più vite (almeno sei al momento) mentre Bruno – ad esempio – ha imparato anche il mestiere dell’attore e lo ha fatto meravigliosamente come tutti sanno e ha messo questa sua splendida e potente arte a disposizione del progetto. Quel che ci è rimasto è stato un lavoro di sintesi che proviamo a migliorare di volta in volta per porgere lievemente al pubblico tutte le cose che vorremmo dirgli e fargli ascoltare. Il modo che abbiamo scelto cerca di fare tesoro delle nostre diverse anime creando una forma espressiva che fu definita da un nostro misterioso supporter della carta stampata “Teatrock”. Noi ci siamo accorti subito che la cosa funzionava perché magicamente si è creata quella forma misteriosa di comunicazione col pubblico: abbiamo ottenuto quell’attenzione che mai è stata scontata. Il gioco sta in piedi così e finché il pubblico nella sua multiformità continuerà a darci la sua attenzione saremo felici di dargli tutto: “Ne volete a pacchi? E noi ve ne daremo!!! *ABALUUUUS!!!” È chiaro che il luogo ideale perché questa magia di mescolamento dei linguaggi si compia è il teatro, ma stiamo provando a studiare diverse declinazioni di questa formula che ci porti davanti a posti e persone che non avevamo nemmeno immaginato. Vale la pena di lanciare un appello disperato: vorremmo abbracciare il o la giornalista che nasconde la sua identità sotto lo pseudonimo anonimo di “Emilio Zucca”: è a questa persona che dobbiamo l’intuizione lessicale fortunata di “Teatrock”… Per ragioni ignote si cela a noi da tanti anni ma ci raggiunge con consigli e critiche benevole sotto mentite spoglie. Aiutateci a dare un’identità a questo benefattore intellettuale, aiutateci a risolvere il mistero dei Roynoir!!!

Dagli esordi ad ora cosa è cambiato dentro il gruppo, dal punto di vista emotivo e da quello tecnico? Vi sentite più vecchi quindi più ***umarel o **maragli?
Tecnicamente abbiamo affinato tutto quel che poteva servire a rendere possibile quello che abbiamo creato: dalla musica, alla verbalizzazione, al teatro, alla registrazione dei dischi e così via. Il tempo però cambia tutto, letteralmente. Tranne l’essere **maragli, quello no. Tranne il volersi bene. Non so se riusciremo mai a comunicare l’atmosfera comoda e accogliente, la solidarietà, la sensazione di “casa” che c’è dentro le fila del gruppo. Il tempo ha portato con sé tante occasioni che potevano concorrere a intaccare questa condizione. Il gruppo ha retto con la sua umanità solidale, aggrappato a quella semplice e solida amicizia che ci porterà presto sulla vetta dei campionati mondiali di uncinetto. Non so se mai diventeremo ***umarel.. nel caso succedesse credo che inventeremmo l’umarel 2.0: Gli UMARAGLI.

Perché vi hanno colpito così tanto gli anni ’80? Nella realtà come li hanno vissuti i Roynoir quegli anni? (Sappiamo bene come si viveva a Bologna…)
L’anagrafe! Gli anni Ottanta erano gli anni in cui eravamo sbarbi. La magia è tutta qui. Quell’epoca ci ha dato il particolare alfabeto per esprimere quelle passioni universali che poi a modo loro probabilmente vivono tutti. È storia e metafora. E poi è stata un’epoca figa, che vuoi più dalla vita? Un lucano? Noi ne abbiamo addirittura due, soccia gli sboroni che siamo! Solo Andrei non ha la stessa matrice anagrafica perché è inaccettabilmente più giovane (e più bravo) di noi. Però è il nostro figlioccio: ci ama suo malgrado come si ama una cosa ineluttabile, e noi lo ricambiamo… Hai presente i nonni del Muppet Show che dicono: “Quello lì è il nostro ragazzo”? Ecco. un paradosso così

B1, Gazz, Rambo, Kozz, Salva perché queste abbreviazioni, stampate pure sulle magliette ufficiali? E Andrei Galiè, giovanissimo talentuoso batterista, perché non è stato schedato
Andrei non è stato schedato perché lui è una persona seria. Tra poco gli danno la 104 per starci dietro, povero ragazzo, non infliggiamogli pure un ridicolo nomignolo!! B1 è una forma antesignana del “corsivo” recente: un modo infantile di pronunciare il suo nome. E si scrive col numero 1 perché in quello che fa è assolutamente il numero uno! Gazz e Rambo sono abbreviazioni dei loro rispettivi cognomi che negli anni sono diventate un marchio di fabbrica, un modo di identificarli che trascende l’origine stessa dei diminuitivi. Ormai si tratta dell’identità umana e artistica di due personaggi ed è giusto così. Nasce tutto da quegli anni in cui questo tipo di abbreviazioni affettuose nasce e muore sui campi di calcio o a scuola e così gli sono rimasti addosso e sono cresciuti con loro. Salva direi che ha la stessa genesi, solo che nasce dal suo nome di battesimo per diventare l’identificativo di un personaggio specifico. Kozz ha una genesi più curiosa. Negli anni novanta una brillante coppia di comici baresi inventò uno dei più geniali supereroi mai visti: il “Kozzalo nero”. Notate che Cozzalo in barese suona molto simile al **maraglio bolognese… L’anima **maraglia è diventata ormai da decenni un nomignolo molto prima dell’ingresso nei Roynoir questo è una specie di piccolo miracolo a cui lui vuole credere. E noi glielo lasciamo fare, ovviamente.

Domanda serissima: Bruno Nataloni quanto incide sulla vostra unione artistica ma anche al di fuori? Lo ritengo una vera “belva” del palco, sa catturare il pubblico come pochi
Bruno sul palco è devastante. Soprattutto come è ovvio nelle parti dello show in cui la sua professionalità attoriale emerge. È la preziosa alabarda spaziale dei Roynoir e ce lo teniamo strettissimo. Fuori dal palco è una via di mezzo tra la buona coscienza e il grillo parlante. Non saprai mai delle lunghe considerazioni che ci infligge iniziando con un ecumenico “Carissimi…” A parte gli scherzi ognuno ormai in questa stramba compagnia ha un ruolo piuttosto marcato che tutti gli altri gli riconoscono, che gli dà identità e responsabilità. Non credo che ci sia qualche elemento sostituibile tra noi. Bruno, ovviamente ma non solo lui. E questa è una delle nostre fortune

Comicità e musica, come riuscite ad abbinare voce, testi e musica per lo sviluppo di un vostro spettacolo teatrale? Non è così scontato…
Infatti non ci riusciamo. Scherzo, ovviamente… Si tratta della sfida artisticamente più insidiosa. Ma se ci pensi è stata la chiave dell’interesse suscitato. È dai contrasti che viene fuori l’energia più spesso di quanto non si creda. Però le cose non sono mai giustapposte senza criterio. La musica tende ad essere il momento in cui la liturgia dei sentimenti si apre a una intimità maggiore, che non ha paura della commozione, dell’amarezza, dell’analisi sempre difficile dei sentimenti soprattutto quando non rispondono ai canoni hollywoodiani del lieto fine. La dimensione narrativa crediamo che sia un luogo più adatto a trasfigurare gli stessi sentimenti nella loro anima più inevitabilmente umana, limitata, per questo anche – suo malgrado – buffa. E c’è sempre qualcosa di cui si possa ridere e non c’è mai nulla di più serio di una risata.

Leggendo la biografia, direi fin troppo seria, noto i titoli dei vari spettacoli che presumo seguano una vera cronologia stilistica. Potete spiegare ai lettori di SOund36 la vostra filosofia?
Non è obbligatorio avere una filosofia codificata e organica, infatti orgogliosamente ne facciamo a meno. Noi ci limitiamo a raccontare in tecnica mista le nostre impressioni sul mondo esteriore e interiore, sulla vita, sugli eventi e sui sentimenti. Abbiamo una velleità: crediamo che quello che proviamo noi possa essere in qualche modo condiviso dal nostro pubblico in una complicità non codificata. Finché una cosa del genere continuerà ad accadere continueremo tutti a divertirci.

Cari Roynoir in qualche maniera siamo arrivati alla fine. Cosa farete da grandi? E come vedete il mondo musicale attuale. Lunga vita al TeatRock. A balûṡ!*
Come guardiamo al mondo musicale attuale? Dall’alto in basso, ovviamente!!!! Scherzo, non ci prendiamo molto sul serio e questo è fondamentale per dei fifty-something… quasi Sixty… Ambiamo a incarnare il futuro: gli Umaragli!!! Cerchiamo di creare alla giornata, con un sorriso indulgente rivolto al passato e, come sempre: NOSTALGIA DEL FUTURO.

*A balûṡ! = i balus sarebbero le castagne più grosse, quelle che fanno sorridere. Il termine è passato a descrivere l’abbondanza e il piacere in un senso più generale.
** Maragli = Può voler dire: o sborone o sfigato, ad esempio ho smarrito la mia maraglissima pendrive.
*** Umarel = pensionato che si aggira, per lo più con le mani dietro alla schiena, presso i cantieri di lavoro, controllando, facendo domande, dando suggerimenti o criticando le attività che vi si svolgono

 

Roynoir live @ La Braceria

A balûṡ! (Alla grande! ) Con quest’urlo i Roynoir aprono sempre i loro concerti a teatro invitando il pubblico a rispondere: Facciamo balotta ( Chiacchierare, fare conoscenza ). Da quel momento i Roynoir raccontano con sarcasmo, e forse un po’ di nostalgia, la Bologna anni ‘70/’80, quella dei paninari e degli sfigati, delle cantine da dove nascevano i fermenti musicali più importanti d’Italia, alla suddivisione delle discoteche per genere. Raccontano anche di personaggi che girano in città, persone comuni che però hanno dato negli anni un tocco di diversità a Bologna, come ad esempio Beppe Maniglia, diventato famoso per far scoppiare borse d’acqua calda a pieni polmoni e girando per strada con una super moto piena di amplificatori! I Roynoir raccontano storie suonando puro rock, facendo così Teatro rock. Suonano molto bene cantando testi originali, testi che si distinguono perché sono veri, puri! Nulla è banale, il pubblico lo sa e li segue tantissimo e i teatri sono sempre gremiti. Si sentono Maragli (persone che ostentano la propria egocentricità) perché fondamentalmente: siamo tutti maragli! I Roynoir si conoscono dal 1984 frequentandosi assiduamente, da non molto tempo hanno sostituito il batterista di nome Andrei, abbassando quindi la media d’età del gruppo, trentenne dal capello facile, stile corsaro, ma dalle qualità “batteristi che” immense. I Roynoir hanno due dischi alle spalle usciti a distanza di tempo, senza chiasso, quasi una sorta di segreto, ma la Balotta continua “rubando storie” con la “nostalgia per il futuro”. Alla guida spirituale della Balotta furoreggia Bruno Nataloni, attore di teatro e cinema, uomo molto profondo che canta come si faceva una volta, soffrendo, interagendo con il pubblico e anche con battute molte volte improvvisate. E nello stesso tempo il gruppo cosa fa? Il gruppo suona e si diverte incitando i presenti a rendersi partecipi della serata, mentre la musica scorre veloce. Questa volta però i Roynoir si sono esibiti in locale più piccolo, sfidando se stessi, trovandosi di fronte un pubblico in parte diverso, nuovo, ma alla fine la risposta è stata sempre la stessa: A balûṡ!

 

About the author

Alessandro Ettore Corona

Alessandro Corona nasce a Bassano del Grappa (VI) nel ’57. Dopo aver vissuto in varie zone del Veneto, si trasferisce a Bologna negli anni’70, seguendo tutto il movimento artistico di quel periodo; dai fumetti di A. Pazienza e N. Corona, alla musica rock britannica e americana, a quella elettronica di stampo tedesco, al cinema d’avanguardia tedesco e francese, per approdare poi alla scoperta della fotografia internazionale seguendo corsi di approfondimento e di ricerca.

Scatto per non perdere l’attimo.
Esistono delle cose dentro ognuno di noi, che vanno messe a fuoco.
Esistono cose che ci circondano e che non vanno mai perse, attimi che possono cambiare il nostro futuro; ognuno di noi ha un’anima interiore che ci spinge verso quello che più ci piace o ci interessa.
Io uso la macchina fotografica come un prolungamento del mio braccio, la ritengo un contenitore enorme per catturare tutti quei momenti che mi appartengono.
Passato e futuro si uniscono fondendosi insieme e per caratterizzare l’anima degli scatti creo una “sensazione di fatica” nella ricerca dell’immagine mettendo in condizione l’osservatore, di ragionare e scoprire sé stesso dentro l’immagine.
Trovo interessante scattare senza pensare esattamente a quello che faccio; quando scatto il mio cuore muove un’emozione diversa, sento che la mia mente si unisce con estrema facilità al pulsante di scatto della mia macchina, non esito a cercare quel momento, non tardo un solo secondo per scattare senza riflettere.
Il mio mondo fotografico è principalmente in bianco e nero, il colore non lo vedo quasi più, la trasformazione cromatica è immediata.
Non esito: vedo e scatto!
La riflessione per quello scatto, si trova in mezzo tra il vedere e lo scattare senza esitare sul risultato finale, senza perdere tempo in quel momento.
Diventa immediato per me capire se quello che vedo e che intendo scattare può essere perfetto,
non trovo difficile esprimere quello che voglio, la macchina fotografica sono io.
Ogni scatto, ogni momento, ha qualche cosa di magico, so che posso trasmettere una riflessione quindi scatto senza cercare la perfezione estetica perché nella fotografia la foto perfetta non esiste, esiste solo la propria foto.
Works:
Fotografo e grafico: Mantra Informatico (cover CD), Elicoide (cover LP)
Fotografo ufficiale: Star for one day (Facebook). Artisti Loto (Facebook)
Fotografo ufficiale: Bowie Dreams, Immigrant Songs, Roynoir, Le Sciance, Miss Pineda.
Shooting: Federico Poggipollini, Roynoir, Heide Holton, Chiara Mogavedo, Gianni Venturi, Double Power big band, Progetto ELLE, Star for one day, Calicò Vintage.
Radio: Conduttore su LookUp radio di un contenitore artistico, con la presenza di artisti.
Fotografo ufficiale: John Wesley Hardyn (Bo), Reelin’and Rocking’ (Bo), Fantateatro (Bo), Nero Factory (Bo), Valsamoggia Jazz club (Bazzano), Friday Night blues (Bo), Voice club (Bo), Stones (Vignola), il Torrione (Fe), L’officina del gusto (Bo), Anzola jazz, Castelfranco Emilia blues, Bubano blues, Mercatino verde del mondo (Bo), L’Altro Spazio (Bo), Ramona D’Agui, Teatro del Pratello (Bo), P.I.P.P.U Domenico Lannutti, Insegui L’Arte (Badolato CZ), Artedate (Mi), Paratissima Expo (To), Teatro Nuovo e club Giovane Italia(Pr), Teatro Comunale e Dehon (Bo), Teatro delle Passioni (Mo).

error: Sorry!! This Content is Protected !!

Utilizzando il sito, accetti l'utilizzo dei cookie da parte nostra. Maggiori Informazioni

Questo sito utilizza cookie, anche di terze parti, per migliorare la tua esperienza e offrire servizi in linea con le tue preferenze. Con questo sito acconsenti all’uso dei cookie, necessari per una migliore navigazione. Se vuoi saperne di più o negare il consenso a tutti o ad alcuni cookie vai su https://www.sound36.com/cookie-policy/

Chiudi